La chiave del libro non è la distruzione o la paura, ma il desiderio divino della nostra piena realizzazione, che diventa possibile se ci immergiamo nel suo disegno d’amore
L’Apocalisse è l’ultimo libro della Bibbia, in particolare l’ultimo libro del Nuovo Testamento. È un libro complesso, difficile, criptico, perfino “sospetto” all’interno della Chiesa (la sua lettura suscitava eresie). Quando è stato scritto? Chi è stato il suo autore? A chi è indirizzato? Che tipo di scrittura è: una lettera, una storia, un dramma? Di cosa parla l’Apocalisse? L’esegesi contemporanea tende a collocarla alla fine del I secolo, ma la sua paternità è ancora dibattuta. Giovanni Apostolo, Giovanni il Vecchio o Giovanni di Patmos sono alcuni dei nomi considerati. C’è però una certa unanimità nel riconoscere che l’autore apparteneva alla cerchia di Giovanni Apostolo e che rielabora la materia della tradizione giovannea.
L’autore che si presenta come Giovanni si rivolge alle nascenti comunità cristiane la cui fede e speranza cominciano a svanire. Il Cristo risorto aveva sconfitto la morte ed era il Signore della storia, tuttavia la storia continuava il suo corso, senza che nulla cambiasse: il male e la sofferenza continuavano a far parte della vita e la sequela di Cristo diventava una sfida in tutti gli ambiti della vita: Domiziano aveva imposto il culto dell’imperatore e coloro che vi si opponevano furono deportati o uccisi (cfr. Svetonio, Domiziano, 13; Plinio, Storia naturale, IV, 12-23); le differenze sociali tra ricchi e poveri, padroni e schiavi continuavano; i problemi con la sinagoga c’erano ancora e cominciavano a manifestarsi le prime eresie, che disunendo la Chiesa nascente; la morale della società pagana si contrapponeva a quella cristiana. Valeva la pena seguire Cristo? Dov’era la signoria di Dio?
In questo contesto, l’Apocalisse è scritta in modo che possa essere letta a voce alta nel seno della comunità alla maniera delle lettere paoline, da cui l’inizio («Giovanni, alle sette Chiese che sono in Asia», Ap 1,8) e il finale di taglio epistolare («La grazia del Signore Gesù sia con tutti», Ap 22,21). Ma questo non basta all’autore dell’Apocalisse, poiché vuole che la sua opera sia letta in un ambiente particolare: in un clima di raccoglimento, di preghiera. Per questo, sfrutta l’avvio epistolare e il saluto finale per introdurre due dialoghi liturgici che aprono e chiudono l’opera. La sua opera, la sua “apocalisse” va letta, quindi, all’interno della liturgia. Infatti, il racconto delle sue visioni e incontri inizia subito dopo, cercando in ogni momento di catturare l’attenzione dell’ascoltatore/lettore utilizzando tutte le risorse a sua disposizione: stile orale con linguaggio stereotipato, drammatizzazione, interrogazione diretta dell’ascoltatore/ lettore, il linguaggio dei colori che facilita la visualizzazione delle visioni, suscita emozioni e trasmette un messaggio. Per questo la lettura dell’Apocalisse non lascia nessuno indifferente.
Ora, qual è il contenuto dell’Apocalisse? L’autore lo presenta in modo sintetico con le prime due parole del libro: « Apokalypsis Iesou Christou », “rivelazione di Gesù Cristo” (Ap 1,1). Il significato del termine greco apokalypsis è “togliere il velo”, “mostrare ciò che è nascosto”, quindi il libro è presentato come la rivelazione di Gesù Cristo. Questa affermazione è lontana da ciò che oggi si intende per apocalisse, poiché è considerata sinonimo di distruzione, guerra, peste, carestia, fine del mondo. Era questo il nuovo messaggio di Gesù alla nascente comunità giovannea: la fine del mondo? Dobbiamo essere attenti ai segni dei tempi (la guerra in Ucraina, la pandemia) per riconoscere che la fine è vicina, perché, come alcuni affermano, sono stati aperti i sette sigilli, sono state suonate le trombe e stiamo soffrendo le sette piaghe? Ha senso che questo sia ciò in cui consiste la “rivelazione”? L’uomo ha bisogno di quel tipo di rivelazione per prepararsi alla fine? La fede nasce dalla paura? La rivelazione della fine del mondo è coerente con il Dio misericordioso, Padre del figliol prodigo, rivelato da Gesù nei Vangeli? Non sembra.
La chiave per un libro, un film e una serie è nel finale. Il finale spiega la trama. Il libro si conclude con la visione della Nuova Gerusalemme dove «non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21,4). Così, l’Apocalisse rivela il sogno di Dio: la felicità dell’uomo per sempre, per sempre. L’uomo è chiamato al cielo e a godere pienamente di tutte le aspirazioni che battono nel suo cuore: verità, saggezza, bene, bellezza, amore, infinito. Questi sono solo altri nomi di Dio. Lo spiega l’autore dell’Apocalisse attraverso la visione di un nuovo cielo e di una nuova terra e l’immagine sponsale: il matrimonio dell’Agnello (Gesù, lo sposo, e ogni cristiano, la sposa). La morte non è altro che il transito, la porta della celebrazione del matrimonio. Di conseguenza la vita del cristiano cambia, ma non perché la fede porti con sé benessere, salute, soddisfazione, pace, ma perché il cristiano, finché vivrà, andrà a preparare l’abito nuziale: «Le fu data una veste di lino puro e splendente. La veste di lino sono le opere giuste dei santi» (Ap 19,8). La confezione dell’abito è ardua, perché il lino non sono i buoni desideri o le buone intenzioni, ma le buone azioni. Infatti, per ribadirlo, l’Apocalisse ricorre a un altro linguaggio: quello della guerra: «chi sarà vincitore ( o nikon) erediterà questi beni» (Ap 21,7). L’Apocalisse, quindi, rivela il sogno di Dio che diventa possibile solo se l’uomo decide di seminare il bene e combattere con coraggio il male.
Fonte: Lourdes Garcia Ureña | Avvenire.it