La crepa e la luce
La storia di Gemma Calabresi Milite è una vicenda di crepe.
Fin dal nome ne porta due, nette.
Tonino Milite è il nome del suo secondo marito, morto nel 2015.
Calabresi è il cognome del suo primo marito, Luigi, commissario di polizia ucciso nel 1972, in quegli anni di piombo per cui l’ideologia imponeva stragi e uccisioni, vendette e diffamazioni. Gemma Capra, all’epoca venticinquenne, rimaneva vedova con tre figli e il peso di molta opinione pubblica che ancora e ingiustamente vedeva nel marito l’autore dell’omicidio dell’anarchico Pinelli.
La giovane sposa si presenta al funerale del marito vestita con un tailleur azzurro, quello di quando erano partiti per il viaggio di nozze. Un funzionario di polizia le suggerisce di cambiarsi, di mettere qualcosa di scuro, ma lei vuole salutarlo con addosso un vestito che il marito amava.
L’immagine riassume tante cose della storia di Gemma Calabresi, raccontata nel libro
La crepa e la luce. Porta con sé la bellezza candida di una ragazza, giovane per essere madre di tre figli, giovanissima per crescerli da sola. Quell’azzurro porta con sé il rifiuto delle forme e il bisogno di affermare la vita.
Gemma era cresciuta con un’educazione cristiana, ma è solo dal tragico 17 maggio 1972 che quell’ipotesi di fede, ereditata per tradizione ed educazione, non è più una regola da inseguire, perché non «
dobbiamo cercare» Dio, ma «è Lui che viene da noi», nella libertà nostra di accettare di essere amati.