Il Centro Aiuto alla Vita di Varese offre un servizio di chat anonima per sostenere le donne che stanno attraversando in vario modo il dramma dell’aborto. In un libro hanno raccolto alcune delle storie di sofferenza e di speranza con cui sono venute in contatto: ve ne presentiamo due
Per i tipi della Ares è stato recentemente pubblicato un piccolo libro dal titolo: “Una chat per la vita – Cinquanta storie di speranza”. Il testo è a cura di Vittoria Criscuolo e Susanna Primavera, due volontarie del CAV di Varese, al cui sito è collegata una chat anonima che a partire dal 2018 ha fatto registrare 700 contatti di donne – prevalentemente – e uomini alle prese, in vario modo, con il dramma dell’aborto.
Come si legge dalla prefazione “dalle chat emerge un panorama, per così dire complessivo, dell’anima umana, motivo per cui abbiamo deciso di raccoglierle sotto forma di libretto e pubblicarle, perché non tutti sanno quale sia la sofferenza legata alla gravidanza, all’aborto e alla famiglia, protagonista silenziosa del dolore che traspare dalle parole di chi scrive”.
Due storie
Le chat sono state raggruppate in capitoli, ciascuno dei quali affronta un’area tematica. Noi abbiamo scelto, da capitoli diversi, due di esse esemplificative di situazioni estreme nella vasta gamma di storie che compongono il mosaico che questa conversazione scritta alla tastiera permette di osservare e riflettere, nella speranza che possano rivelarsi utili ad altre persone in difficoltà di fronte alla scelta se far sbocciare o meno una vita.
Mia figlia di 14 anni è incinta e non vuole tenerlo
La prima chat inizia così:
Sono una mamma di un’adolescente di 14 anni che è rimasta incinta e non vuole tenerlo. Sono disorientata e vorrei capire cosa è la prima cosa consigliabile da fare, grazie.
(pagina 121)
Se lei decidesse di tenerlo sarei disposta ad aiutarla
Alla risposta di accoglienza della volontaria segue:
Io l’ho cresciuta da sola ma avevo 26 anni non riesco ad immaginare come possa essere alla sua età siamo io lei e il fratello di 5 ma se lei decidesse di tenerlo sarei comunque disposta a fare sacrifici anche per lui ma lei è convinta per lei è l’unica soluzione.
(Ibidem)
Le informazioni della volontaria
La volontaria informa la signora dell’esistenza di associazioni che mettono a disposizione strutture per accogliere ragazze madri dove la figlia – che pensa che il feto non sia un bambino e le “fa schifo” – incontrando coetanee nella sua stessa condizione potrebbe ripensarci.
Hanno fissato l’IVG
In un messaggio successivo:
Questa mattina hanno constatato le 9 settimane e fissato l’intervento. Io non riesco ad accettare tutto questo, nemmeno a guardare mia figlia che è completamente insensibile a ciò che io reputo un gesto orribile.
(pagina 122)
Lo terrei come fosse mio
La volontaria accenna alla possibilità di un intervento dell’autorità giudiziaria per cercare di far riflettere la ragazza, e di fronte alla prospettiva di un ripensamento la mamma scrive:
Più che altro lei sicuramente si vergognerebbe a farsi vedere così. Io sono sola con lei e il fratello ma lo terrei come fosse mio, così potrebbe viverlo ma senza il peso di crescerlo tornerebbe alla sua vita e io mi farei aiutare.
(pagina 123)
“Quello è mio nipote”
La volontaria spiega anche che il neonato, se non lo si volesse tenere con sé, potrebbe essere lasciato in ospedale in attesa dell’adozione, ma la signora ribatte:
Quello è mio nipote, non lo lascerei e lei lo amerebbe nel tempo se facesse un percorso sono certa. Purtroppo è cresciuta senza un padre, è ribelle e per lei figlio vuol dire sacrificio e niente vita… Quello che vede su di me. Sarebbe possibile qui da noi mettermi in contatto con una realtà che abbia ragazze della sua età che stanno portando avanti la gravidanza?
(pagina 125)
Il sostegno del CAV
La volontaria offre precisi punti di riferimento nel territorio dove la signora vive. Nella parte finale della chat quest’ultima chiede prima se esiste una possibilità legale di garantire al padre del bambino, interessato solo a questo, che nessuno reclamerà del denaro per il figlio. Poi la successiva richiesta è avanzata per conoscere se lei stessa può riconoscere il bambino. La chat si conclude con la volontaria che promette di girare al legale dell’Associazione i due quesiti.
40 anni, già mamma di due figlie e incinta: voglio abortir
La seconda chat inizia così:
Ho avuto questa mattina conferma di essere incinta alla 6 settimana. Avevamo già valutato con mio marito di non portare a termine la gravidanza. Abbiamo un’età e figli grandi. Non me la sento davvero. Il ginecologo mi ha detto che per poter procedere con IVG necessito di certificato apposito da richiedere in un consultorio. Navigando in Internet esce anche la vostra struttura. Ma presso di voi è possibile avere il suddetto certificato col quale recarmi all’Ospedale di [omissis] per procedere? Grazie.
(pagina 46)
“Non me la sento proprio”
La volontaria cerca di esplorare la situazione della donna che aggiunge:
(…) 40 anni suonati, una casa in cui in 4 si sta appena con una ragazza adolescente e fra poco maggiorenne non me la sento proprio, non avrei nessuno che mi aiuterebbe e non voglio far crescere ancora i figli da altri.
(Ibidem)
“Mi crea ansia”
Alla domanda della volontaria sul lavoro la donna risponde:
Sì, ho un ottimo lavoro e anche mio marito, entrambi in banca. Economicamente nessun problema. Proprio l’idea di cambiare tutto l’andamento alle bambine ormai «grandi» e comunque riprendere noi alla nostra età a star dietro a tutto ciò che è un bebè mi crea ansia.
(pagina 47)
“Sono davvero convinta”
La volontaria cerca di portare la signora a riflettere sulla sofferenza che le procurerebbe l’aborto e sull’esperienza di altre donne che hanno partorito avanti negli anni ringraziando Dio di non aver deciso di sopprimere il loro bambino.
Ci credo, non sai quanto ho cercato la seconda. Però davvero sono convinta.
(pagina 48)
Si danno appuntamento
A questo punto la volontaria le suggerisce di prendere un po’ di tempo per pensarci e si rende disponibile a riceverla in un determinato giorno e orario allo sportello dell’Ospedale o, in alternativa, nella sede del CAV. La chat si conclude con la promessa di un appuntamento.
Il lavoro dei volontari del CAV
Le due chat dipingono storie diverse, di donne giovani, giovanissime e più mature che si dibattono di fronte alla scelta, propria o di una figlia, di far vivere o meno la loro creatura. In queste storie ci sono sullo sfondo anche mariti, padri assenti, compagni che si tirano indietro, i fratelli e le sorelle dei nascituri che non sanno se verranno alla luce.
La garanzia dell’anonimato
Le volontarie del CAV rappresentano il cerchio in cui tutto questo si inscrive nel contesto di una modalità di incontro per ceri versi “riduttiva”, ma che ha il pregio di assicurare l’anonimato a chi, almeno per il momento, non vuole esporsi.
Mostrare la bellezza della vita nascente
Donne che combattono per preservare la vita dei figli di altre madri impantanate nelle sabbie mobili di pregiudizi sociali, famiglie che spingono all’aborto, immaturità e personali egoismi, rispettando sempre chi è dall’altra parte della tastiera, ma cercando di far risplendere davanti gli occhi delle interlocutrici la bellezza della vita nascente.
E nella maggioranza dei casi sostenendo il peso di non sapere se sono riuscite a far cambiare idea a chi, con motivazioni diverse, si è rivolto a loro.
Fonte: Silvia LUCCHETTI | Aleteia.org