ROMA – “La tragedia della Marmolada, legata senza dubbio all’abnorme riscaldamento della temperatura in tutta l’area, deve darci una lezione: basta una minima variazione nel clima perché si sviluppino effetti disastrosi a cascata. E questo deve mettere a tacere tutti i “climatoscettici”». Quando si dice l’antesignano. Pascal Acot, classe 1942, discusse la sua tesi di dottorato presso l’istituto di Storia delle scienze alla Sorbona, relatore il grande filosofo François Dagognet, nel 1986. Titolo: la storia dell’ecologia scientifica. Dopo pochi anni entrò quale ricercatore ambientale nel Centre national de la recherche scientifique presso la stessa università di Parigi. È diventato un guru degli storici dell’ecologia e come tale si può permettere qualche provocazione.
La variazione del clima sul posto non era “minima”: più di dieci gradi di temperatura a quella quota da giorni, dove fino all’anno scorso si sciava, è qualcosa che doveva mettere in allarme…
«Le dirò di più: tutte le Alpi sono interessate da un riscaldamento anomalo. Un ghiacciaio che conosco bene, la Mer de Glace sul versante francese del Monte Bianco, è oggi di sedici metri meno “spesso” di quanto non fosse nel 1600. Quando parlavo di piccoli scostamenti mi riferivo per esempio al fatto che la temperatura media del pianeta è oggi più alta di 1,2 gradi rispetto al 1880, l’epoca pre-rivoluzione industriale. E il tasso di anidride carbonica, CO2, nell’atmosfera mondiale è salito dello 0,039% che possiamo tutt’al più arrotondare allo 0,04%. Sembrano cifre poco importanti, ma oggi sappiamo che possono provocare effetti anche drammatici».
Disastri in Europa, in Estremo Oriente… Ma è tutto dovuto ai comportamenti umani?
«Qui sta il punto. Che ci sia una componente umana non lo mette in dubbio più nessuno. Però con altrettanta lucidità dobbiamo chiederci se ad essa non si affianchi un’attività solare analoga a quella che per centinaia di milioni di anni ha regolato il passaggio dalle epoche di surriscaldamento a quelle di glaciazione, come documentato dagli storici del clima, attività che potrebbe addirittura avere un ruolo preponderante. Su questo vorrei che s’interrogasse fino a raggiungere delle certezze inoppugnabili il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, il foro scientifico dell’Onu, che ancora non ci ha dato una spiegazione esauriente. Credo di sapere perché».
Può dircelo anche a noi?
«Mi limito a constatare certe “stranezze”. Robert Watson, un politico puro che ha avuto alte responsabilità alla Casa Bianca e alla Banca Mondiale, è stato presidente fino al 2002 del gruppo in questione — la task force dell’Onu dove lavorano oltre duemila scienziati e che produce ascoltatissimi rapporti — senza essere assolutamente un’autorità in materia. È stato sostituito da un climatologo? Certo che no: da Rajendra Pachauri, un ingegnere ferroviario. Dopo, altra sostituzione, e siamo arrivati al 2015: il sudcoreano Hoesung Lee. Udite udite: un economista, responsabile della strategia di sviluppo di Exxon».
Ci sta dicendo che troppi interessi si muovono intorno alla questione climatica perché si affronti il tema con decisione?
«Ma lo sapete che c’è tanta di quella indefinitezza che ancora non esiste la prova scientifica finale che alcune misure vincolanti prese in Europa a valere sui prossimi decenni, molte delle quali con conseguenze penalizzanti sulle popolazioni più povere, siano davvero utili?»
A cosa si riferisce?
«Vorrei vederci più chiaro perfino nella elettrificazione forzata del parco auto. Ma da dove verrà tutta l’energia elettrica necessaria per il settore trasporti o per i nuovi standard architettonici? Non cederò alla facile polemica dell’“a chi giova?”. Però, di certo, c’è chi vedrà aumentare i propri profitti da tutta questa rivoluzione».
Però non negherà che si sta diffondendo una coscienza ecologista soprattutto presso i giovani, turbati da vicende come quella della Marmolada?
«Sì, però poi intanto in America è stato appena dato il via a nuove esplorazioni petrolifere in Alaska e si continua con la devastante pratica del fracking, lo sgretolamento violento degli strati più profondi degli scisti bituminosi alla ricerca dello “shale oil” o del gas».
Quindi è vero che la minaccia per il clima viene dai combustibili fossili?
«Ma sì, certo, sono i principali indiziati. Vorrei solo che agli slogan gridati come quelli di Greta Thunberg si accompagnasse un’esplorazione più profonda di scienziati e ambientalisti perché ancora tante sono le domande»