La crisi che ha portato alle dimissioni di Draghi non è politica, non è economica né dipende dalla pandemia o dalla guerra. Si tratta della crisi dell’uomo occidentale e cristiano e senza andare in profondità ci illuderemmo di poterla risolvere con qualche provvedimento o con un diverso risultato elettorale. Un articolo che uscirà sul mensile Tempi di agosto
È la parola più utilizzata negli ultimi giorni e settimane. Per tutti è una parola usata per spiegare la crisi politica che ha portato alle dimissioni del Presidente del Consiglio Mario Draghi, per qualcuno è qualcosa di più profondo che risale, in Italia, alla fine della Prima Repubblica, conseguente alla crisi dei partiti politici che erano i protagonisti principali di quella stagione politica.
Quest’ultima analisi certamente si avvicina di più alla realtà. La crisi italiana è conseguente a quel terremoto scoppiato nel 1989 con la caduta del Muro di Berlino e con la successiva fine dell’URSS, nel 1991. Da allora è iniziato un continuo smottamento del terreno politico, che non si è mai fermato, in Italia incentivato dalla stagione di Tangentopoli. Sono nati nuovi partiti e un sistema elettorale parzialmente maggioritario ha favorito la nascita di due fronti contrapposti, il centrodestra e il centrosinistra, composti dai nuovi partiti eredi (solo in parte) dei precedenti partiti della Prima Repubblica. In questi tre decenni anche all’interno delle due coalizioni si sono registrati molti cambiamenti e diversi protagonisti della vita politica sono scomparsi, o sono stati molto ridimensionati. Achille Occhetto, Gianfranco Fini, Umberto Bossi, Matteo Renzi, per fare solo alcuni nomi, non sono più rilevanti, pur avendo ricoperto ruoli pubblici significativi e conosciuto un’attenzione mediatica importante. La Lega, il primo partito post-ideologico, è diventato il più antico fra quelli presenti in Parlamento. Partiti e gruppi parlamentari nuovi sono nati come funghi, molti sono già scomparsi, altri, come il “movimento-non-partito” dei 5 Stelle, probabilmente scompariranno alle prossime elezioni politiche.
Quando la crisi sembrava superare i limiti, sono stati chiamati alcuni tecnici a guidare il Paese, come Mario Monti e lo stesso Draghi. Il primo è uscito dalla scena pubblica relativamente presto, dopo aver “salvato” l’Italia (così sostengono i suoi fans), mentre il secondo è oggi al termine della sua breve esperienza alla guida del governo. Sarà cosa utile analizzare in altra occasione e più in profondità questa tendenza, rivelatasi negli ultimi decenni, a sostituire l’inadeguatezza della classe politica con l’intervento di “tecnici prestati alla politica”, che peraltro, è stato il caso di Draghi, alla fine si sono rivelati molto meno tecnici e più sbilanciati politicamente di quanto si potesse pensare.
In qualche modo il Bel Paese se la caverà anche questa volta. Ci saranno conseguenze anche gravi, ma è da dimostrare che un’altra politica avrebbe migliorato la situazione. Quello che non è opinabile è che i governi nati dopo le dimissioni “forzate” di Silvio Berlusconi, nel 2011, hanno introdotto o cercato di introdurre le peggiori leggi sul piano antropologico. E questo aspetto non va mai dimenticato, perché il bene comune di un Paese si fonda anzitutto su quei principi fondamentali che ineriscono alla vita, alla centralità della famiglia, alla crescita demografica, alla libertà religiosa e di educazione, senza dimenticare gli aspetti sociali ed economici, ma senza pensare che siano gli unici meritevoli di attenzione.
Tuttavia, la parola crisi evoca qualcosa di molto più grave, anche se pochi colgono questa profondità del termine. Non si tratta solo di crisi economica o politica, ma di una crisi epocale, che è unica e universale, riguarda specificamente l’uomo occidentale e cristiano, ed è la caratteristica dominante della nuova epoca in cui viviamo, non semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca, come ripete spesso il Santo Padre Francesco.
Se le cose stanno così, non basta preoccuparsi di superare le crisi economiche o politiche dell’Occidente, non basta uscire dalla pandemia o riportare la pace fra Russia e Ucraina, né tantomeno ritrovare un equilibrio, in Italia, fra i diversi partiti che possa garantire un governo. Né basta illudersi che quando finalmente sarà concesso agli italiani di votare, e così esprimere un governo eletto dal voto popolare e non da decisioni del “Palazzo”, tutto questo basterà per uscire dalla crisi.
Questi passaggi vanno fatti, e non vanno né disprezzati, né sottovalutati, ma ci vuole molto di più, ci vogliono uomini che sappiano leggere la profondità di questa crisi e non si illudano di fronte a soluzioni che non risolvono.
Fonte: Marco INVERNIZZI | AlleanzaCattolica.it