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Cercasi vita eterna

«Dio promette la vita eterna. Noi la recapitiamo a domicilio». Così recita il volantino pubblicitario di una droga, il Chew-Z, che arriva sul mercato interplanetario in uno dei romanzi più spaesanti di Philip K.Dick, Le tre stigmate di Palmer Eldritch (1964), che, secondo lo scrittore Emanuele Carrère, ha segretamente ispirato film come The Truman Show e Matrix. Nel romanzo di Dick gli uomini abitano in tutto il sistema solare, la Terra è diventata quasi invivibile per il caldo ma, per sopportare la terribile vita su altri pianeti come Marte, i coloni terresti si procurano dei plastici con le miniature di un uomo e una donna bellissimi. Quando si assume il Can-D, una vecchia droga allucinogena, si entra nella vita perfetta di questi personaggi alla Barbie e Ken. Per questo gli uomini impegnano tutti i loro risparmi per comprare sempre più scenari e accessori del plastico e fuggire dall’insopportabile vita ordinaria, anche se tornati alla realtà, essendo rimasto tutto come prima, non si vede l’ora di assumere un’altra dose. Ma Palmer Eldritch, magnate del sistema solare, scopre una nuova droga prodigiosa, il Chew-Z, che, a differenza del Can-D, consente di entrare non in un plastico ma in un livello di realtà precluso alla coscienza e di cui Dick era indagatore: dietro al mondo c’è un altro mondo che noi non vediamo accontentandoci di una messa in scena dentro la quale recitiamo una parte. Ma che cosa c’è dietro la scenografia? Una vita eterna? E in che consiste?

Dall’ossessione per questo livello invisibile di realtà nascono i racconti che hanno ispirato film e serie come Blade runner, Minority report, The man in the high castle, Philip K.Dick’s Electric dreams… Per Dick quella che chiamiamo realtà è cartapesta che nasconde il reale vero e proprio. Il Chew-Z, la nuova droga che nel romanzo consente di accedere a questo livello del reale, non permette semplicemente di fuggire in un altro mondo come le droghe tradizionali, ma di riformulare (almeno in modo immaginario) il vissuto a proprio piacimento, modificando passato e presente, come in un sogno a occhi aperti. Con questa libertà assoluta (anche se solo immaginata) la vita eterna a domicilio è possibile. Ma che cosa è la vita eterna di cui noi uomini, credenti o no, abbiamo bisogno in quanto esseri che sanno di dover morire? Al contrario di quello che ci si potrebbe aspettare, «eterna», anche nel linguaggio biblico, non indica innanzitutto la vita dopo la morte ma quella che vince la morte già adesso, è la vita «come dovrebbe essere» e che noi intuiamo nei nostri desideri: una vita in cui l’amore è per sempre, le condizioni di lavoro sono giuste, la politica lotta per il bene comune, un bambino non soffre…

La vita eterna è quella vita traboccante di senso di cui facciamo esperienza in alcuni istanti indimenticabili che infatti chiamiamo di salvezza, come l’innamoramento. La vita eterna non è la proiezione dei desideri in un cielo irraggiungibile, oppio religioso necessario per farsi piacere l’esistenza, ma è il desiderio innestato nel cuore che misteriosamente sa come dovrebbero andare le cose e si sente chiamato a realizzarle. Palmer Eldritch, genio del male, promette proprio questa vita eterna con l’assunzione di una droga, ma c’è un prezzo molto alto da pagare per avere la sua vita eterna sintetica: si cade sotto il suo dominio. Da un lato abbiamo la fuga in vite che non sono la nostra, come permette di fare il Can-D, la vecchia droga che proietta nelle vite di plastica, il tipo di fuga proposto dalla pubblicità, che manipola il nostro desiderio di infinito scambiandolo con la somma senza fine di piccoli finiti acquistabili. Dall’altro lato abbiamo il Chew-Z, la nuova potentissima droga di Eldricht, che permette di modificare il proprio passato e presente, soggiornando in una vita immaginaria a forma dei nostri desideri e senza cadute, fallimenti o ferite. Assomiglia a ciò che ci accade con Internet, dove costruiamo sogni a occhi aperti in un’infinta bolla cognitiva ed emotiva fuori dallo spazio e dal tempo. Ma così, pur di avere almeno un’ipotesi di eterno, regaliamo i nostri dati ai grandi gestori che, profilandoci indirizzano le nostre scelte future: preferiamo diventare risorse da esaurire piuttosto che lottare per essere protagonisti di una vita eterna reale e non digitale. Perdere la libertà è un prezzo che paghiamo volentieri, perché essere liberi ci costringe a fare scelte e a portarne il peso: le masse permettono così le piccole e grandi dittature. Ma mentre la pubblicità offre prodotti che rimandano alla realtà (per essere felice devo possederli), la rete, che presto avrà la forma del metaverso (i nostri profili saranno viventi ma nel mondo plasmato dal dio Algoritmo, con conseguenze ben descritte da Eric Sadin in Critica della ragione artificiale soprattutto in termini di perdita di libertà e quindi di creatività e di gioia di vivere), ci offrirà una felicità senza bisogno di realtà o addirittura contro la realtà, come confessa il protagonista del romanzo di Dick: assunta la droga della vita eterna «non puoi sgusciarne fuori. Anche se pensi di essertene liberato, ci sei ancora invischiato. È un accesso a senso unico e io ci sono ancora dentro».

Chi di noi saprebbe e potrebbe rinunciare alla rete e ai social oggi? La nostra vita, essendo noi esseri in cerca di senso (ci concepiamo come storie che hanno un destinazione), si costruisce sempre attorno all’idea che abbiamo della vita eterna: Dick non solo aveva visto che la vita eterna dei suoi contemporanei era manipolata dalla pubblicità, ma aveva anche pre-visto che nel futuro la vita eterna sarebbe stata nelle mani degli inventori di una forma di controllo più dolce e pervasiva, sostitutiva del reale. Il capitalismo della sorveglianza, come lo ha definito Shoshana Zuboff nel libro omonimo, ci trasforma in risorsa da cui trarre dati manipolando abilmente proprio il nostro desiderio di vita eterna: il metaverso ne sarà la realizzazione compiuta. Per quel che mi è dato vedere le nuove promesse di vita eterna riguardano infatti l’eliminazione definitiva del corpo (avatar nel metaverso e cyborg nell’universo), così da raggiungere la vittoria sulla natura e sul tempo, cioè quelle due cose che ancora ci costringono a morire. Nel romanzo di Dick infatti le tre stigmate di Palmer Eldritch menzionate nel titolo sono i segni che compaiono sul corpo di chi entra nel suo mondo parallelo: la propria mano, i propri occhi e la propria bocca diventano robotici, cioè l’azione, lo sguardo e la parola non sono più umani, si diventa sì felici, ma dis-umanamente. Noi non possiamo vivere senza vita eterna, ma spesso la costruiamo sul potere, la scorciatoia di chi è convinto che sia il controllo, e non l’amore, a conferirci un’identità e una presa talmente forti sulla vita da vincere anche la morte: assomigliamo a falene che continuano a bruciarsi le ali alla luce che le attrae o a uccelli che sbattono contro vetri che non sono il cielo ma lo riflettono. Chi ha la tecnica per vendere l’eterno sarà sempre il padrone del mondo e offrirà il suo oppio ai popoli, ma noi saremo liberi e felici solo quando costruiremo la vita eterna sull’amore. Un amico in attesa di un figlio, di fronte alle mie paure di mettere al mondo un figlio in questo mondo, mi diceva con serenità: «L’essere di questo bambino si giocherà sempre e solo su una cosa, quanto sarà amato e quanto amerà, il resto è di superficie». Ha ragione: io divento eterno, oggi, di lunedì, solo quanto e quando amo e sono amato, questo è «il reale della realtà», che non richiede dipendenze e fughe immaginarie, ma solo tanto coraggio e tanto corpo. Io per esempio non saprei che farmene di una vita eterna che non abbia la tenerezza dell’abbraccio della donna che amo, i volti degli studenti che ho seguito per anni, la chiacchierata con un amico, la bellezza di un panorama in montagna o di un cielo stellato in mezzo al mare come quelli che ho goduto questa estate, la felicità di mia nipote quando la faccio volare in aria, la musica di Beethoven o una pagina di Omero… La vita eterna a domicilio non è il dono di una droga del controllo, ma luoghi in cui il senso della vita trabocca perché sono pieni d’amore, da ricevere e da dare. Sta a noi scegliere dove e quali sono questi luoghi e contribuire a costruirli: ne va della nostra vita (eterna).

Fonte: Alessandro D’AVENIA | Corriere.it

 

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