Papa Francesco ha mediato personalmente per facilitare lo scambio di prigionieri tra Russia e Ucraina. Una notizia che negli ambienti diplomatici circolava da tempo ma che ora è stata confermata dal Pontefice nel corso del consueto incontro con i gesuiti al termine dei viaggi apostolici.
“Sono venuti da me alcuni inviati ucraini. Tra questi il vicerettore dell’Università Cattolica dell’Ucraina, accompagnato dall’assessore per le questioni religiose del Presidente, un evangelico”, ha rivelato papa Francesco incontrando in Kazakistan 19 gesuiti che operano nella cosiddetta «Regione russa» della Compagnia di Gesù. “Abbiamo parlato, discusso. È venuto anche un capo militare che si occupa dello scambio dei prigionieri, sempre con l’assessore religioso del presidente Zelensky. Questa volta – aggiunge il Papa lasciando intendere che vi fossero stati altri colloqui – mi hanno portato una lista di oltre 300 prigionieri. Mi hanno chiesto di fare qualcosa per operare uno scambio. Io ho subito chiamato l’ambasciatore russo per vedere se si poteva fare qualcosa, se si potesse velocizzare uno scambio di prigionieri”.
La conversazione è stata raccolta dal direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, presente all’incontro. È inclusa nel quaderno 4135, in uscita sabato.
Il Pontefice ha sempre voluto tenere aperta la porta del dialogo fin dal primo istante del conflitto. “Voglio ricordare che il giorno dopo l’inizio della guerra sono andato all’Ambasciata russa”, ha precisato ricordando il colloquio con l’ambasciatore di Mosca presso la Santa Sede. “Si è trattato di un gesto inusuale: il Papa non va mai in Ambasciata. Riceve gli ambasciatori personalmente solamente quando presentano le credenziali, e poi al termine della loro missione in visita di congedo. Ho detto all’ambasciatore – ha spiegato papa Francesco – che avrei voluto parlare con il presidente Putin purché mi lasciasse una piccola finestra di dialogo”.
Allo stesso tempo, “ho anche ricevuto l’ambasciatore ucraino e parlato due volte con il presidente Zelensky al telefono. Ho inviato in Ucraina i cardinali Czerny e Krajewski, che hanno portato la solidarietà del Papa. Il segretario per i rapporti con gli Stati, monsignor Gallagher, è andato in visita. La presenza della Santa Sede in Ucraina ha il valore di portare aiuto e sostegno. È un modo per esprimere una presenza”. Il viaggio a Kiev non è affatto escluso: “Avevo in mente di poter andare. Mi sembra che la volontà di Dio sia di non andare in questo preciso momento; vediamo poi in seguito, però”.
Ma cosa pensa il Papa del conflitto scatenato il 24 febbraio da Mosca? A questa domanda il Pontefice risponde spazzando via ogni speculazione: “Quando è venuto in visita un vescovo cattolico ucraino, io gli ho consegnato un plico con le mie dichiarazioni sul tema. Ho definito l’invasione dell’Ucraina una aggressione inaccettabile, ripugnante, insensata, barbara, sacrilega… Leggete tutte le dichiarazioni!”. Tuttavia se ne farsi del conflitto occorre stare accanto alle vittime, questo non deve impedire di riflettere.
“Qui la vittima di questo conflitto è l’Ucraina. Io intendo ragionare sul perché questa guerra non sia stata evitata. E la guerra è come un matrimonio, in un certo senso. Per capire, bisogna indagare la dinamica che ha sviluppato il conflitto. Ci sono fattori internazionali che hanno contribuito a provocare la guerra. Ho già ricordato – dice il Papa – che un capo di Stato, a dicembre dello scorso anno, è venuto a dirmi di essere molto preoccupato perché la Nato era andata ad abbaiare alle porte della Russia senza capire che i russi sono imperiali e temono l’insicurezza ai confini”.
Non una malintesa giustificazione, dunque, ma la preoccupazione per le ricadute. “Lui ha espresso paura che ciò avrebbe provocato una guerra, e questa è scoppiata due mesi dopo. Dunque, non si può essere semplicisti nel ragionare sulle cause del conflitto. Io vedo imperialismi in conflitto. E, quando si sentono minacciati e in decadenza – osserva ancora papa Francesco – gli imperialismi reagiscono pensando che la soluzione sia scatenare una guerra”.
Fonte: Nello SCAVO | Avvenire.it