Cosa può cambiare l’assegnazione del Nobel in una situazione geopolitica devastante? E cosa cambia il digiuno dei cristiani? Eppure molti credono che la coscienza civile e lo spirito umano possano cambiare il mondo. Alcuni commenti al Nobel.
Venerdì 7 ottobre è stato un giorno in cui in Russia le linee della storia si sono incontrate e annodate in un intreccio drammaticamente simbolico: compleanno di Putin e insieme anniversario dell’assassinio di Anna Politkovskaja (sua indomita accusatrice); quello stesso giorno nell’aula di un tribunale di Mosca l’Associazione Memorial è stata privata fraudolentemente della propria sede (con tutto l’inestimabile archivio che contiene), ma nel contempo è giunta la notizia che il Comitato del Nobel aveva assegnato il premio per la Pace proprio a Memorial. Sempre il 7 ottobre la Conferenza episcopale cattolica russa ha indetto una giornata di preghiera e di digiuno secondo le indicazioni di papa Francesco, per non «abituarci alla guerra, né rassegnarci alla sua ineluttabilità».
Così guerra e ingiustizia, violenza e digiuno, memoria e speranza si sono unite in un unico boccone. Talvolta la vita ci obbliga a fronteggiare realtà che ci soverchiano, ma tra gli eventi angosciosi si infila un raggio di luce.
Con Memorial sono stati premiati l’associazione ucraina per i diritti umani Center for Civil Liberties e l’attivista bielorusso Ales’ Bjaljacki, ora in prigione; due organizzazioni e una persona, ma in realtà si tratta di persone perché questo è al centro della loro attività: il valore irriducibile della persona umana. Che si tratti di denunciare le attuali violazioni dei diritti umani in Bielorussia e, prima, gli eccidi del regime sovietico, come fece Bjaljacki sin dall’inizio degli anni ’80 quando organizzò una manifestazione per ricordare le vittime delle fosse comuni di Kuropaty (presso Minsk: oltre 30.000 corpi), che si tratti di denunciare i crimini contro l’umanità che caratterizzano l’aggressione russa in Ucraina di questi giorni, che si tratti di testimoniare le tragedie che hanno segnato la storia del regime sovietico, sempre, in tutti e tre i casi, il cuore è l’uomo.
Non è una mossa politica che muove queste tre realtà, ma quella spinta di natura morale che ha sempre caratterizzato il dissenso dei paesi dell’Est ai tempi sovietici e che adesso rinasce in forme diverse. Forme diverse ma sempre uguale la ragione, perché «l’uomo è l’unità di misura di Memorial», come diceva Arsenij Roginskij, che di Memorial fu presidente dal 1998 alla morte nel 2017.
In un mondo che sembra non saper trovare le ragioni di nulla, non è stata una mossa politica neanche quella del Comitato norvegese di assegnare il premio Nobel a queste realtà, è stato piuttosto riconoscere che la solidarietà trasversale – tra popoli oggi resi nemici – praticata dai difensori dei diritti umani rappresenta la vera sfida di una ragione che ci permette di non disperare.
Nel comunicato ufficiale è detto infatti che «i premiati col Nobel per la pace rappresentano la società civile dei propri paesi. Per molti anni hanno difeso il diritto di criticare il governo e hanno tutelato i diritti fondamentali della persona. Hanno compiuto sforzi enormi per documentare i crimini di guerra, le violazioni dei diritti umani e gli abusi del potere. Presi insieme, stanno a dimostrare l’importanza della società civile per la pace e la democrazia».
S. Pietroburgo, «Liquidate le repressioni, non Memorial» – M. Singch. (P’jatnica)
Non siamo più dimenticati!
Cosa può cambiare un premio Nobel davanti alla violenza politica? In questi giorni convulsi abbiamo raccolto a caldo i commenti di alcuni intellettuali, in Russia e fuori.
Andrej Zubov, storico
«Questo premio ha un’importanza enorme, già la posso misurare dalle nostre reti social, dove si è levata un’onda di vero tripudio, perché nei paesi autoritari, dove viene controllata ogni fonte d’informazione, si ha sempre l’impressione di essere stati dimenticati, che Memorial fosse stato dimenticato. Lo hanno dichiarato “agente straniero”, è stato chiuso, sembrava che non ci fosse più. E invece eccolo qui, esiste eccome, nel mondo lo ricordano e a un livello talmente alto da ricevere il premio Nobel. È una cosa che incoraggia e ci dà forza.
Il lavoro di Memorial in Russia è molto necessario. Il suo compito essenziale è quello di recuperare e trasmettere la memoria oggettiva dei crimini del regime totalitario, memoria che viene cancellata anche oggi: gli archivi sono chiusi o vengono distrutti, viene secretato tutto ciò che si può, molti fatti storici vengono falsificati vergognosamente.
Senza memoria non può esistere l’uomo, non può esistere una società; di fatto questa memoria collettiva oggi per la Russia è rappresentata dall’Associazione Memorial (lo dice il suo nome stesso). Il fatto che la comunità mondiale l’apprezzi è estremamente importante.
È probabile che tutto questo non arriverà all’uomo della strada, per ora, ma la sociologia non è l’unica dimensione della coscienza civile. Talvolta, anzi di norma, le élites culturali di una società si trascinano dietro l’uomo della strada. Ed è molto importante che oggi questa élite culturale sia rianimata dalla notizia. Sono convinto che tramite la mediazione di questa élite – che va dall’insegnante di scuola al docente universitario, allo scrittore, al giornalista e allo sceneggiatore – questa grande notizia arriverà anche al russo comune.
All’inizio della perestrojka era uscito il romanzo di Čingiz Ajtmatov, Il giorno che durò più di un secolo, dove il grande scrittore introduceva la figura del mankurt, un uomo cui i nomadi dell’Oriente toglievano appositamente la memoria; da quel momento la parola mankurt è entrata nella nostra realtà e ha assunto un’accezione fortemente negativa, poiché chi è al potere, sia quello sovietico che quello attuale, cerca regolarmente di fare dei cittadini russi dei mankurt. Memorial ha fatto di tutto per impedirlo.
Non si tratta di un’organizzazione come tante pur ottime, ad esempio l’Unione delle mamme dei soldati o infinite altre che esistono in Russia, Ucraina, Bielorussia; Memorial è qualcosa di più, è qualcosa di fondamentale per la vita, perché senza memoria storica gli uomini diventano dei mankurt. Perciò questa organizzazione sarà importantissima nella nuova Russia che verrà dopo Putin, e svolgerà il suo ruolo senza divieti, sostenuta dal governo e dalla società, e tutti godremo dei frutti che la restaurazione della memoria porterà alla società.
A un certo punto ci è parso che il passato totalitario fosse scomparso, che con la liberazione dei prigionieri quel periodo fosse terminato. Tutto andava nella giusta direzione ma poi si è fermato, con l’ascesa al potere di Putin, l’ex ufficiale del KGB. Sicuramente El’cin ha fatto un errore madornale quando si è scelto come successore un colonnello del KGB, in cambio abbiamo avuto la cancellazione della memoria, varie guerre terribili in Cecenia, Georgia, Ucraina, Siria, Africa. Il bolscevismo è tornato in questa forma e in questo senso Memorial deve occuparsi oggi non solo dello stalinismo ma anche del nostro presente; deve studiare i crimini che il regime di Putin ha perpetrato contro il proprio popolo russo, e anche contro i popoli di quei paesi. Si può dire che la missione di Memorial è quella di compiere un lungo lavoro di risanamento della società russa dal terribile fardello del totalitarismo.
E poi c’è un altro aspetto essenziale: Memorial si fonda su qualcosa di radicalmente diverso dai principi del comunismo o del putinismo, e cioè non sui valori collettivi, sulla società come intero, ma di ogni singolo uomo concreto.
Non dirà mai che quando si taglia il bosco volano le schegge, perché si occupa di ogni singola scheggia.
Non a caso il 30 ottobre, giorno della memoria delle vittime, organizza la lettura dei nomi delle vittime, non fornisce i dati globali: tot vittime, tot fucilati, ma riesuma nome, cognome, data di nascita, professione, data della fucilazione. Memorial si preoccupa di recuperare la cosa più importante, ossia la memoria della persona e della sua dignità individuale.
È la stessa cosa che facevano Ales’ Bjaljacki e l’organizzazione ucraina Centro per le libertà civili. La loro è un’ispirazione comune: nei nostri paesi, dove la gente ha perso i contatti col valore della persona, Memorial e gli altri hanno restaurato questo valore, compiendo il passaggio – forse senza neanche accorgersene – dal collettivismo al personalismo cristiano.
Certo, il premio non costituisce un aiuto concreto in questo momento, sarebbe troppo semplice. Se la mettiamo così neanche Solženicyn né Sacharov sono stati salvati dal Nobel. Il premio significa altro, dice dell’apprezzamento, della stima dell’opinione pubblica mondiale, per cui in sostanza è un grandissimo onore che dei nostri compatrioti come Solženicyn, Sacharov, Gorbačëv abbiano ricevuto il premio Nobel. Ed ora anche Muratov e Memorial. Per loro personalmente non è una assicurazione, né la garanzia di sicurezza piena, è vero anzi il contrario, produrrà un odio ancora maggiore verso Memorial e il povero Bjaljacki che si trova in condizioni terribili in prigione, ma il mondo saprà che esistono e che sono degli eroi. Questo conta».
Ol’ga Sedakova, poetessa, filosofo
«La notizia del triplice premio al di sopra dei confini statali è come un lampo che ha squarciato l’oscurità impenetrabile. Mi ha dato una felicità immensa, tanto più che da un bel po’ c’era poco da esser felici.
Certo, oggi gioisce solo una parte della società… Forse pochi in Russia sanno cos’è Memorial; però a pensarci bene non sono neanche così pochi, migliaia di persone hanno partecipato alle iniziative di Memorial. Invece la posizione ufficiale sarà sicuramente negativa, ormai l’immagine di Memorial è stata praticamente cancellata dalla vita pubblica.
A me è molto piaciuta la scelta del Comitato norvegese, mi sembra molto saggia, ci vedo l’apprezzamento per un lavoro immenso che non è certo politico. Hanno apprezzato il fatto che Memorial restituisce dignità umana alle vittime. Mi piace molto anche che abbiano diviso il premio fra tre realtà che difendono i diritti della persona, infatti mi amareggia molto il modo che si ha oggi di ragionare per categorie generali: i russi, i bielorussi, gli ucraini. È bello vedere l’unità fra uomini che operano in paesi diversi.
Difficile prevedere quale ricaduta possa avere il premio sul paese. Penso che non avrà effetti concreti immediati. Memorial viene continuamente vessato, e per coloro che lo perseguitano il premio Nobel non ha nessun significato, non è un salvacondotto. Abbiamo visto l’anno scorso che hanno dato il premio a Muratov, ma il suo giornale «Novaja gazeta» non si è salvato. Non ci saranno conseguenze evidenti ma cambierà l’atmosfera generale, e chi combatte per i diritti ora sente di non essere stato dimenticato, che il suo lavoro ha un senso».
«Memorial si preoccupa di recuperare la cosa più importante, ossia la memoria della persona e della sua dignità individuale».
Nikolaj Epple, storico, anglista
«La scelta del Comitato del Nobel è importante sotto due punti di vista.
Il primo, in una situazione di guerra, che aumenta all’infinito la tentazione di spezzare ogni tipo di legame tra Ucraina, Russia e Bielorussia, è stato saggio ricordare che i difensori dei diritti e la società civile di questi paesi in realtà collaborano a un’opera comune;
la pace prima o poi si dovrà pur fare, per cui riconoscere quest’opera comune e conservare i legami possibili sono il pegno di uno sviluppo positivo del processo.
Secondariamente, non si è mai visto prima che per due anni consecutivi il premio Nobel per la pace venisse assegnato a cittadini dello stesso paese (l’anno scorso lo hanno dato a Dmitrij Muratov e alla «Novaja gazeta»). Significa che il mondo stima la resistenza al regime autoritario che esiste in Russia».
Adam Michnik, saggista, politico
«I miei complimenti ai membri del Comitato per il Nobel della pace. Questo premio, come di rado accade, risponde alle aspettative e alle necessità di quanti vogliono difendere la democrazia, i diritti dell’uomo e la pace in questo mondo attuale così a rischio.
È un premio a tutti coloro che voglio vedere il mondo senza occupazioni e aggressioni, senza plotoni d’esecuzione e senza bombe che cadono su scuole e ospedali, senza detenuti politici, senza menzogna e violenza.
Il premio di quest’anno è un simbolo di speranza per tutti gli ucraini, i bielorussi e anche i russi che hanno avuto abbastanza coraggio e decisione da opporsi ai dittatori spregevoli Putin e Lukašenko.
Questo premio testimonia che sopravvive lo spirito di Sacharov e di Mandela, lo spirito dell’indomito intellettuale cinese Liu Xiaobo, lo spirito di Lech Wałęsa e di Solidarność, lo spirito di Havel e di Charta 77, lo spirito di Kolakowski e di Miłosz, di Camus e Orwell, lo spirito di Patočka e István Bibó.
Fino a che ci accompagnano, in barba a cattivi e bugiardi, saremo fedeli sino in fondo ai nostri principi: “misericordia per i deboli e speranza per i perseguitati”.
Sotto i nostri occhi e nelle nostre vite succederanno molti altri fatti tenebrosi, ma qualunque cosa accada oggi è la nostra festa, la festa di chi mostra il potere dei senza potere e non accetta di vivere nella menzogna».
Fonte: LaNuovaEuropa.it