Dopo l’attacco missilistico più pesante mai scatenato dalla Russia contro le città dell’Ucraina, che ha causato la morte di 19 persone, pensare anche solo che Mosca e Kiev possano sedersi attorno a un tavolo per trattare una risoluzione pacifica del conflitto è follia. Eppure, come dichiarava anche ieri Fausto Biloslavo a Tempi, ci sono segnali che qualcosa si muove sottotraccia: non sono ancora abbastanza per sperare che le armi lascino il posto alla diplomazia, ma si tratta di passi avanti.
Zaporizhia: Putin vede Erdogan
Ieri Vladimir Putin ha incontrato a San Pietroburgo il direttore generale dell’Aiea Rafael Grossi per parlare del futuro dell’impianto ucraino di Zaporizhia, di cui ormai il Cremlino ha acquisito il controllo e la proprietà (seppur «illegalmente», come sottolineato dall’Unione Europea). Grossi insiste da settimane per la creazione di una zona di sicurezza intorno alla centrale per evitare che l’impianto venga bombardato, anche solo per un tragico errore di calcolo.
E proprio la centrale nucleare potrebbe essere al centro dei colloqui che si terranno domani tra Putin e il presidente turco ad Astana, in Kazakistan. Recep Tayyip Erdogan, dopo l’accordo sul grano e quello sullo scambio di prigionieri, vorrebbe strapparne un terzo a Russia e Ucraina, per provare a far avanzare la logica dei negoziati a piccoli passi.
«Incontrare Biden? Siamo pronti»
Non possono essere considerate casuali nemmeno le dichiarazioni del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. Mentre il Cremlino brandisce il bastone dando spazio a personaggi cinici e senza scrupoli, come il leader ceceno Ramzan Kadyrov e la direttrice di Russia Today Margarita Simonyan, che invocano più missili, più morti, più danni alle infrastrutture civili ucraine, allo stesso tempo agita anche la carota.
Ieri Lavrov ha dichiarato: «Dagli Stati Uniti non abbiamo ricevuto nessuna proposta seria di colloqui, ma siamo pronti a considerare un’eventuale proposta di incontro tra Putin e Joe Biden al G20 di novembre in Indonesia, se questa venisse inoltrata».
Il G7 condanna la Russia
Se accadesse sarebbe una svolta importante e il gruppo di coloro che rema contro questa possibilità, non solo in Russia, è tanto affollato quanto quello di chi spera che la guerra finisca presto.
Ovviamente i colloqui non possono apparire come un segnale di debolezza davanti alla ferocia devastatrice di Putin e così il G7 ha sottolineato che «condanniamo i [recenti] attacchi [missilistici] nei termini più forti possibili. Gli attacchi indiscriminati sulla popolazione civile innocente costituiscono crimini di guerra. Ne chiederemo conto al presidente Putin e ai responsabili».
L’Ucraina non vuole trattare con Putin
Allo stesso tempo, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è tornato a chiudere la porta a ogni tipo di negoziato: «Non ci può essere alcun dialogo con l’attuale leader russo, che non ha futuro. Dobbiamo riconoscere questa ovvietà», ha dichiarato rivolgendosi ai leader del G7. «Ci possono essere colloqui solo con un altro leader della Russia, che rispetti la Carta delle Nazioni Unite. C’è solo una persona che in questo momento sta bloccando la pace, e questa persona è a Mosca».
Non è detto però che anche il governo ucraino non si stia comportando lontano dai riflettori in modo molto diverso dalle dichiarazioni pubbliche che rilasciano i suoi responsabili. Qualcosa è trapelato nell’ultimo mese di una certa insoddisfazione degli Usa per alcuni comportamenti di Kiev, come l’attentato a Darya Dugina e l’attacco al ponte di Kerch. E l’Ucraina non può certo pensare di perdere il sostegno americano.
Fonte: Leone Grotti | Tempi.it