Un segnale di speranza arriva a squarciare il buio in cui è sprofondato il Libano ormai da anni, vittima di una crisi economica senza precedenti, in piena bancarotta e affamato di elettricità. È stato infatti raggiunto un accordo preliminare con Israele dopo una lunga disputa per la definizione dei confini marittimi e la spartizione delle quote di sfruttamento intorno a un grande giacimento di gas in un braccio di mare di alcune centinaia di chilometri quadrati dove si trovano due giacimenti di gas naturale già noti, Karish e Qana, nel mare davanti ai due Paesi. Non è stato facile, perché Israele e Libano dopo la guerra del 1948 non hanno mai firmato un armistizio e tecnicamente sono ancora in stato di guerra, ma sia Gerusalemme che Beirut si dicono soddisfatti dell’accordo, raggiunto grazie alla mediazione americana e francese.
“Con questo accordo” ci ha detto in questa intervista monsignor Mounir Khairallah, eparca cattolico maronita di Batrun, in Libano, “finalmente il mondo tornerà a guardare al Libano, perché oggi il gas, l’energia, è un interesse mondiale di prima necessità e questo ci permetterà, se non di uscire, almeno di cominciare ad affrontare la nostra terribile situazione economica”.
Questa bozza di accordo sui giacimenti di gas con Israele apre uno spiraglio di luce per il Libano?
Parliamo di speranza, è una parola più cristiana che umana. È una finestra che si apre sul nostro futuro, perché la comunità internazionale finalmente tornerà a volgersi a noi, visto che questa fascia di mare sembra sia ricca di gas. L’intesa dovrà essere firmata il 20 ottobre, ancora non c’è la sicurezza totale, ma è già molto.
L’ex primo ministro israeliano Netanyahu è però stato molto critico, dicendo che si tratta di una resa nei confronti di Hezbollah. Che ne pensa?
Non desidero entrare nella problematica politica internazionale, piuttosto mi sento di dire che anche questo è un buon segno di riappacificazione ai nostri confini meridionali. Le parole di Netanyahu probabilmente hanno peso all’interno di Israele, dove fra due settimane si voterà, per cui c’è lotta fra le varie parti politiche. Vediamo dopo il voto cosa succederà, noi siamo comunque pronti e, se l’accordo non sarà confermato, vedremo cosa fare.
Anche in Libano si terranno nelle prossime settimane le elezioni presidenziali. Come è il morale del popolo libanese dopo tante sofferenze? C’è attesa per il nuovo presidente o la gente è sfiduciata dalla politica?
Il morale tiene, nonostante tutto. I libanesi sperano nell’elezione di un presidente. Non è possibile che continui il vuoto presidenziale che stiamo vivendo. Speriamo che le parti politiche si mettano d’accordo, abbiamo ancora due settimane. C’è comunque la ricerca di un consenso per eleggere il nuovo presidente.
In questi anni vi siete sentiti abbandonati dalla comunità internazionale, soprattutto dall’Europa?
Sì, fino a oggi sì. Adesso con questo accordo potrebbe cambiare tutto.
Il Libano è sempre stato terra di convivenza fra religioni e culture diverse. Come è adesso la situazione?
Il termine che noi libanesi amiamo usare è convivialità, non convivenza. Non è un gioco di parole, esprime bene la nostra realtà. Al di là della classe politica e di chi se ne approfitta, i libanesi la vogliono e ne sono convinti. Come diceva il Santo Padre Giovanni Paolo II, siamo terra di tutti e ci crediamo ancora, nonostante ci siano state guerre e conflitti interni. Il popolo vuole continuare a vivere insieme nel rispetto delle diversità.
Siete anche terra di accoglienza, visto che da anni ospitate un grande numero di rifugiati siriani.
L’ospitalità libanese ha fatto sì che ufficialmente abbiamo accolto un milione e mezzo di siriani, che con i palestinesi che ospitiamo rappresentano quasi il 40% della popolazione. Oggi però è diventato un peso, i libanesi sono più poveri dei profughi. Loro ricevono aiuti in dollari contanti, noi siamo praticamente senza soldi.
Il vostro è un esempio per tutti noi cristiani d’Occidente. Che parola ci può dire al proposito?
La speranza di riuscire a ricostruire il Paese è sempre forte, anche con l’aiuto della comunità internazionale, che al momento non vuole sentir parlare di ritorno dei siriani in Siria. Siamo convinti che presto accetteranno di aiutarli a tornare nel loro Paese, dando loro la possibilità di ricostruirlo. In quanto cristiani siamo convinti che siamo il lievito di questo Medio Oriente attraversato dalle guerre. È la nostra missione essere la presenza che testimonia Gesù sulla terra. E non ci rassegneremo mai.
Fonte: Paolo Vites int. Mounir Khairallah | IlSussidiario.net