Pubblichiamo l’intervento della dott. Giusy d’Amico al convegno: Il rischio educativo nel linguaggio dei media del 28 ottobre a Roma
Pubblichiamo l’intervento della dott. Giusy d’Amico al convegno: Il rischio educativo nel linguaggio dei media del 28 ottobre a Roma
La scuola non deve diffondere l’ideologia gender, come invece avviene con la Carriera Alias, che – oltre a costituire per diversi aspetti un illecito giuridico – viola il principio di precauzione, facendo proprio l’ approccio affermativo alla disforia di genere che molti studiosi, come gli autori e i firmatari dell’Appello comparso su diversi giornali europei (e ora diffuso in Italia dai promotori del convegno), considerano antiscientifico e lesivo dell’integrità psicologica e fisica dei minori.
Trovarci questa sera in una sala diversa da quella in Campidoglio, richiesta già a giugno per il nostro convegno da un consigliere comunale, non è un dettaglio: fino all’ultimo, dopo averci per tre volte spinto a cambiare il titolo dell’evento, non ci è stata data alcuna motivazione per il diniego, tanto che sappiamo essere stata presentata una denuncia per omissione di atti d’ufficio. Questa sera, comunque, non siamo qui per essere contro qualcuno, ma per continuare a confrontarci e parlare per il bene di bambini e adolescenti.
Perché la scuola non può fare propaganda per la fluidità e la transizione di genere? Perché a scuola non diremmo mai a un bambino vestito da Superman, che ci saluta dalla cima di una scala, che è davvero un supereroe e che quindi può volare e non diremmo mai a una ragazza che pesa 50 kg e che si vede grassa che può mettersi a dieta: dunque, non dovremmo dire ad una studentessa che sceglie un nome da maschio che lo è realmente! Ecco cosa succede se la realtà, invece di farti da specchio, si adatta alle tue fantasie: ci cadi dentro senza rete di sicurezza. Questo purtroppo a scuola avviene attraverso l’applicazione di protocolli illeciti come la Carriera alias, che consente a diversi studenti con una percezione identitaria confusa di farsi chiamare con un nome scelto diverso da quello anagrafico, trascritto sul registro elettronico come per magia, e avere bagni e spogliatoi ‘transgender’. Queste iniziative dilagano anche nelle nostre scuole: un centinaio di istituti hanno già adottato in Italia queste misure, senza rispetto per la normativa vigente. L’autonomia scolastica prevede, infatti, una certa flessibilità all’interno di un quadro normativo prestabilito, non la facoltà di rettificare i dati anagrafici, anticipando l’eventuale sentenza favorevole di un giudice (che, trattandosi di un minore, può anche decidere in senso contrario, dopo aver consultato gli specialisti del caso). Decisioni che si configurano come veri e propri abusi d’ufficio e che vengono oltretutto prese anche senza la preventiva richiesta del consenso informato non solo ai genitori dei minori direttamente interessati (associazioni lgbt, come la Rete Lenford, promuovono la decisione autonoma del minore già all’età di 14 anni), ma anche ai genitori dei compagni. Anche questi ultimi infatti andrebbero coinvolti, tenuto conto delle possibili e ancora sconosciute ricadute psicologiche e educative di tali provvedimenti nelle classi, presupponendo che non tutti gli alunni siano in grado di elaborare correttamente situazioni simili.
Eppure, la nostra Costituzione e molti trattati internazionali sottoscritti anche dall’Italia, come la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (Cfr. Art.26), sanciscono la priorità in campo educativo dei genitori: per questo ogni attività extracurricolare, soprattutto quando tocca temi eticamente sensibili, dovrebbe essere comunicata alle famiglie con un congruo anticipo, dando loro il tempo di informarsi e, in caso di dissenso, la possibilità di esonerare i figli (per i quali, in questo caso, la scuola sarebbe tenuta a predisporre attività alternative).
Per rendere effettivo questo diritto l’associazione Non si tocca la Famiglia, che presiedo, ha sostenuto una battaglia durissima dentro i ministeri, nelle piazze, sui giornali, fino a quando – nel 2018 – una Nota ministeriale ha ribadito il diritto dei genitori al consenso informato preventivo.
In queste settimane riceviamo le telefonate di molte madri spaventate da questi fenomeni, come la promozione della Carriera Alias nelle scuole, che stanno crescendo in modo esponenziale, anche per il rilievo positivo che danno loro Instagram ed altri social network. Queste donne si preoccupano che le difficoltà, le stranezze o semplicemente il disagio nelle figlie adolescenti, tipici dell’età evolutiva, siano interpretati da loro come segnali di un’identità trans e temono che amici e compagni, e gli stessi insegnanti, siano spinti a riconoscerle come maschi (la gran parte degli studenti che si definiscono trans sono infatti ragazze), utilizzando per loro pronomi maschili.
Queste mamme, invece, come attestano anche le testimonianze che abbiamo ascoltato, sanno bene che le figlie sono femmine: un’identità scritta in ogni cellula del loro corpo. Purtroppo, questa non è la verità che internet e i social propagano, visto che persino alcuni medici, presenti con i loro profili su TikTok, si dichiarano pronti ad esaurire il loro desiderio di cambiare sesso. Come associazione Non si tocca la Famiglia abbiamo fatto presenti alle autorità scolastiche, sulla base della normativa scolastica vigente, tutte le criticità della Carriera Alias. Una procedura già entrata in tante scuole secondarie, talvolta semplicemente con l’approvazione del consiglio d’istituto (quindi senza passare per gli altri organi collegiali, come il collegio docenti), semplicemente per poter vantare sul sito della scuola di essere ‘ inclusivi’.
‘Piantare queste bandierine’, dove magari non è stato segnalato neanche un caso di disforia di genere, è una scelta puramente ideologica.
La scuola ha naturalmente il dovere di accogliere tutti gli studenti e di mostrare sensibilità per ogni forma di disagio, anche di natura identitaria, contrastando qualunque forma di discriminazione e lavorando per questo, come per ogni altro problema educativo, in sinergia con i genitori degli studenti in difficoltà e con le famiglie dei compagni di classe, come prevede il Patto di corresponsabilità educativa, tuttavia, lo ripeto, un istituto scolastico non può cambiare, negli atti della scuola, il nome di battesimo corrispondente a quello depositato all’anagrafe.
Oltretutto, nei registri elettronici attuali il nome di ogni studente è collegato al rispettivo codice fiscale: a Milano, ad esempio, la dirigente nel Liceo Brera ha dichiarato pubblicamente di non poter inserire nel registro elettronico il nome femminile scelto da uno studente, proprio perché non corrispondeva al suo codice fiscale (che era quello di un maschio). Le scuole sono amministrazioni pubbliche e i loro dipendenti: dirigenti scolastici, docenti, educatori, sono pubblici ufficiali chiamati a far rispettare le leggi in vigore.
Al termine dell’anno scolastico, abbiamo quindi organizzato un sit-in davanti al Ministero della Pubblica Istruzione perché emanasse una nota per porre fine a questo abuso, e oggi – attraverso una petizione al nuovo Ministro dell’istruzione e al Presidente del Consiglio – vogliamo porre fine a questo protocollo, di cui elenchiamo tutte le irregolarità dal punto di vista giuridico (infatti negli istituti in cui è stata approvata la Carriera Alias, non sono citate le fonti normative esistenti: cioè la legge 164 del 1982 e il decreto legislativo numero 150 del 2011, oltre la sentenza 222 del 2015 della Corte Costituzionale, che sanciscono e regolano il procedimento di rettificazione del sesso con la conseguente riattribuzione anagrafica).
Anticipare all’interno dell’Istituto il cambiamento anagrafico richiederebbe una specifica normativa che oggi non esiste, poiché questi provvedimenti sono di esclusiva competenza del giudice e, come per tutti i procedimenti giudiziari, l’esito di questi procedimenti non è assolutamente scontato: oltretutto, come nella maggior parte delle difficoltà identitarie che emergono con l’adolescenza, potrebbe nel tempo venir meno l’interesse dello studente che ha fatto richiesta di variazione di nome e pertanto la scuola dovrebbe recedere, perdendo di credibilità, o, ancora peggio, questa prematura ‘transizione sociale’ potrebbe innaturalmente cristallizzare l’identità sessuale dello studente, instradandolo in una trafila medico – chirurgica senza fine (gli ormoni antagonisti rispetto ai propri vanno poi assunti a vita) e dalle conseguenze spesso devastanti (come testimoniano i sempre più numerosi detransitioner, amaramente pentiti da una scelta fatta in un’età in cui non è possibile comprenderne appieno le conseguenze).
Utilizziamo quindi con bambini e adolescenti quel principio di precauzione che dovrebbe sempre ispirare la gestione delle questioni controverse e che invece le stesse scuole disattendono: pensiamo a tutti i ragazzini delle medie che sono stati portati nel 2017 dagli insegnanti a vedere lo spettacolo teatrale Fa’afafine, che parla di un bambino, Alex, che nei giorni pari si sente maschio e in quelli dispari femmina.
Ricordiamo anche, perché altrettanto fuorvianti, percorsi di lettura come Nei panni di Zaff, Il segreto di papà, Lo zaino di Spider man e molti altri che tentano di presentare come norma un vissuto che è invece l’eccezione, con il risultato di confondere le idee dei più giovani su categorie fondamentali (come il carattere binario della sessualità), che sono patrimonio dell’Umanità in ogni periodo della sua storia, e con il rischio di appiccicare assurde etichette trans a bambini che, per vari motivi (gracilità fisica, timidezza …), stentano ad integrarsi nel gruppo dei coetanei, ma che nella stragrande parte dei casi sono destinati a superare nel tempo le loro difficoltà ed incertezze.
Come responsabili dell’Associazione Non si tocca la Famiglia, impegnata fin dalla sua fondazione a contrastare la teoria della fluidità di genere (la cosiddetta Teoria Gender), quando abbiamo avuto notizia, lo scorso luglio, dell’uscita su diversi giornali europei di un Appello che andava al cuore di queste problematiche, denunciando la pericolosità della propaganda sulla facilità di cambiare sesso, rivolata a bambini e ragazzi, abbiamo contattato i promotori francesi di questo documento per chiedere loro la possibilità di diffonderlo anche in Italia. Per questo, assieme all’Osservatorio di bioetica di Siena, abbiamo pensato ad un evento come questo invitando come relatrice la dott.ssa Sophie Dechêne, che ora presenterà l’Appello dell’Osservatorio internazionale Le Petite Sirène, di cui è promotrice insieme ad altri, e che è nato per contrastare la trattazione superficiale e distorta che mass media e istituzione scolastiche fanno spesso della disforia di genere, denunciando le conseguenze devastanti del cosiddetto approccio affermativo (farmacologico) alla disforia di genere nei minori (approccio che proprio in questi giorni è stato respinto dal Servizio sanitario inglese, che ha indicato nel trattamento psicologico la strada prioritaria).
Con questo convegno intendiamo lanciare anche in Italia questo Appello, con l’auspicio che si diffonda in tutta l’Europa: a tal fine raccoglieremo quante più adesioni sia possibile da parte di medici, insegnanti, educatori e specialisti dell’informazione, per sensibilizzare l’opinione pubblica e contribuire a porre fine a questi abusi.
Fonte: Giusy D’Amico | Tempi.it