«Morto». «Morto». «Lui è caduto il 4 marzo in battaglia: lo avevo battezzato a Lourdes. Suo fratello è stato ucciso due anni fa in Donbass». È una sorta di antologia di Spoon River del ventunesimo secolo, quindi tutta digitale, il cellulare di padre Andriy Zelinskyy. Le foto sullo schermo che mostra lungo le strade di Kiev sono quelle dei soldati “amici” che ha accompagnato: nelle accademie, nelle caserme, al fronte dove lui è di casa. Ma anche al cimitero. «Ne ho sepolti molti, troppi. Erano anime pure che hanno pagato con la vita la difesa della nostra libertà e della patria», racconta il sacerdote greco-cattolico. Perché «è da otto anni che siamo in guerra con la Russia, non da otto mesi», dice riferendosi alle “crisi” mai risolte a Donetsk, Lugansk e in Crimea. «E l’Occidente ha chiuso gli occhi, non ha voluto vedere i carri armati di Mosca sul territorio ucraino. “Meglio tacere che peggiorare la situazione”, è stato il ritornello. La lezione della seconda guerra mondiale non è servita. Ma se non si chiama per nome il male, non si può neppure fermarlo. Anzi, si dà alibi a proseguire nel suo intento distruttivo».
Non è un prete in divisa, padre Zelinskyy, anche se la mimetica la indossa ogni volta che è in prima linea. Ma un prete accanto ai soldati. «E alla mia gente che è anche quella in trincea» dove è rimasto per tre anni. Primo cappellano militare ucraino in una zona di guerra. E capostipite della legge che li ha istituti in maniera ufficiale e li ha inquadrati fra le forza armate. Ed è un gesuita. Orgoglioso di esserlo perché «la Compagnia è un’esperienza di frontiera, che non fa della fede una dimensione parallela ma la eleva a lente per leggere la realtà, che cerca Dio ovunque». Anche fra i colpi d’artiglieria che si sparano due eserciti. «In guerra si rischia di perdere la propria umanità – afferma il religioso di 42 anni, originario di Leopoli –. Per questo ai militari ripeto che essere uomo significa scegliere il bene, cercare la verità, difendere la giustizia, vedere la bellezza. Persino in mezzo all’orrore, alla violenza, al dolore». Descrive l’esercito ucraino come un «esercito popolare: si sono arruolati professori universitari, operai, cantanti lirici. E hanno perso la vita». E racconta il nemico che viene inviato a combattere in Ucraina: «Spesso si tratta di gente povera, mandata allo sbaraglio, che non sa neppure perché sia qui. Rubano di tutto. E, quando tornano a casa, riferiscono di aver visto tutt’altra realtà». Poi fa sapere che proseguono «gli scambi di prigionieri e anche le restituzioni delle salme dei militari morti nei combattimenti».
È un volto noto nel Paese quello di padre Andriy. Amico di politici e dirigenti statali, presidente del Consiglio di sorveglianza nella Fondazione nazionale per i veterani, membro del Consiglio di amministrazione di Caritas-Ucraina, docente all’Università cattolica di Leopoli, è anche uno dei cofondatori dell’Accademia di leadership, una sorta di scuola della nuova classe dirigente del Paese. «Ero in piazza Maidan durante la rivoluzione della dignità nel 2014. Sono state liberate energie buone e giuste che andavano canalizzate. Abbiamo bisogno di nuove generazioni di politici e funzionari». E sessanta ex alunni si sono arruolati. «Troppi falsi miti segnano questa guerra. È stata presentata al mondo come una liberazione. E poi accade che i russi uccidano chi parla russo in Ucraina, perché quasi il 50% del nostro esercito parla russo e gli scontri sono soprattutto nell’Est del Paese dove la lingua più comune è il russo. O succede che gli ortodossi uccidano gli ortodossi perché l’appartenenza religiosa più diffusa qui è quella alla Chiesa ortodossa del patriarcato di Mosca. Ciò dice come l’Ucraina sia un Paese dove il pluralismo culturale e religioso non è mai stato fonte di discriminazione e si è tradotto in una convivenza armonica».
Padre Andriy Zelinskyy con due militari ucraini – Facebook
Padre Zelinskyy conosce bene la Russia dove è stato anche per due anni di noviziato. «In Siberia», sorride. «L’Occidente – spiega memore dei suoi studi alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Istituto Orientale, oltre che negli Usa – ammira la Russia di Dostoevskij o di Tolstoj. Ma è una Russia teoria, che esiste solo sulla carta. Oggi è una nazione schiacciata dalla propaganda, vittima dell’ideologia della “grande Russia”, che per quasi il 70 per cento sostiene l’attacco militare, che accetta pesanti limiti ai diritti e alle libertà personali. E ha al vertice una classe politica che vuole l’Ucraina sotto la sua influenza come dimostrano i tentativi di controllarla attraverso il gas, alcune oligarchie, certi partiti finanziati dal Cremlino, determinate televisioni, funzionari corrotti nelle nostre istituzioni». «La tragedia – continua – consiste nel fatto che in Russia oggi è vietato essere un “uomo” e si è solo un “cittadino obbediente al governo”». Una pausa. «La pace non è una parola magica: non basta ripeterla perché diventi realtà. Neanche basta la preghiera. È un dono di Dio ma chiede la cooperazione della persona: allora esige un cuore aperto, anche alla verità e alla giustizia».
Fonte: Giacomo Gambassi | Avvenire.it