Il collega Mazza si è spento: ha testimoniato per 4 anni l’avanzare della malattia. Un racconto prezioso per altri malati, per la forza interiore, l’amore per la famiglia, la dignità nella sofferenza.
Non è che non l’avesse annunciato. Nelle 83 uscite del suo Slalom, la rubrica quindicinale che dal 20 settembre 2018 è stata punto di riferimento dei lettori dell’inserto “è vita” ogni due giovedì su Avvenire, lo scriveva praticamente tutte le volte: a modo suo, talvolta in chiaro, molto più spesso – quasi sempre – tra le righe, con quel ruvido pudore rivestito di romanissimo humour che è stato il suo copyright inimitabile. Che se ne sarebbe andato da un momento all’altro, senza reali avvisaglie, lo sapevamo perché era stato lui stesso a spiegarlo: è la Sla che è così, un equilibrio fragilissimo che può spezzarsi da un istante all’altro, non per effetto di un aggravamento ma per sua inesorabile dinamica.
La mattina di Natale lo scambio di auguri, un messaggio spiritoso, come suo solito, “arrivederci a gennaio. Almeno spero”, come aveva scritto nell’ultima puntata, l’8 dicembre. E la mattina dopo in Cielo, lasciandoci sgomenti, come se non gli avessimo realmente mai creduto: dai Salvatore, sei il solito, sai che abbiamo bisogno di te.
Questa precarietà è il marchio di una patologia spietata della quale grazie a lui abbiamo imparato a conoscere i risvolti esistenziali, gli effetti sulla vita di ogni giorno, la progressione e le privazioni, la spogliazione un’abilità alla volta di tutto quel che riteniamo ovvio e indispensabile per essere umani e che, una volta perso tutto, lascia il malato come il segno stesso di ciò che siamo: molto, tutto, infinitamente più di quel che sappiamo o possiamo fare.
Perché Salvatore Mazza, immobile nel suo letto, senza più parola né gesti se non mediati dalla macchina che lo assisteva per farsi intendere, non è mai stato tanto eloquente e comunicativo come da quando era malato. Scherzando, gli si diceva che non ha mai scritto tanto bene come da quando era costretto a farlo con l’immane fatica di scegliere le parole una a una col puntatore oculare. Lo stile sempre uguale, inconfondibile, suo, la sostanza delle cose dette infallibilmente diretta al centro, nel cuore stesso di ogni cosa che voleva dirci. Ogni volta un piacere unico leggerlo, con la fretta di vedere la prossima volta dove ci avrebbe invitati a guardare. L’ha fatto anche oggi, e quante volte ci aveva detto “guardate che poi succede davvero, ma io sono pronto, sempre”.
Un’essenzialità con la quale ha tenuto quell’impareggiabile diario di viaggio dentro la Sla che è stato lo Slalom, rubrica nata dialogando per email e Whatsapp attorno all’idea che a tutti i malati di qualunque malattia, e a chi li accudisce, potesse risultare prezioso e consolatorio riconoscersi in una voce come la sua. Salvatore non ha atteso nemmeno un giorno per decidere, passando subito a immaginare qualche titolo possibile: ma Slalom, che era la sua prima proposta, è parso subito così adeguato al messaggio che si voleva lanciare da non avere concorrenti.
Una discesa a ostacoli, la vita con la malattia ma tutti aggirati con abilità, anche quando il pendio si fa ripidissimo. Ed è iniziato il suo racconto – ogni due settimane, per dosare lo sforzo – con ogni puntata dedicata a un aspetto della malattia nella vita vera, facendola scendere dall’astrazione cui si tende a relegarla, quasi fosse un concetto e non una realtà con la quale fare i conti.
Puntata dopo puntata, gli Slalom di Salvatore tra i paletti del male che andava avanzando hanno assunto il rilievo di una bandiera per i malati e le associazioni che li seguono con amore e perizia, e lui quello di portavoce di migliaia di persone affette da Sla e non solo. Una voce precisa, lucida, piena di buonsenso, pragmatica, totalmente antiretorica, ironica, anche abrasiva, umanissima. Indispensabile.
Ha raccontato anche la storia commovente, travolgente, di un amore che come ogni amore autentico va oltre le menomazioni, e trascende la vita stessa, più forte della morte, certo: quello per la moglie, una figura straordinaria di compagna di vita in ogni frangente che grazie a Salvatore abbiamo imparato a conoscere, e per le due figlie, alle quali ha dedicato pagine struggenti nella loro asciuttezza. Per questi motivi la voce di Salvatore – mai tanto limpida e forte come da quando è venuto meno quel timbro ironico e disincantato tutto suo – è diventata indispensabile. E ora il suo silenzio è davvero quasi troppo da accettare. Ma ci restano 83 Slalom che sono pagine di giornalismo da Pulitzer, lo dessero a chi dà voce all’umano per ciò che è davvero. Salvatore ce lo ha mostrato, come uno scultore che toglie il marmo superfluo o offre alla contemplazione di chi ne guarderà l’opera, adesso e nel tempo, un’immagine vera di ciò che siamo: persone, sempre, fino all’ultimo.
Fonte: Francesco OGNIBENE | Avvenire.it