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Iscrizione alunni nelle scuole statali e non-statali (paritarie) in Italia e in Europa

Nel nostro Paese generalmente l’istruzione è stata sempre percepita come sorta di monopolio educativo dello Stato. A determinare questa singolare condizione concorrono fattori storici ed economici che nel tempo hanno reso la scuola privata un’alternativa accessibile solo alle famiglie mediamente abbienti. In questa ottica, spesso si è guardato alla presenza di attori diversi con una certa diffidenza anziché come elemento di pluralismo dell’offerta educativa.

Come si osserva nel grafico sopra, con la parziale eccezione della Germania, l’Italia risulta il Paese in cui la concentrazione di studenti nelle scuole statali è assolutamente prevalente rispetto a quelle non statali (paritarie) e dove quindi l’istruzione statale incide maggiormente sul totale dell’offerta.
Si tratta di una tendenza che può essere annoverata tra le anomalie del nostro sistema e che rischia di incidere sulla sua efficacia. La mancanza o la marginalità di una reale concorrenza può infatti rischiare di nuocere alla qualità del servizio offerto; questo è emerso soprattutto nel contesto emergenziale provocato dalla pandemia, nel corso del quale il nostro modello di scuola pubblica si è rivelato piuttosto inefficiente.

Anche nei Paesi di grande tradizione laica come la Francia, o in quelli caratterizzati da una marcata secolarizzazione come la Spagna, si riscontrano livelli superiori di offerta scolastica gestita da privati (confessionali o meno), ma comunque finanziata dallo Stato.

Un caso particolare è quello del Regno Unito, dove l’offerta di istruzione privata – soprattutto a livello di scuole secondarie – a partire dal 2010, ha conosciuto una rapida espansione grazie all’introduzione delle Academies, scuole pubbliche convertite in scuole private e rette da fondazioni (Trust) o da con- sigli di gestione. Il finanziamento delle Academies è totalmente a carico dello Stato, che corrisponde annualmente una cifra pari a quella necessaria per il funzionamento di una scuola statale di caratteristiche corrispondenti. Ne consegue che queste realtà godono di ampia autonomia didattica, rivelandosi più funzionali anche sul piano organizzativo, con una migliore gestione degli orari, dei programmi, dell’assunzione del personale e così via.

Il grafico sopra illustra la diversa incidenza dell’offerta di istruzione non statale rispetto ai gradi scolastici. Come si può osservare, questa è forte soprattutto nel settore della scuola dell’infanzia, dove occupa tuttora quasi un terzo del totale, pur se in diminuzione rispetto agli anni precedenti. Nella scuola primaria la percentuale si colloca poco al di sopra del 6%, in lenta discesa, mentre è meno del 4% nella secondaria.
Il carattere fortemente sbilanciato di questa distribuzione è probabilmente riconducibile al fatto che la scuola statale non sembra offrire un servizio appetibile per le famiglie con figli in tenera età. È significativo notare che, a misura che l’età sale, e soprattutto per una questione di costi crescenti, la scuola statale diventa la soluzione più diffusa; il paradosso, molte volte segnalato, è che chi iscrive i figli alle scuole non statali paga il servizio due volte: una volta al gestore e una seconda allo Stato, tramite il concorso alla fiscalità generale.

Per saperne di più vedi Fondazione ROCCA-TREELLLE, Scuola, I numeri da cambiare. L’Italia nel confronto internazionale, 2022

 

Fonte: FrancescoMacrìBlog.it

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