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L’addio a Cesare Cavalleri, lucido e curioso testimone del Vangelo

S’è spento l’intellettuale dell’Opus Dei, già collaboratore di diverse testate (tra cui Famiglia Cristiana) e fondatore della casa editrice Ares. Il ricordo appassionato di Riccardo Caniato, che l’ha conosciuto a fondo e ne ha raccolto l’eredità.

Cesare Cavalleri è morto serenamente il 28 dicembre nella sua casa di Milano. Aveva da poco compiuto 86 anni. Giornalista, autore, critico letterario ed esperto di musica, temuto per le sue stroncature, era firma di spicco di Avvenire fin dal primo numero, ma è stato anche collaboratore del Corriere della sera e di Famiglia cristiana, con raffinati reportages dal Festival di San Remo. Dal 1966 era direttore delle Edizioni Ares, che aveva reso realtà di punta nel panorama editoriale italiano per il contributo di idee e di riflessione che, per oltre mezzo secolo, attraverso il mensile Studi cattolici e un catalogo sempre vario e originale, ha saputo investire tutti gli ambiti dello scibile facendosi promotore di una cultura capace in ogni situazione di riflettere l’ispirazione e la visione cristiana fondative.

Malato da tempo, alcune settimane fa ha attirato l’attenzione di molti, anche fra coloro che non lo conoscevano, per la lettera con cui ha comunicato al direttore Marco Tarquinio di Avvenire l’impossibilità di proseguire con la sua rubrica fissa perché la morte ormai lo reclamava. “Carissimo Direttore”, scrisse allora, “i medici mi hanno graziosamente comunicato che mi restano 9 settimane di vita. Non immaginavo simile conclusione, ma prendo volentieri atto e mi tuffo nella preparazione immediata al grande salto”.

Una manifestazione di tranquillità che ha toccato i cuori di molti e di cui Cavalleri ha dato ragione, sempre attraverso Avvenire, nell’ultima toccante intervista con Francesco Ognibene del 23 dicembre. Alla domanda: “Che idea si è fatta su che cosa sarà dopo?”, ha risposto: “Posso solo considerare la gloria di Dio e la sua misericordia. Siamo nelle sue mani, perché il Signore ci vuole bene, da sempre. E quindi non c’è da temere nulla, perché ha in serbo per noi le cose più belle che si possano desiderare”.

Cavalleri era nato a Treviglio, in provincia di Bergamo, il 13 novembre 1936. Dopo aver frequentato i Salesiani e l’Istituto tecnico commerciale nella sua città, nel 1955 fu assunto dalla Banca Nazionale del Lavoro di Milano. Ma si iscrisse ai corsi serali della Cattolica e conseguì la laurea in Economia con una tesi sui Processi stocastici e le loro applicazioni, in cui studiò, come spesso ricordava, la frequenza del fonema zeta (zz) nei Pensieri di Leopardi. In seguito si diplomò in Sociologia.

In quegli anni conobbe l’Opus Dei ed entrò a farvi parte il 23 giugno 1959, scegliendo la via del celibato apostolico come numerario. Non fu immediata all’inizio la rinuncia a una famiglia propria, ma un sacerdote dell’Opera, don Antonio Tirelli, gli rivolse parole decisive per la sua scelta: «Se il Signore chiede qualcosa in più, non sei tu che fai un favore a Lui. È Lui a fare un favore a te». Rimase affascinato da san Josè Maria Escrivà: “Era una persona affettuosissima”, la sua confidenza, “a distanza di anni ricordava ogni cosa che ti riguardava. Quando stava con te non pensava altro che a te. E lo faceva veramente. Ti sentivi disposto a dare la vita per una persona così”. Da lui assunse per sé la proposta di santificare la vita attraverso il proprio lavoro e la vita ordinaria nell’intuizione, poi confermata dal Concilio Vaticano II, che tutti gli uomini sono chiamati da Dio a diventare santi. Un programma che si compendia nell’incipit di Cammino, il libro, tradotto in italiano proprio da Ares, in cui il fondatore dell’Opus Dei ha tracciato le linee guida per chi voglia vivere da cristiano: “Che la tua vita non sia una vita sterile. – Sii utile. – Lascia traccia. – Illumina con la fiamma della tua fede e del tuo amore…”.

Nel corso degli anni Cavalleri costruì rapporti forti, personali e diretti anche con i successori di san Josemaría, il beato Álvaro del Portillo, mons. Javier Echevarría, e l’attuale prelato, mons. Fernando Ocáriz. Ma ha goduto anche della conoscenza personale di san Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Le foto esposte affettuosamente nel suo ufficio davano testimonianza di questi incontri, di questi rapporti, e di altri, più inattesi come dell’amicizia con Ornella Vanoni, cantante fra le preferite con Nilla Pizzi, Patty Pravo, un gradino sotto, però, l’inarrivabile Maria Callas.

Nel 1961 Cavalleri divenne assistente alla cattedra di Statistica del prof. Luigi Vajani, a Verona, dove iniziò a collaborare alla pagina culturale dell’Arena e fondò la rivista Fogli, “Rivista di cultura, attualità e di problemi giovanili”. Quindi nel 1966, fu chiamato al timone delle Edizioni Ares che volle trasferire da Roma a Milano per liberarle da ogni tentazione di sudditanza clericale. È stata una direzione record portata avanti anche dal capezzale, fino all’ultimo respiro. Nei decenni chiamò alla collaborazione con Studi cattolici e con le Edizioni Ares personaggi come Joseph Ratzinger, Vittorio Messori, Maria Adelaide Raschini, Vittorio Pomilio, Gianfranco Morra ed Eugenio Corti, il cui romanzo Il cavallo rosso (1983) si è affermato come un long seller che attraversa le generazioni ed è stato tradotto in tutte le lingue principali.

Gli articoli di Cavalleri per Avvenire della rubrica Persone & parole sono stati raccolti in tre volumi antologici, mentre i contributi della sua critica letteraria sono confluiti nel libro Letture. Cavalleri è stato un critico libero e severo, che non ha avuto riverenza di fronte a molte penne famose del nostro tempo, nella convinzione che “la letteratura ha a che fare con il dinamismo delle scelte. Nessuna azione umana si sottrae al giudizio morale”. Tra gli autori prediletti, di numerosi dei quali conservava ricordi diretti e dediche personali come preziosi trofei, annoverava Dino Buzzati, Eliot e Quasimodo, Ungaretti (che frequentò nella casa del poeta all’Eur e da cui ebbe in dono Un grido e paesaggi), Campana, Montale (di cui difendeva il Diario postumo), Flaiano, Pound (cui dedicò una collana), Rimbaud, Carrieri, Cardarelli, Pomilio (di cui elogiava il mimetismo linguistico) Caproni (con cui avviò un intenso carteggio sulla ricerca di Dio), Alessandro Spina (considerato un maestro di stile come Cristina Campo e di cui pubblicò Nuove storie di ufficiali e L’oblio), il premio Nobel Saint John Perse.

Da un’intervista del 1955 di quest’ultimo trasse una delle espressioni più amate: «Alla domanda sempre riproposta: “Perché scrive?”, la risposta del Poeta sarà sempre la più breve: “Per vivere meglio”». Per vivere meglio è anche il titolo della sua autobiografia in forma di conversazione con Jacopo Guerriero, uscita nel 2018 per La Scuola. Nel concreto, secondo Cavalleri, la scrittura-per vivere meglio era il momento di sintesi di un’esistenza scandita dallo studio, dalle letture, dalla meditazione e dalla preghiera, nella ricerca costante di quei contenuti, di quei principi universali che hanno valore veramente e per cui vale la pena spendersi, in definitiva nella tensione alla bellezza e alla verità che per lui erano entità inscindibili e compenetrate poiché, diceva, “il bello è lo splendore del vero. Se c’è verità c’è anche bellezza”.

Fedele a questa premessa, nella scelta di autori e collaboratori, oltre alla competenza, alla qualità dello scritto, alla bellezza della proposta e della forma, valutava sempre la tensione al vero che li animava. Tenendo il Vangelo, la Tradizione e il Magistero della Chiesa come le coordinate di riferimento in cui sviluppare ogni sua iniziativa culturale. Ragione per cui si batté sempre con passione a difesa del Matrimonio e della Famiglia cristiani, opponendosi con la forza della ragionevolezza e delle sue convinzioni contro il riconoscimento del divorzio prima e, dell’aborto, poi, quando fu anche chiamato a difendere in tribunale il concetto che la soppressione di un feto coincide con la soppressione di una vita umana.

Il suo impegno è stato riconosciuto nella motivazione del Premio Internazionale per la Cultura cattolica conferitogli nel 2004: «La cultura cattolica di Cavalleri non si è mai posta al rimorchio della modernità, ma ha saputo coglierne le attese e i fermenti per condurla alla riscoperta di una dimensione di verità e di speranza».

Sempre attento alle novità, quindi anche alle nuove forme di comunicazione, non mancava di intervenire sui social e il 13 di ogni mese, il giorno del suo compleanno, dava appuntamento ai lettori della sua pagina Facebook per una “lezione di poesia”. E in uno degli ultimi collegamenti ha salutato tutti, facendo suo il congedo di Cesare Pavesi: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi».

Fonte Riccardo Caniato | FamigliaCristiana.it

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