«È sant’Antonio di Padova!», risponderanno probabilmente molti lettori; eppure, in alcune regioni del Nord Italia è diffusa la convinzione che le preghiere per ritrovare gli oggetti smarriti vadano indirizzate al santo abate. Chi ha ragione?
La domanda si riaffaccia periodicamente ogni sei mesi, ogni volta che la Chiesa festeggia uno dei suoi sant’Antonio più famosi: quale dei due è quello che viene popolarmente invocato da chi ha necessità di ritrovare un oggetto smarrito?
La maggior parte degli internauti ritiene (e a buon diritto) che si tratti del santo padovano; ma una piccola minoranza di fedeli provenienti dalla Lombardia e dalle regioni attigue sostiene (e non a torto) di essere cresciuta sentendosi dire che il santo da interpellare in queste circostanze è l’anziano abate. Ma allora, chi ha ragione? E qual è, insomma, il sant’Antonio da pregare quando bisogna ritrovare un oggetto perduto?
Dietro al patronato di sant’Antonio, un libro “smarrito” e poi ritrovato
Al di là di ogni ragionevole dubbio, il santo da pregare per ritrovare gli oggetti perduti è sant’Antonio da Padova. È raro poter usare toni così netti quando si parla di devozioni popolari, ma in questo caso non v’è davvero possibilità di errore: la ragione che sta dietro a questo speciale patronato risiede in un episodio biografico del santo.
A quanto si narra, sant’Antonio da Padova possedeva un bellissimo libro di preghiere, che egli stesso aveva avuto cura di copiare da un altro testo e aveva arricchito con miniature variopinte e dettagliate. In quei tempi, un manoscritto confezionato con tanta cura aveva indubbiamente un alto valore economico; erano però di natura prevalentemente affettiva le ragioni per cui il santo era così legato al suo salterio: in fin dei conti, confezionare quel libro lo aveva impegnato per mesi. Il frate era giustamente orgoglioso della sua bellezza.
Ma, un giorno, il salterio sparì.
Antonio lo cercò in ogni dove e dovette infine arrendersi all’evidenza: il manoscritto non si trovava da nessuna parte; gli era stato rubato! Con amarezza, il santo domandò in preghiera la grazia di poterlo ritrovare in qualche modo: ed ecco, il ladro che glielo aveva sottratto (un giovanotto che frequentava abitualmente il convento dei frati) cominciò a essere preso dai rimorsi di coscienza per ciò che aveva fatto. Qualche giorno dopo, bussò alla porta della stanza di sant’Antonio per confessare la sua colpa a capo chino e per e rendergli il maltolto. Una storia che potremmo definire “a lieto fine”, se non ci fosse da raccontare ancora un finale ancor più gioioso: sant’Antonio perdonò senza indugio il ladro pentito, mostrandogli grande misericordia. E, commosso per il modo in cui il frate lo aveva accolto, il ladro domandò di poter entrare in noviziato: anche lui aveva cominciato a muovere i primi, timidi, passi lungo la strada per la santità.
Si quaeris miracula: la preghiera da indirizzare al santo
Nel 1233, probabilmente tendendo a mente questo aneddoto, frate Giuliano da Spira scrisse una preghiera da recitare al termine della liturgia delle ore in occasione della festa di sant’Antonio. La prece portava il titolo di Si quaeris miracula (“se cerchi miracoli”), che col passar del tempo la tradizione popolare storpiò in Sequeri. Eccone il testo in lingua italiana:
Se cerchi i miracoli,
la morte, l’errore, la calamità
e il demonio vengono messi in fuga,
gli ammalati tornano sani.
Il mare si calma,
le catene si spezzano;
i giovani e i vecchi
ritrovano le cose perdute.
S’allontanano i pericoli,
scompaiono le necessità;
lo attesti chi ha sperimentato
la protezione del santo di Padova.
Il mare si calma,
le catene si spezzano;
i giovani e i vecchi
ritrovano le cose perdute.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Come era nel principio,
ora e sempre,
nei secoli dei secoli.
Il mare si calma,
le catene si spezzano;
i giovani e i vecchi
ritrovano le cose perdute.
Secondo le più antiche attestazioni della devozione popolare, era proprio questa la preghiera che doveva essere recitata quando si era alla ricerca di un oggetto smarrito, per avere maggiori chance di ottenere la grazia di un miracolo. E anzi: secondo la tradizione, era necessario recitare la preghiera per tredici volte di fila (senza dubbio, un omaggio alla data del mese in cui è festeggiato il santo padovano: 13 giugno); alla fine di questa tredicina, la grazia sarebbe (quasi sempre) arrivata!
Ma allora, che c’entra sant’Antonio abate?
Ma allora, perché c’è chi pensa che il santo da invocare per ritrovare gli oggetti smarriti sia sant’Antonio abate?
Tutta colpa di un proverbio diffuso nelle regioni del Nord Italia, che recita: «sant’Antonio dalla barba bianca, fammi trovare quello che mi manca». Ma sant’Antonio da Padova non viene mai rappresentato come un vecchio barbuto, a differenza di quanto accade invece col santo abate in compagnia del porcello: effettivamente, è ben comprensibile che il proverbio abbia ingenerato una certa confusione.
Tuttavia, nella tradizione secolare, sant’Antonio abate non è mai stato associato agli oggetti smarriti; vien dunque da pensare che a essere impreciso sia il proverbio, evidentemente plasmato dalla necessità di trovare termini che potessero rimare tra di loro (barba bianca / ciò che manca). Da notare, peraltro, che esistono varianti dello stesso proverbio popolare che non accennano agli attributi iconografici del santo: si pensi per esempio al prezzemolino «sant’Antonio pien di virtù, fammi trovare ciò che non c’è più».
Certo, non è da escludere a priori l’idea che il proverbio possa essere nato in reazione a una confusione di fondo che (forse) era già presente tra i fedeli. Fino a pochi decenni fa, sant’Antonio abate era uno dei santi più frequentemente invocati nelle campagne, a causa del suo patronato su tutti gli animali e dunque anche su quelli da fattoria, principale fonte di reddito per molte famiglie. Non è da escludere che, a forza di pregare sant’Antonio per la protezione delle proprie stalle e dei propri affari, i contadini avessero sviluppato nei confronti del santo una devozione così intensa da dare per scontato che fosse opportuno rivolgersi a lui anche in caso di problemi domestici di vario tipo (oggetti smarriti inclusi), fraintendendo insomma la preghiera “ufficiale” da indirizzare al santo padovano.
Chi mai potrà dirlo con certezza? Siamo di fronte a una di quelle classiche situazioni in stile “è nato prima l’uovo o la gallina?”.
Il beato Antonio Pavoni: un omonimo volenteroso
Quel che è certo è che i santi (e i beati) di nome Antonio mostrano una curiosa tendenza a prendere a cuore le ambasce di chi ha appena smarrito il mazzo di chiavi di casa. Secondo la devozione popolare, esiste anche un terzo Antonio che, dal Paradiso, si mette a disposizione di tutti i fedeli che hanno necessità di ritrovare un oggetto perduto: è il beato Antonio Pavoni, sacerdote domenicano morto martire nel 1374 per mano di un gruppo di eretici. Nelle diocesi di Torino e Pinerolo, là dove è festeggiato il 9 aprile, si mormora che anche il beato Antonio si sia reso responsabile di centinaia di ritrovamenti miracolosi, proprio come il suo omonimo più famoso.
Chissà: sarà il caso di provare?
Fonte: Lucia GRAZIANO | Aleteia.org