Lo psicoterapeuta Alberto Pellai commenta il monologo diventato virale sui social del regista: «Anche se maldestri e fragili, noi genitori siamo alle prese con problemi che tu, da ragazzo, non avevi, a cominciare dalla droga digitale»
Quando mi è stato chiesto di commentare il monologo del regista Sorrentino sugli incontri genitori/figli a scuola, mi sono detto – in tutto sincerità – “E adesso che scrivo?”. Il monologo è ferocissimo. Narra di genitori così preoccupati di riempire la vita dei figli, da organizzare un’infinità di corsi e attività gestiti in toto da loro. C’è il genitore che si propone maestro di batteria e quello che mette in piedi un corso di macarena, quello che allenerà al ciclismo, mentre a lui – regista – viene chiesto di riprendere tutta questa “esuberanza di attività” di cui gli adulti sono progettisti e conduttori, per farne un video.
Lui è lì non come padre, ma come nonno. E alla richiesta degli altri genitori di coinvolgersi direttamente nella progettazione di qualcosa di attivo, fa un passo indietro. Fondamentalmente consiglia a quelle mamme e papà iperattivi, di imparare a fare un passo indietro. Di lasciare che i loro figli riempiano il loro tempo libero di quello che vogliono, proprio come è accaduto ai tempi in cui lui era padre e del tempo libero dei suoi figli non si era dovuto occupare in alcun modo. Si comprende che ai suoi tempi, gli adulti stavano tra adulti a fare le loro cose, mentre bambini e ragazzi abitavano i loro mondi, senza troppe intrusioni e interferenze. Il suo consiglio “gela” i presenti, che lo vivono come un “dissidente” indegno di stare lì. E’ quello il momento in cui il regista auspica che sia Dio ad occuparsi dell’educazione. Non di quella dei figli, ma di quella dei genitori. Un augurio o un’invettiva? Una condanna o una profezia? Difficile a dirsi. Il sorriso che il suo monologo scatena è amarissimo, per noi genitori. Credo che questo video sia diventato virale perché da una parte mette in luce una delle nostre maggiori fragilità: ovvero il bisogno di gestire e controllare la vita dei nostri figli per essere certi che la loro crescita sia la migliore e la più protetta possibile.
La letteratura contemporanea sulla genitorialità definisce noi, mamme e papà del terzo millennio, genitori “elicottero” o genitori “spazzaneve” per la nostra ansia continua di supervisionare e monitorare tutto ciò che accade nella vita dei figli, sostituendoci a loro in ogni situazione che presenta un disagio, una complessità, un problem-solving attivo. Eccoci, perciò, ben disegnati dalle parole di Sorrentino, che ci mostrano ansiosi di non lasciare nemmeno un minuto di vuoto nelle loro vite. D’altra parte, però, mi sembra che Sorrentino, nel suo monologo, sappia solo prenderci in giro. Che non abbia alcuna compassione per tutto il lavoro che ciascuno di noi sta facendo per crescere figli e figlie che sappiano abitare la vita, una volta adulti, avendo acquisito quelle competenze che – da grande – ciascuno di noi dovrebbero possedere nel loro “kit degli attrezzi” per l’esistenza. E fornire ai figli quelle competenze non è cosa facile. Perché se ai tempi di Sorrentino un genitore poteva permettere di lasciare che i figli si auto-organizzassero il proprio tempo libero, oggi non è quasi più possibile che questo accada. Forse i suoi figli avevano cortili in cui poter giocare con gli amici al pomeriggio. Oggi quei cortili sono vietati a chi cresce perché destinati alle automobili e al pomeriggio non si può far rumore. Forse i suoi figli avevano la possibilità di giocare su campetti di calcio improvvisati senza che nessuno li mandasse via. Oggi quei campetti non esistono più e le città non offrono alcuno spazio per l’aggregazione spontanea dei giovanissimi, se non enormi centri commerciali in cui l’unico imperativo lì presente è quello del mercato.
Forse, ai suoi tempi, le dipendenze erano pericolosissime e si chiamavano droghe e tutti gli adulti le temevano e cercavano di costruire argini affinchè non entrassero nella vita dei propri figli. Oggi abbiamo nelle nostre vite una droga digitale sempre accesa che entra nei circuiti dopaminergici dei nostri figli, già da un’età precocicissima e che toglie ogni intenzionalità e desiderio– nella vita reale – a suonare uno strumento musicale oppure a giocare o imparare uno sport. Ogni giorno, anche noi genitori auspichiamo che ci sia qualcuno che scenda sulla terra e trasformi tutto questo. Perché non ne possiamo più di un mondo “adult only” che non vede più quali sono i bisogni reali dei nostri figli e li tutela e li garantisce. Per questo siamo diventati così fragili. Per questo, potete anche fare ironia sulla nostra vulnerabilità. E’ vero siamo genitori molto maldestri. Ma essere presi in giro, forse non aiuta. Né noi genitori, né i nostri figli. Forse più dell’ironia e della satira, oggi serve che qualcuno ci “compatisca” usando questa parola nel suo senso etimologico più profondo: ovvero patisca con noi. Perché educare è prima di tutto vivere una “passione”. E anche se maldestri e fragili, noi continuiamo a fare esperimenti che tengano viva la nostra “passione educativa”. Gli incontri trimestrali a scuola non vanno bene? E’ vero. Allora forniteci adesso, in ogni quartiere, la mappa dei cortili dove dire ai nostri figli di andare tutti i pomeriggi a fare, in libertà, le belle cose che potevano fare i figli di Sorrentino, mentre mamma e papà erano al lavoro.
Fonte: Alberto PELLAI | FamigliaCristiana.it