Mentre in Italia ci si prepara all’ennesimo noioso evento sanremese, in Francia è appena uscito un film in 188 cinema francesi, che è stato visto da oltre 107.762 spettatori in pochi giorni (Libero, 3 febbraio). Ma la notizia non riguarda tanto i numeri, quanto il tema del film: la rivolta del popolo della Vandea contro la Rivoluzione francese attraverso il racconto delle gesta di uno dei capi più famosi, l’ufficiale di marina Francois-Athanase de Charette de la Contrie (1763-1796).
Ma che cos’è la Vandea? E che cosa successe dopo il 1789 per renderla famosa, tanto che, oltre due secoli dopo, “vandeano” significa in qualche modo oppositore della Rivoluzione e di quel mondo moderno nato da essa?
In Vandea si verifica uno degli episodi più cruenti della storia di Francia e d’Europa, secondo alcuni storici (Reynald Secher in particolare) il primo genocidio della modernità, a causa delle famigerate “colonne infernali”, inviate da Parigi in Vandea «per sterminare senza riserve tutti gli individui di qualsiasi età e sesso che abbiano partecipato volontariamente alla guerra» (Dizionario storico della Rivoluzione francese, Ponte alle Grazie, 1989, p. 917).
Infatti in Vandea, come in Bretagna, si era verificata una ribellione popolare, prevalentemente contadina all’inizio, contro la Rivoluzione, che chiedeva l’arruolamento obbligatorio di 300mila uomini, ribellione che presto divenne cattolica di fronte alla richiesta di abiura della fede operata dalla Rivoluzione. L’insurrezione venne sconfitta militarmente, ma rimane ancora oggi una memoria diffusa di fronte a una ferita aperta che non smette di sanguinare. Il successo di pubblico del film in questione, Vaincre ou Mourir, ne è la conferma.
Che cosa può dire a noi, in Italia, oltre due secoli dopo, un evento del genere? Oggi non esiste più quel popolo di vandeani, di contadini cattolici colpiti nella loro identità religiosa e nei loro interessi legittimi, non esiste più in Francia e tantomeno in Italia una identità popolare diffusa e sensibile ai valori che difesero i vandeani, se non nella sensibilità di piccole minoranze che hanno coltivato meritoriamente la memoria di una grande ingiustizia subita dal popolo.
Esiste tuttavia un problema che non si può eludere, se davvero si volesse porre mano alla ricostruzione morale di una comunità nazionale. E questo problema vale per la Francia come per l’Italia.
Il problema ha a che fare con la verità. La verità è qualcosa di estraneo al pensiero dominante, al relativismo oggi imperante. Tuttavia senza verità, in questo caso senza verità storica, un popolo non riesce a costruire una propria identità.
Nello specifico, la verità su quanto è stato fatto contro il popolo della Vandea e sull’ideologia che spinse al genocidio le “colonne infernali” deve essere ancora ricercata e metabolizzata dalla cultura e dalle istituzioni francesi. Non si tratta di usare la Vandea come strumento per volere cancellare la storia, che non può tornare indietro, ma si può ripercorrere la storia e giudicarla alla luce della verità, quantomeno dei fatti.
Si tratta di fare una cosa che assomigli all’esame di coscienza per una persona, che ripercorre la propria vita ricercando il male compiuto, quantomeno per chiedere perdono. Per analogia, la storia di un popolo è contrassegnata da errori e mali commessi: riconoscerli è indispensabile per riconciliarsi almeno storicamente con chi questi errori e mali ha dovuto subire. È la premessa necessaria a ogni riconciliazione, personale ma anche sociale, e può essere utile a questo fine la lettura di una esortazione apostolica del 1984 di san Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia, così come il lungo discorso di Benedetto XVI del 22 dicembre 2005, quando parlò non solo della corretta interpretazione del Concilio Vaticano II, ma anche dei cambiamenti avvenuti nella modernità nel corso del XIX e poi del XX secolo. In quel discorso, Papa Ratzinger indica una strada per costruire un mondo migliore che interroga anche il movimento contro-rivoluzionario, affinché il sacrificio degli eroi vandeani possa portare il maggiore frutto.
Sono solo suggestioni, forse utili per chi non voglia ridurre l’attività politica a qualcosa di esclusivamente contingente, e quindi inutile sulla distanza.
Fonte: Marco INVERNIZZI | AlleanzaCattolica.it