Nel corso della sua visita apostolica in Africa, papa Francesco ha richiamato l’attenzione dei fedeli circa la necessità di rigettare stregoneria e occultismo, «falsi paradisi» che «rinchiudono nei morsi della paura, della vendetta e della rabbia». Una esortazione che è valida universalmente, ma che è ancora più preziosa in Africa: là dove la credenza nella stregoneria costituisce un fenomeno sociale di rilievo.
A molti di noi sarà sembrato surreale udire un pontefice del terzo millennio che predica con fermezza contro la stregoneria. Eppure, proprio questo è successo lo scorso 2 febbraio all’interno dello stadio di Kinshaha, nel corso dell’incontro con cui papa Francesco ha salutato i catechisti e i giovani locali. Mettendoli in guardia dalla «dipendenza dall’occultismo e dalla stregoneria, che rinchiudono nei morsi della paura, della vendetta e della rabbia», il pontefice ha rivolto loro un fermo invito: «non lasciatevi affascinare da falsi paradisi».
Beninteso: non è la prima volta che, rivolgendosi alle popolazioni africane, un papa sente la necessità di spendere parole su questo tema. Se vari indicatori segnalano una crescita nel pensiero magico anche negli Stati occidentali, nel continente africano la credenza nella stregoneria assume sfumature inedite e particolarissime. Già ce lo aveva spiegato nel 2011 papa Benedetto XVI, firmando l’esortazione apostolica Africae Munus: probabilmente a causa dell’estrema instabilità sociale generata da guerre, carestie e diffusione di malattie epidemiche, in Africa «la stregoneria conosce ai giorni nostri una certa recrudescenza», per citare appunto le parole di Joseph Ratzinger. «Rinascono paure che creano legami di soggezione paralizzanti. Le preoccupazioni riguardanti la salute, il benessere, i bambini, il clima, la protezione contro gli spiriti malvagi, portano di quando in quando a ricorrere a pratiche delle religioni tradizionali africane che sono in disaccordo con l’insegnamento cristiano».
E, tragicamente, il problema non si limita a questo. La diffusione del pensiero magico finisce, di tanto in tanto, col dare il via a letterali cacce alle streghe che realmente mettono in pericolo la vita dei malcapitati sui quali si addensano i sospetti della popolazione.
Quello della stregoneria africana è un tema su cui, mediamente, gli Europei sanno molto poco: eppure sarebbe bene approfondirlo, per comprendere più a fondo la cultura locale. Qualche anno fa, tra gli addetti ai lavori hanno fatto scalpore le considerazioni di Achille Mbembe, storico e politologo di origini camerunensi, che ha sottolineato quanto sia difficile per un osservatore occidentale comprendere la realtà africana senza conoscere gli altri «linguaggi di potere» che, oltre alla politica e le dinamiche tribali, regolano la vita quotidiana nel continente: e, a suo giudizio, il pensiero magico rientra senza dubbio tra quegli elementi la cui conoscenza è imprescindibile.
E allora, lasciamo che la visita apostolica di papa Francesco faccia un po’ di luce su questo argomento: perché, e in che misura, è così importante comprendere la logica della stregoneria per conoscere le dinamiche che influenzano la vita quotidiana di molte popolazioni africane?
La specificità della stregoneria africana
Sarà bene iniziare questo excursus con una precisazione che ha il sapore della banalità: l’Africa è un continente vasto, a voler usare un eufemismo; è inevitabile che il concetto di stregoneria si sia sviluppato in forme e sfumature diverse a seconda delle zone in cui ha preso corpo.
Il contesto impone di essere brevi, optando per una esposizione che dovrà necessariamente essere generica: in linea di principio, il termine «stregoneria» viene utilizzato, nella cultura africana, per indicare qualsiasi azione di natura soprannaturale (quasi sempre avente effetto negativo) che viene inflitta (più o meno coscientemente) da parte di uno stregone nei confronti di una o più vittime (tipicamente, colpendole nel corpo o negli averi). Dissesti economici, incidenti sul lavoro e malattie sono gli eventi che più frequentemente vengono ascritti al potere di una strega o uno stregone; il che non esclude che da parte dei soggetti coinvolti possa esistere la consapevolezza astratta circa il fatto che la sua sciagura è stata causata materialmente da virus, cattiva manutenzione degli attrezzi o comunque da altre cause razionalmente indagabili. Ma, agli occhi di molti, l’una spiegazione non esclude l’altra: secondo un esempio che viene spesso citato dagli antropologi, se le termiti del legno attaccano il mio granaio, non v’è alcun dubbio che l’edificio sia stato distrutto da una infestazione di parassiti; ma a cosa si deve l’invasione degli insetti, e perché hanno preso di mira proprio i miei averi e non quelli del mio vicino?
È esattamente in questa imprevedibilità, in questo “perché proprio adesso e perché a me?” che il pensiero magico trova spazio per affondare le sue radici. E nel momento in cui qualcuno si convince di essere vittima di stregoneria, va da sé che il passo successivo è quello di correre ai ripari: nella “migliore” delle ipotesi, ricorrendo a propria volta ai servizi di uno stregone per spezzare gli effetti della presunta maledizione; nella peggiore delle ipotesi, dando il via a una letterale caccia alle streghe per eliminare alla radice, attraverso la violenza fisica, la presunta fonte del problema.
Una stregoneria a carattere ereditario, alla base delle “cacce alle streghe” nell’Africa contemporanea
Se paragonati a quanto accadde in Europa durante i primi secoli dell’età moderna, i fenomeni di caccia alle streghe che hanno luogo nell’Africa contemporanea presentano caratteristiche particolari, che li rendono ancor più devastanti. Verrebbe da dire, ricorrendo a un paragone letterario, che in molte culture africane esiste una idea di stregoneria “alla Harry Potter”, che si trasmette cioè per via ereditaria: esistono individui che vengono al mondo dotati di poteri magici e che tendono a generare a loro volta figli e nipoti con le stesse caratteristiche.
In tal senso, il caso emblematico è quello che si riscontra nelle credenze della popolazione azande (oggi distribuita tra Sudan, Repubblica Democratica del Congo e Repubblica Centrafricana): in quella cultura, la stregoneria viene intesa come un potere di natura psichica che entra in azione quando la strega o lo stregone sperimenta passioni fortemente negative (ira, risentimento, invidia, desiderio di vendetta…). Questo potere (che talvolta può essere esercitato anche in maniera involontaria e inconsapevole) lede “l’essenza spirituale” della vittima, rendendola più facilmente prona a malattie, incidenti e colpi di sfortuna di vario tipo.
Ebbene: secondo le credenze superstiziose attestate in alcune fette della popolazione di cultura azande (cioè, la stessa popolazione cui papa Francesco si rivolgeva nel corso della sua visita a Kinshasa), questo potere è ereditario, e anzi sarebbe dato dalla presenza di un organo extra presente all’interno del corpo delle streghe: il mangu, un piccolo rigonfiamento dell’intestino posto all’altezza del fegato. A quanto si mormora (ovviamente, senza riscontro con la realtà dei fatti: non è nemmeno il caso di dirlo), questo organo sarebbe stato più volte scoperto nel corso delle autopsie effettuate sui cadaveri dei presunti stregoni.
Con sfumature che possono variare leggermente da zona a zona, convinzioni simili a questa sono attestate in buona parte delle culture africane: l’abilità di compiere stregoneria si trasmetterebbe per via ereditaria, di generazione in generazione. Da che si trae logicamente la tragica conseguenza per cui è possibile essere streghe anche senza aver scelto di esserlo (vale a dire: per lanciare maledizioni non è necessario aver stretto un patto col diavolo di faustiana memoria, il che presuppone quantomeno un preciso atto di volontà da parte della strega). E, da questa considerazione, prende le mosse un’altra (e ancor più tragica) conseguenza: nel momento in cui un individuo viene “identificato” come strega o stregone, il sospetto si sposta automaticamente sui vari membri della sua famiglia; e soprattutto sui suoi figli, quelli che più verosimilmente si ritiene possano aver ereditato i suoi stessi poteri.
Le accuse di stregoneria a carico dei bambini: il caso nigeriano
Surreale, ai nostri occhi, la storia di Sam Itauma, attivista nigeriano fondatore del CRARN, un’organizzazione non governativa volta alla riabilitazione sociale e legale dei diritti dei bambini accusati di stregoneria (sì, davvero).
Tutto inizia nel 2003 quando, attraversando il mercato della città di Calabar, Sam nota tre bambini che stanno per essere linciati dalla folla. I piccoletti erano tre mendicanti che spesso passavano le loro giornate tra i banchi del mercato sperando nella carità dei passanti; poiché i commercianti avevano notato che, quando i tre erano presenti, gli affari tendevano ad andar male, ne avevano dedotto che i bambini fossero stregoni giunti lì per scagliare la malasorte sui lavoratori.
Orripilato, Sam prese in custodia i ragazzini sottraendoli così alla furia dei passanti: indagando sul fenomeno, anche avvalendosi dell’aiuto dei servizi sociali, venne a scoprire con sgomento che le accuse di stregoneria a carico dei bambini erano in costante crescita nella sua nazione. A quanto pare, la psicosi era scoppiata nel 1999 in concomitanza col successo commerciale di End of the Wicked, un film horror (che dichiarava però di attingere a fatti reali) nel quale dei gruppi di bambini-stregoni compivano gesta abominevoli: facendo leva sul disagio di una società segnata dall’instabilità politica e dalla crisi economica, nella quale il pensiero magico era profondamente radicato, il prodotto cinematografico aveva involontariamente finito col trasformare in capri espiatori i bambini che già si trovavano in condizioni di fragilità (spesso perché orfani o comunque provenienti da famiglie in crisi). Insomma, la fascia più debole della popolazione, come sempre capita in questi casi.
Fonti non governative stimano che, nella prima decade degli anni Duemila, oltre 15.000 bambini nigeriani abbiano subito abusi di vario tipo a causa delle accuse di stregoneria. In molti casi, si tratta di orfani che la famiglia allargata rifiuta di accogliere in casa, a motivo della fama sinistra che riguardava i loro genitori; in altri casi, i bambini hanno il supporto della rete familiare ma diventano nondimeno vittima di violenza a causa della nomea che li accompagna.
A oggi, Sam Itauma gestisce nella città di Eket un orfanotrofio esclusivamente dedicato a questi bambini (il numero di piccoli ospiti si misura nell’ordine di alcune centinaia). Sebbene l’iniziativa abbia carattere laicale, la Chiesa cattolica e quella mormone hanno unito le loro forze per contribuite alla fondazione dell’opera con un significativo aiuto economico – anche se, probabilmente, il loro apporto più prezioso è stato misurabile in termini di credibilità sociale. Vista la delicatezza della particolarissima situazione, il supporto fermo e argomentato delle autorità ecclesiastiche è vitale per la buona riuscita della battaglia contro questa superstizione: che, tragicamente, costituisce un pericolo non solamente spirituale (come se quello, da solo, non bastasse!).
E probabilmente la strada da seguire per vincere questa sfida sarà quella che nel 2011 papa Benedetto XVI aveva tracciato nell’esortazione apostolica Africae munus: «tra i convertiti, è opportuno scegliere alcune persone ben informate affinché possano divenire guide per la Chiesa nella conoscenza sempre più profonda e precisa delle tradizioni, della cultura e delle religioni tradizionali»: solo in questo modo si potrà giungere «alla necessaria distinzione fra il culturale e il cultuale», indispensabile per «determinare il significato profondo di tali pratiche di stregoneria identificando le implicazioni teologiche, sociali e pastorali veicolate da questo flagello».
Fonte: Lucia GRAZIANO | Aleteia.org