«Viviamo un tempo difficile. Sicuramente più duro di quando, negli anni Ottanta, è nata mia figlia Elettra e la mia famiglia ha dovuto fare i conti con i diritti di persone con disabilità. Ci sono diritti che sembravano ormai acquisiti a livello statale e sociale e che vengono invece erosi, ogni giorno, a danno dei più deboli e indifesi, da una dilagante cultura della prevaricazione, contro chi crede nel senso e nella forza della solidarietà. Per questo sono necessari uno scatto e un’attenzione in più. Per questo canto a sostegno di chi è in difficoltà, di chi conduce battaglie giuste per un mondo migliore». Eugenio Finardi non è l’“extraterrestre”.È terrestre. È sociale. Canta l’
Amore diverso per la primogenita nata con sindrome di Down e da trent’anni si spende per infinite iniziative di solidarietà. Come quella che andrà in scena venerdì a Milano, nella sede del Pime alle 21, per l’associazione Ledha che fa assistenza legale alle persone con disabilità, vittime di discriminazione a scuola, nel mondo del lavoro, nei luoghi pubblici e sta promuovendo la campagna “I diritti non si pagano… ma costano!”. Un concerto per raccogliere fondi che vedrà il cantautore milanese al fianco dell’orchestra AllegroModerato, composta da cinquanta elementi, alcuni musicisti normodotati insieme ad altri con disagio psichico, mentale e fisico.
Cosa può fare una canzone?
«Parole e musica possono sostenere un’idea, diffonderla e coinvolgere le persone. Nelson Mandela sarebbe rimasto forse per sempre in prigione se non ci fossero state canzoni-inni per la sua liberazione. La musica aiuta a superare distanze. È libera. È un’arte assoluta che collega all’Assoluto, alle leggi che reggono l’Universo. Non c’è liturgia che non abbia un canto o dei suoni».
Il suo inno è un “Nuovo umanesimo”?
«Quando nel 2012 ho pubblicato quell’album (Sessanta, ndr) contro l’idolatria del vitello d’oro e del benessere, mi hanno dato del pericoloso estremista. Quando ho sentito papa Francesco a Cagliari pronunciare quelle stesse parole ho sentito il cuore vibrare. Perché è uno stile, un modello che si diffonde. L’uomo è per sua natura buono, anche se in questo periodo storico si vorrebbe farci pensare il contrario. C’è purtroppo il fattore tempo: non possiamo più permetterci di perdere tempo per rinnovare il nostro modo di stare al mondo».
Il suo ultimo lavoro, “Fibrillante”, uscito lo scorso gennaio e con cui sta girando l’Italia, parte dalla crisi economica che viviamo, ed è proprio «un disco di lotta», come lei stesso l’ha definito…
«A un anno di distanza penso che… più che di lotta, sia un disco di testimonianza. C’è la lotta, sì. Ma poi si va oltre. C’è la voglia di modelli autentici che servono alla nostra società. Il desiderio che c’è nel brano Cadere sognare. La reazione del pubblico non è solo un applauso di approvazione, di piacere. È un’adesione piena a un manifesto, a un pensiero, a un sogno. Il titolo stesso è una diagnosi per una generazione, la mia, cercando di focalizzare l’attenzione su quello che stiamo vivendo, su come stiamo cambiando. È un disco utile, ecco».
In questi ultimi anni ha abituato il pubblico a cambiamenti e nuove esperienze. Cosa c’è nel prossimo orizzonte di Eugenio Finardi?
«L’autunno per i contadini è il periodo del ringraziamento, dopo aver raccolto in estate, le ricchezze del seminato. Da mezzo americano quale sono (la madre era una cantante ed insegnante lirica statunitense, ndr), tengo molto a questo momento. Ho raccolto tanto in questi mesi dal mio ultimo lavoro. Così in questa stagione mi dedico di più alla solidarietà, agli eventi più intimi. E da qui nascono poi nuove idee, nuovi rapporti, nuove visioni».
Venerdì si esibirà a Milano per Ledha con l’orchestra AllegroModerato per i diritti dei disabili. Qual è stata la sua personale esperienza con Elettra?
«Ricordo il primo impatto a scuola elementare, ci furono dei genitori che chiesero di far cambiare classe ai loro bambini, perché la presenza di mia figlia avrebbe potuto rallentarli. Ma chi rimase e si strinse con calore a lei, ha reso poi molto di più. Anzi, è ormai riconosciuto scientificamente il valore positivo di queste esperienze in termini umani e didattici. Oggi Elettra è cresciuta, vive la sua vita, è fidanzata, è ben inserita. È la mia più grande fan. Quando è nata pensavo di trovarmi di fronte a una tragedia. Invece è stato un evento prodigioso: se sono diventato quello che sono, come uomo e come artista, è grazie a lei».