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Natalità. Costi troppo alti, niente bambini. Roccella: mobilitazione di tutti / VIDEO

Per il 70% degli italiani la spesa per mantenere i figli è una ragione per non averne. L’indagine promossa da Plasmon, che lancia il progetto «Adamo 2050»

«Aiuti». Gli italiani per fare più figli chiedono «aiuti». È questa la parola che ricorre più spesso se si domanda alle persone di associare un termine alle misure per rilanciare la natalità. Nello specifico, le ragioni principali della scelta di non avere figli nel nostro Paese sono sostanzialmente due: il costo del mantenimento della prole, elemento decisivo per più di due italiani su tre (69%), e la difficoltà a conciliare la cura della famiglia con il lavoro (53%).

Sono amare conferme le indicazioni emerse da un’indagine a campione di Community&Research, condotta da Daniele Marini, sociologo dell’Università di Padova, presentata nel corso di un evento organizzato da Plasmon per lanciare insieme alla Fondazione per la Natalità il progetto «Adamo 2050», una piattaforma digitale di incontro tra istituzioni e soggetti privati per promuovere soluzioni a favore della genitorialità.

Mantenere un figlio in Italia costa 650 euro al mese e per un italiano su due la denatalità ha ragioni economiche o lavorative. È cioè figlia di un contesto incapace di vedere nei bambini che nascono un valore per tutta la comunità, e non un fatto esclusivamente privato. Anche per questo, come ha sottolineato la ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella, la sfida diventa culturale: «Bisogna coinvolgere e promuovere una mobilitazione collettiva sulla natalità a partire da aziende e sindacati, enti non profit, associazioni, enti locali, per cercare di cambiare un clima culturale. Serve investire su politiche che creino un ambiente economico e culturale a favore della natalità, con la complicità di tutti gli attori della società civile».

Il desiderio di maternità in Italia non è cambiato: «Le donne dicono che vorrebbero due figli e poi non li fanno o ne fanno solo uno, lo fanno tardi, o a volte non ne fanno nessuno – ha continuato la ministra -. Per questo la maternità va accompagnata con una serie di servizi, una filiera fino almeno al primo anno di vita del bambino. Dobbiamo costruire un welfare di prossimità, e mettere assieme tutte le buone pratiche nate nei comuni e nelle aziende. Tornare a dare valore sociale alla maternità». Roccella ha anche annunciato l’intenzione di promuovere un codice deontologico da sottoporre ad aziende e associazioni di categoria per favorire la conciliazione tra la dimensione familiare e quella lavorativa nelle imprese.

I termini dell’emergenza natalità sono drammatici. Nel 2022 sono nati circa 400mila bambini, il 25% in meno rispetto a dieci anni fa, e se il trend calante proseguisse senza modifiche, nel 2050 non solo ci troveremmo con un lavoratore attivo per ogni pensionato, «un rapporto insostenibile» come ha sottolineato il demografo ella Cattolica Alessandro Rosina. Non solo: paradossalmente, nel 2050 potrebbero non nascere più bambini. Un futuro distopico rappresentato in modo sconvolgente da un cortometraggio realizzato da Dude per Plasmon nel quale si descrive la triste e desolata giornata di Adamo, l’ultimo bambino nato in Italia.

«La nascita di un figlio è la seconda causa di povertà in Italia ma è anche una straordinaria manifestazione di bellezza – ha detto Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la natalità e del Forum delle Famiglie, al lavoro per preparare i prossimi Stati Generali della Natalità –. L’impegno delle imprese contro il declino demografico è positivo, dobbiamo fare squadra per mettere i giovani nelle condizioni di realizzare i loro sogni».

L’indagine realizzata da Marini coglie bene questa asimmetria tra desideri e realtà che caratterizza in negativo in particolare l’Italia. Tra chi ha già figli, il 34,3% ne desidera altri, percentuale ancora più alta per la I-generation, i giovani con meno di 27 anni (58%), e i millennials (51%). Quanto a chi non è genitore, il 40% manifesta il sogno di un bambino, e chissà se riuscirà mai a realizzarlo. Il contesto non aiuta: quando si chiede alle persone come vedono il futuro, il termine più votato è “incerto”, mentre il “pessimismo” è la condizione più frequente. Eppure, avere figli è associato a parole come “gioia”, “soddisfazione”, “speranza”. Più che una fotografia sembra una richiesta d’aiuto. O meglio: di aiuti.

Fonti: Massimo CALVI | Avvenire.it

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