Il Norwegian Healthcare Investigation Board (Ukom, Consiglio di ricerca norvegese sulla salute) ha annunciato che sta rivedendo le sue linee guida in materia di disforia di genere e al cambiamento di sesso nei minorenni non ritenendole più basate su prove scientifiche. D’ora in poi «l’uso di bloccanti della pubertà, di terapie ormonali e di interventi chirurgici di riassegnazione di genere sarà limitato a contesti di ricerca e non sarà più fornito in contesti clinici».
Ukom è giunto a questa conclusione a partire dalla determinazione di «garantire un aiuto e un trattamento sicuri per bambini e adolescenti con incongruenza di genere», tema attorno al quale c’è un «dibattito pubblico» con «grandi disaccordi», una «situazione di incertezza» che «influisce sullo sviluppo dei sistemi medici» in materia. La consapevolezza che «ora c’è bisogno di una spinta per migliorare la sicurezza dei pazienti» ha indotto Ukom a condurre «uno studio sul trattamento offerto a bambini e adolescenti con incongruenza di genere» a partire da «notifiche» da parte dei «genitori che mettono in discussione diversi aspetti relativi alla sicurezza dei pazienti» e «mettono in dubbio la prudenza e l’organizzazione del programma di trattamento».
Una situazione che ha creato un problema non più ignorabile poiché – si legge ancora nel rapporto “Sicurezza dei pazienti per bambini e adolescenti con incongruenza di genere” pubblicato il 9 marzo in norvegese – poiché «il numero di bambini e adolescenti che richiedono o sono indirizzati alla valutazione e al trattamento nel servizio medico specialistico è aumentato in modo significativo». «L’aumento maggiore – osserva Ukom – è tra gli adolescenti e i giovani adulti», in particolare «ragazze alla nascita che però si identificano come ragazzi. La nostra attenzione è stata quindi particolarmente focalizzata su adolescenti e giovani con incongruenza di genere e disforia di genere in cerca di assistenza sanitaria. I bambini e gli adolescenti non sono completamente sviluppati fisicamente, mentalmente, sessualmente o socialmente. Ciò richiede una vigilanza speciale per quanto riguarda la sicurezza dei pazienti».
Un approccio, come si vede, di estrema cautela, visto che – come si legge nel paragrafo «Conoscenza insufficiente» – «la base di prove, in particolare le conoscenze basate sulla ricerca per il trattamento di conferma del genere (ormonale e chirurgico), è carente e gli effetti a lungo termine non sono ben noti». Un rilievo che «è particolarmente vero per la popolazione adolescente in cui la stabilità della incongruenza di genere non è nota. C’è una mancanza di conoscenze basate sulla ricerca sul trattamento dei pazienti con incongruenza di genere non binaria». Dunque «al fine di salvaguardare la sicurezza dei pazienti, Ukom ritiene necessario rafforzare la base di conoscenze sull’incongruenza di genere e la disforia di genere» in modo che «i servizi medici siano organizzati in linea con le conoscenze».
Ukom denuncia, in modo diplomatico ma trasparente, una certa liberalità nell’approccio al problema sinora: «Al personale sanitario – spiega il rapporto – sono state offerte grandi opportunità di interpretazione in un campo relativamente ristretto che manca di una revisione sistematica». Nella prassi si è insistito sui «diritti senza chiarire le questioni relative alla definizione delle priorità e alla prudenza». L’analisi dell’istituto di ricerca norvegese sulla situazione attuale si fa incalzante: «Le linee guida professionali nazionali per l’incongruenza di genere non sono molto normative. Non stabiliscono requisiti specifici per la valutazione o requisiti per l’indicazione medica per l’inizio del trattamento. La discussione sulla competenza dei bambini a dare il consenso e sul diritto dei genitori all’informazione apre all’interpretazione. Le linee guida non stabiliscono uno standard adeguato per i servizi sanitari e riteniamo che per alcuni pazienti ciò possa rappresentare un rischio per la sicurezza. Ciò può andare oltre il requisito della prudenza», punto fermo della «legislazione sanitaria».
Lo studio del Board ha osservato che «esiste un divario tra ciò che le linee guida delineano e ciò che è possibile». Ukom parla apertamente di «rischio di un trattamento eccessivo e scorretto di bambini e adolescenti con incongruenza di genere e disforia di genere»: «Siamo preoccupati – aggiunge l’ente pubblico di ricerca – che i bambini e i giovani con incongruenza di genere abbiano un servizio sanitario sicuro e adeguato». Di qui la decisione per una «revisione delle linee guida» in modo da garantire «un quadro sicuro per il trattamento offerto a bambini e adolescenti e misure per rafforzare la base di conoscenze», con l’impegno per la «raccolta sistematica di dati» e «la ricerca di follow-up», cioè della verifica delle conseguenze a breve e lungo termine dei trattamenti sul paziente, perché «è importante che i bambini e gli adolescenti con incongruenza di genere e disforia di genere, anche non binari, siano adeguatamente salvaguardati».
Tre le raccomandazioni di Ukom al termine di questa complessa analisi: al Ministero della Salute si consiglia una revisione delle linee guida in materia di trattamento della disforia di genere nei minori, con «un riesame sistematico» della situazione e delle regole; si indica poi che il «trattamento che ritarda la pubertà (bloccanti della pubertà) e il trattamento ormonale e chirurgico di conferma del genere per bambini e adolescenti siano definiti come trattamento sperimentale», cioè un percorso non ordinario ma eccezionale e sotto stretta osservazione; e infine l’istituzione di un «registro nazionale» che tenga traccia di tutto ciò che si fa, in modo da garantire vigilanza continua.
Già altri Paesi hanno fatto marcia indietro rispetto alla somministrazione di bloccanti della pubertà e alla riattribuzione ormonale e chirurgica di genere nei minori: Finlandia, Svezia, Regno Unito e alcuni Stati degli Usa hanno adottato misure simili per proteggere i minori. Di recente (12 gennaio 2023) la Società psicoanalitica italiana ha espresso «grande preoccupazione per l’uso di farmaci finalizzato a produrre un arresto dello sviluppo puberale in ragazzi di entrambi i sessi a cui è stata diagnosticata una “disforia di genere”, cioè il non riconoscersi nel proprio sesso biologico», rivolgendo un appello al governo per «avviare sulla questione dei ragazzi con problematiche di genere una rigorosa discussione scientifica» poiché «la sperimentazione in atto elude un’attenta valutazione scientifica accompagnata da un’approfondita riflessione sullo sviluppo psichico e suscita forti perplessità».
Fonte: Francesco OGNIBENE | Avvenire.it