C’è chi ha affidato i testi sacri all’arte, provando a rappresentarne la profonda simbologia, come gli artisti del medioevo. Chi ne ha sottolineato la spettacolarità scenica, come John Martin e William Turner e, decenni dopo, il cinema dei colossal. Chi, ancora, vi ha scorto un’attualità drammatica e laica, come Chagall.
Quel che è certo, è che l’Esodo del popolo ebraico dall’Egitto rimane uno degli episodi più affascinanti della Bibbia, in grado di sopravvivere fino all’epoca delle intelligenze artificiali. Naturalmente, contaminato da quello che oggi è uno dei tratti più utilizzati nella narrazione: il selfie.
Siamo l’esercito del selfie, cantava qualche anno fa il duo Takagi & Ketra. Potremmo aspirare ad esserne addirittura il Popolo.
Tra fotomontaggi che sembrano ormai tutti uguali, si distingue la serie di 17 immagini (in fondo all’articolo la galleria completa) realizzata da Dana Akerman Green, giovane sviluppatrice di software israeliana. «Un riassunto dell’Esodo dall’Egitto da una nuova prospettiva», la definisce l’autrice, laureata all’Academic College di Tel Aviv-Jaffa. Merito di una dose generosa di fantasia naturale e intelligenza artificiale. Si tratta, per stessa ammissione di Akerman Green, del progetto sul quale ha «investito di più fino ad oggi. Una grande sfida, ma divertente».
Le immagini – si sarebbe tentati di dire le fotografie, ma significherebbe cadere nella trappola artistica tesa dalla creatrice – raccontano, fra il serio e l’umoristico, le vicende che hanno preceduto e accompagnato il risveglio dei figli di Israele e la loro partenza dall’Egitto: l’ascesa di un nuovo re, la persecuzione degli ebrei, il neonato Mosè affidato alle acque del Nilo e ritrovato dalla figlia del faraone, il roveto ardente, le dieci piaghe con le quali il Signore punisce gli oppressori e, insieme, educa gli oppressi, fino al celebre attraversamento del Mar Rosso.
Dalle ambientazioni ai personaggi, tutto è realizzato grazie alle possibilità offerte da Midjourney, un motore IA generativo, come spiega Dana Akerman Green, raggiunta da Caffestoria.it. L’intenzione (immaginaria) che muove i personaggi è la medesima (realissima) che anima molte persone: il desiderio di immortalare un evento sociale e, al tempo stesso, di apparire ad ogni costo.
Davanti al presunto obiettivo si alternano così volti di uomini e donne (e animali) terrorizzati dalle locuste, felici per un bambino trovato fra i giunchi oppure teneramente addolorati per la morte del proprio figlio. Finanche a Mosè sulle rive del Mar Rosso, piedi nell’acqua, sole negli occhi e spaesamento da boomer davanti alla fotocamera.
Le creazioni digitali di Dana Akerman Green hanno finora ricosso una discreta curiosità nel mondo ebraico, anche anglofono, sono diventate virali in America Latina e nei giorni scorsi hanno iniziato ad essere riprese in ambienti cattolici anche in Italia.
Se le immagini avessero ritratto il letto asciutto dell’Adige sarebbero state definite una piaga ambientale (e politica). Se invece l’arresto di Donald Trump, un deepfake, nuova frontiera profonda delle bufale online. Essendo quel che sono, il dibattito è già aperto: nulla più che simpatici meme da condividere sui social, sperimentazione tecnologica oppure forma d’arte? Qualcuno finirà – forse non del tutto a torto – per trovarle un buffo strumento pastorale. Senza per questo, speriamo, condannarci ad una nuova piaga.