Il presidente dei vescovi ucraini: «L’odio è una reazione inevitabile di fronte ai lutti e alla distruzione. Lascia piaghe profonde. E solo il tempo, la grazia di Dio e il perdono potranno guarirle»
L’Ucraina è ancora ferma al Venerdì Santo, al dolore di una Via Crucis che da oltre un anno vive sulla sua pelle. «Non ci aspettavamo un’altra Pasqua di guerra», sospira il vescovo Vitaly Skomarovski. Ma subito aggiunge: «La Croce è al tempo stesso sofferenza e speranza. Infatti non c’è Risurrezione senza la Croce». Cinquantanove anni, già ausiliare di Kiev-Zhytomyr, guida dal 2014 la diocesi latina di Lutsk estesa quanto il Veneto e il Trentino-Alto Adige assieme. Il territorio abbraccia due regioni, quelle di Volyn e Rivne, al confine con la Polonia ma soprattutto con la Bielorussia. E la pressione del Paese alleato di Mosca si fa sentire. «Siamo lontani dalle aree più calde, ma vicinissimi a uno Stato la cui minaccia dura da quando è iniziata l’invasione. Questo ha un impatto psicologico fortissimo», spiega il vescovo.
Da poche settimane è il nuovo presidente della Conferenza episcopale ucraina. Eletto a ridosso della principale solennità cristiana che qui viene celebrata il 9 aprile da una minoranza: i cattolici di rito latino. La “grande” Pasqua sarà domenica prossima, secondo il calendario bizantino, e unirà tre Chiese del Paese: quella greco-cattolica e le due ortodosse, una che affonda le sue radici nel patriarcato di Mosca, l’altra che si è staccata nel 2018. È scettico, monsignor Skomarovski, sull’ipotesi di una tregua della Risurrezione. «Le ostilità si fermeranno quando le truppe di occupazione lasceranno il Paese. Preghiamo ogni giorno affinché ciò avvenga quanto prima. Solo allora sarà possibile parlare non tanto di cessate-il-fuoco, quanto di pace vera propria. Ed è essenziale la restituzione dei territori: infatti non c’è pace senza giustizia». Nella regione di Volyn, di cui Skomarovski è pastore, la festa sarà doppia. Perché «due fratellini deportati in Russia sono stati riconsegnati alla zia che vive qui», racconta il presule. «Il mondo intero è consapevole del fatto che Putin abbia disposto il trasferimento forzoso di migliaia di bambini nella Federazione Russa. Però sappiamo anche che si possono aprire vie inaspettate per far tornare i ragazzi alle loro famiglie».
Eccellenza, come annunciare la vittoria di Cristo sulla morte al tempo della guerra?
Noi vescovi avevamo proclamato il 2022 “Anno della Croce”. Doveva iniziare il Mercoledì delle Ceneri, ma una settimana prima è scoppiata la guerra. Così l’”Anno della Croce” è stato un’occasione propizia di accompagnamento e sostegno della nostra gente ferita dal conflitto e per dire che la Croce apre alla Risurrezione.
Adesso avete indetto l’Anno della misericordia. Perché?
La guerra è l’abisso del male, colpisce tutti, crea povertà. Tantissimi sono stati costretti ad abbandonare la propria abitazione o addirittura l’hanno vista distruggere dalle bombe. La nostra risposta è stata declinare nel concreto le opere di misericordia, aprire il cuore al prossimo in difficoltà.
Gli aiuti umanitari dall’estero restano fondamentali per il Paese. Ma sono abbastanza?
Oggi i flussi di beni essenziali hanno una portata molto inferiore rispetto ai primi mesi. Tutto ciò era inevitabile. Però le reti di supporto sono ancora ben solide e continuano a provvedere ai bisogni dell’Ucraina.
Come si vive da cattolici nei territori occupati?
Molti dei nostri fedeli sono stati costretti a fuggire. I sacerdoti in comunione con Roma restano solo in Crimea: da quando è iniziata l’occupazione, alcuni sono rimasti di propria iniziativa e si sono assunti la responsabilità di vivere in terre così complesse.
La veglia pasquale nella Cattedrale latina di Zaporizhzhia – Gambassi
Il Papa continua a lanciare appelli contro la guerra e a favore del «martoriato popolo ucraino».
Ciò che sta facendo il Papa è senza precedenti nella storia della Chiesa. Di fatto ogni mercoledì e ogni domenica Francesco ricorda espressamente l’Ucraina e richiama alla pace. Ciò significa che il Papa porta nel cuore e nelle sue personali preghiere la nostra gente. Inoltre, per volontà del Pontefice, l’anno scorso è stato consacrato il mondo intero, e in particolare l’Ucraina e la Russia, al Cuore immacolato di Maria. E dal 2014 la Santa Sede invia costantemente aiuti umanitari all’Ucraina: si tratta di un apporto colossale che avviene nel nome del Papa.
Francesco vorrebbe visitare Mosca e Kiev.
Saremmo enormemente felici di accoglierlo. E lo aspettiamo quanto prima nel nostro Paese.
Il Papa può essere un mediatore tra Russia e Ucraina?
Il Pontefice è non soltanto un’autorità spirituale, ma anche politica. Sappiamo che lavora per la pace muovendosi in più ambiti.
Gli sfollati restano milioni. Ma c’è chi sceglie di rientrare a casa, magari in località ad alto rischio.
È vero, nonostante l’accoglienza che i nostri profughi hanno ricevuto soprattutto in Europa, molti tornano in patria. Prevale il legame con la terra d’origine. Allora si preferisce riabitare la casa di famiglia nonostante si trovi in città o villaggi sotto la costante minaccia dei bombardamenti che, peraltro, riguardano ogni regione dell’Ucraina.
Come resistere sotto le bombe?
Nessuno può abituarsi ai droni o ai missile russi che colpiscono non solo obiettivi militari o snodi energetici, ma ogni giorno edifici civili, ospedali, scuole, abitazioni . Ecco perché come la Chiesa invitiamo alla preghiera, al digiuno, agli atti di consacrazione che possono aiutare di fronte al senso di impotenza.
La guerra semina odio. Si può proclamare il perdono?
L’odio è una reazione umana quasi inevitabile di fronte ai lutti, alla distruzione, ai feriti, ai bambini vittime di soprusi, all’impossibilità di progettare il futuro. Tutto ciò lascia piaghe profonde nel cuore dell’uomo. E solo il tempo, la grazia di Dio e il perdono potranno guarirle.
Fonte: Giacomo GAMBASSI | Avvenire.it