Ho pensato ad un divertente scherzo dello Spirito Santo, quando ho letto la lettera pastorale sulla sessualità umana scritta ai loro fedeli dai vescovi della Conferenza episcopale scandinava in occasione della quinta domenica di Quaresima 2023.
Perché scherzo? Perché noi europei del Sud pensiamo ai Paesi scandinavi (Danimarca, Islanda, Norvegia, Svezia, Finlandia) come ai massimi rappresentanti degli uomini e delle donne totalmente indifferenti ad ogni dimensione religiosa e ai più avanzati interpreti di quel “pensiero unico” che inneggia all’aborto, all’eutanasia, al gender e così via: e, quindi, presupponiamo che anche gli episcopati di quei Paesi siano propensi ad adeguarsi alla deriva impersonata, in questo periodo, dal sciagurato sedicente Sinodo tedesco, che rischia di provocare un vero e proprio scisma pur di proclamare affermazioni contrarie a tutta la millenaria tradizione di verità della Chiesa cattolica.
E, invece, no. I vescovi della Scandinavia hanno prodotto e proclamato un documento che ribalta completamente un’impostazione che, purtroppo, si sta infilando nel pensiero non solo di atei e di laicisti, ma anche di non pochi cattolici e, più in generale, di cristiani. Proprio dai pastori scandinavi ci arriva un giudizio che ho letto con grande gioia e speranza, il quale rimette, anche con molto garbo e caritatevole discrezione, le cose al loro posto, secondo l’esperienza di carità ed il sapere cristiani. Tale documento dovrebbe essere imitato, a mio modesto parere, anche da altre conferenze episcopali, compresa quella italiana. Ma che cosa scrive di tanto “rivoluzionario”? Scrive semplicemente la verità cristiana, che è di per sé rivoluzionaria, proprio perché non si conforma (ricordiamo san Paolo?) al pensiero del “mondo”.
Nella lettera pastorale, viene rovesciato, fin dall’inizio, il significato del termine “arcobaleno”, così come viene usato dal mondo Lgbt, affermando che «non possiamo ridurre il segno dell’arcobaleno a qualcosa di meno del patto vivificante tra il Creatore e la creazione». Esso, infatti, è stato il simbolo del patto definitivo stretto da Dio con il creato, dopo il diluvio, che impegnava gli uomini a «onorare Dio, costruire la pace, essere fecondi».
In forza di questa alleanza i vescovi dissentono dal fatto che il movimento Lgbt «propone una visione umana che astrae dall’integrità incarnata della persona, come se il sesso fosse qualcosa di accidentale» e si oppongono al fatto che «tale visione viene imposta ai bambini come una verità provata». Infatti, «l’immagine di Dio nella natura umana si manifesta nella complementarietà del maschile e del femminile». In questo senso, i vescovi riaffermano pienamente la propria responsabilità, ricordando, senza esitazione, che essi non sono «stati ordinati per predicare nostre piccole nozioni», ma per aiutare i fedeli, cioè ognuno di noi, a «procedere verso una meta», quella posta da Dio.
Con grande carità, poi, i vescovi comprendono la difficoltà in cui uomini e donne possono trovarsi e, per questo, indicano loro un paziente cammino, che si sintetizza nell’invito non generico a partecipare «alla vita della Chiesa», recuperando «la natura sacramentale della sessualità nel disegno di Dio, la bellezza della castità cristiana e la gioia dell’amicizia», perché la misericordia di Dio e della Chiesa «non esclude nessuno, ma stabilisce un alto ideale» e «l’ideale è enunciato nei comandamenti, che ci aiutano a crescere rispetto a concezioni di sé troppo anguste». Essi riaffermano che la Chiesa «desidera abbracciare e consolare tutti coloro che vivono con difficoltà questa problematica» e raccomandano ai cristiani di appropriarsi dei principi fondamentali dell’antropologia cristiana, mentre si avvicinano «con amicizia, con rispetto, a coloro che si sentono estranei ad essi».
La lettera dei presuli scandinavi termina con le parole «amore nella verità» che, mi pare, costituisca il criterio di fondo con cui hanno scritto questo straordinario documento, il quale smentisce clamorosamente uno dei falsi dogmi della cultura corrente, secondo il quale non si può dire o indicare la verità perché questo sarebbe un atteggiamento “divisivo”. La lettera dimostra esattamente il contrario: la verità può essere detta (senza nasconderla o ridurla) con grande carità e grande rispetto e grande apertura, riconoscendo le difficoltà degli interlocutori e invitandoli ad un vero dialogo e non a dialettizzare a base di slogan.
Consiglio a tutti di leggere questa lettera, perché costituisce una grande testimonianza di come un cristiano di oggi debba e possa vivere nei rapporti con la c.d. modernità. Senza supponenza e senza prosopopea, o meglio con carità, ma anche senza nascondere la grande e insostituibile ipotesi di vita nuova portata nel mondo da Cristo, il quale ha sacrificato sé stesso per questo, cosa di cui facciamo memoria proprio in questi giorni.
«L’immagine di Dio impressa nel nostro essere richiama la santificazione in Cristo. Qualsiasi considerazione del desiderio umano che ponga l’asticella più in basso di questo è inadeguato da un punto di vista cristiano» e, quindi, anche umano.
Fonte: Peppino ZOLA | Tempi.it