“L’Italia sta scomparendo”. Elon Musk ha commentato così gli ultimi drammatici dati Istat secondo cui siamo al minimo storico di nascite (meno di 7 nati e più di 12 morti per mille abitanti nel 2022): per la prima volta dall’unità d’Italia i nuovi nati sono stati meno di 400 mila. Tale squilibrio è già ora devastante per la nostra economia e il nostro welfare.
Pressoché solo, Ettore Gotti Tedeschi per anni ha sottolineato il legame che c’è fra crollo demografico e decrescita economica. In un articolo sull’“Osservatore romano” del 2008 scriveva: “Bisogna avere il coraggio di affermarlo: la fragilità e la vulnerabilità della economia del mondo occidentale sono fortemente legate, se non conseguenti, alla crisi demografica iniziata trent’anni fa e che vide in breve tempo crollare il tasso di crescita della popolazione, da oltre il 7 per cento annuo a quasi zero”.
Oggi tutti si sono resi conto che proprio così stanno le cose. Ma insieme alle conseguenza economiche e sociali già visibili, c’è a tema, come dice Musk, pure la sparizione del popolo italiano. In questi anni nessuno dei nostri governi si è reso conto, o ha riconosciuto, che quella demografica è la vera, grande emergenza del Paese.
La Sinistra ritiene che la soluzione al crollo demografico sia l’immigrazione di massa? Pare di sì, ma si spera di no, perché non considererebbe lo sconvolgimento che ciò rappresenterebbe, anche per le stesse popolazioni immigrate che si troverebbero di fatto sradicate e non integrate. L’Italia non è ciò che erano gli Stati Uniti, un immenso Paese in gran parte spopolato e senza un’identità nazionale.
Il crollo demografico esige risposte più meditate e realiste. Il governo Meloni è il primo ad aver indicato questo problema come questione strategica. Ma invertire la rotta è difficilissimo.
Ieri la ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella ha annunciato, con la legge di bilancio, aumenti significativi all’assegno unico “che le famiglie stanno già avvertendo”. Altri incentivi arrivano per le bollette e dalla riforme del fisco e del reddito di cittadinanza. Certo, l’esiguità delle risorse non permette interventi più cospicui. Come dimostrano altri Paesi, per esempio la Francia, la questione economica – nella ripresa demografica – è molto importante.
Tuttavia sappiamo che non è tutto. C’è un problema culturale alla base del crollo demografico o della ripresa delle nascite. La scelta per la vita esige una disponibilità personale a sacrificare qualcosa, implica un amore o un sogno che renda accettabile rinunciare a qualcosa di sé nell’immediato per la felicità di domani, per un progetto di vita che abbraccia gli anni. La mentalità dominante, che è individualista e ha come orizzonte prevalente i propri desideri immediati, senza un progetto di vita più grande, porta in direzione opposta.
Non solo. Probabilmente il crollo demografico è anche il sintomo del venir meno di una coscienza collettiva di noi come popolo. Quando e dove c’è questa consapevolezza condivisa le cose vanno diversamente. Consideriamo per esempio una democrazia moderna come Israele, che ormai sta arrivando ai 10 milioni di abitanti (15 milioni entro il 2050), con una media di tre figli per coppia (contro i due della maggior parte dell’Occidente e poco più di 1 dell’Italia).
Tale crescita demografica è dovuta perlopiù alle famiglie religiose, ma pure nelle famiglia laiche c’è alta natalità. Un altro fattore di incremento della popolazione è l’arrivo di ebrei da Russia e Ucraina. Nel caso di Israele la diaspora è un fenomeno particolarmente importante, ma riguarda pure altri Paesi.
Nei giorni scorsi Raffaele Marchetti, sul “Corriere della sera”, ha acceso un faro su una questione che in passato anche noi abbiamo sollevato, ma che non ha mai suscitato la riflessione che meriterebbe, la presenza di italiani all’estero: “Ufficialmente la popolazione italiana conta circa 60 milioni di cittadini di cui il 90% residenti nel territorio italiano. Tuttavia, se interpretassimo differentemente i parametri di riferimento demografico (…) la comunità italiana ci apparirebbe come una collettività diasporica di quasi 150 milioni di persone, disperse su più continenti. Tutto ciò avrebbe implicazioni di policy assai rilevanti per la politica, l’economia, la società, la cultura e la sicurezza del nostro paese”.
Come vengono fuori queste cifre? Marchetti rileva che ci sono “decine di milioni di persone” che avrebbero diritto alla cittadinanza per nascita (italo-discendenti), mentre la lentezza della burocrazia rende tutto difficile. Ci sono poi altri milioni di oriundi che pur senza titolo alla cittadinanza hanno un legame culturale e affettivo con le loro origini italiane.
In pratica, secondo Marchetti, “ci sono più ‘italiani’ fuori dall’Italia che in Italia (…), Complessivamente nel corso della storia la diaspora italiana è stata sottovalutata” e questo ha fatto in modo che “gli oriundi si sono in larga parte disaffezionati alla patria di origine, integrandosi progressivamente nei paesi di accoglienza”.
Marchetti ha il merito di sollevare una questione che è “un tema strategico di identità e di operatività per il posizionamento internazionale del paese (…). Cosa vogliamo essere? Siamo un paese di 60 milioni di persone centrate sul territorio nazionale o siamo una comunità diasporica diffusa in più paesi che va vicina alle 150 milioni di unità?”
Altri Paesi con importanti diaspore all’estero (Israele, Gran Bretagna, Cina, Armenia), si sono comportati ben diversamente dall’Italia. Il nostro Paese potrebbe acquisire un peso politico, culturale ed economico ben più significativo se allargasse i suoi orizzonti e le sue politiche all’insieme degli italiani nel mondo.
Il governo Meloni, che è il più sensibile al dramma del suicidio demografico, potrebbe aprire questa nuova prospettiva varando politiche intelligenti che puntino a ritrovare e recuperare nell’orizzonte della nostra vita nazionale questa Italia fuori dall’Italia.
Fonte: Antonio SOCCI | Libero.it