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Natalità. Obiettivo: 500mila nati entro il 2030, «aiutiamo i giovani a fare più figli»

L’11 e il 12 maggio, a Roma, gli Stati generali della natalità, con papa Francesco e la premier Meloni. De Palo: «Sul Pnrr si può fare di più». Blangiardo: «Serve un clima di garanzia per le famiglie»

 

L’obiettivo non è facilissimo, ma tutt’altro che impossibile: raggiungere quota 500mila nascite entro il 2030 (sono state 392.598 nel 2022), e passare dall’attuale 1,24 figli per donna a 1,60 nel 2033, così, fra l’altro, riuscendo a sostenere il welfare nel nostro Paese. Obiettivo che, per altro, sarebbe appena «rialzare la testa».

Come spiegano gli organizzatori degli “Stati generali della natalità”, a Roma l’11 e il 12 maggio prossimi, ai quali parteciperanno anche papa Francesco, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e diversi ministri (Eugenia Roccella, Giuseppe Valditara. Giancarlo Giorgetti e Adolfo Urso), il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi.

«Il Paese è in profonda crisi demografica – sottolinea la Fondazione per la natalità, che appunto organizza gli Stati -, rischia di perdere 11 milioni di residenti nei prossimi 40 anni e con un numero di decessi pari a 2,5 volte quello delle nascite». Allora, per toccare 500mila nati nel 2033, «dobbiamo dare una mano ai giovani anche con un clima di garanzia, perché non si sentano soli» e «la comunità dica “siamo con voi”», ha detto Gian Carlo Blangiardo, già presidente Istat.

Sarebbe a dire che ad esempio «sul Pnrr si può fare qualcosa in più» – secondo Gigi De Palo, presidente della Fondazione -, come «trasformare alcune delle voci del Piano in funzione della natalità: prima casa per i giovani, possibilità di avere sgravi o tutele per un lavoro più strutturato e non solo partite Iva. Noi siamo qui per dire di fare squadra tutti insieme».

Ancora: «Un grande risultato è mettere attorno al tema della natalità tante persone e parlarne tutti insieme con un obiettivo comune tra governo, opposizioni e aziende». Quindi – ha continuato De Palo – «serve l’assegno unico molto più forte rispetto a quanto abbiamo in Italia e, come avviene in alcuni Paesi Ue, universale indipendentemente dal reddito». Perché «anche chi ha un reddito di 100mila euro, ma 5 figli, non vive nell’oro».

Occorre, poi, «una fiscalità che tenga conto della composizione della famiglia. Suggeriamo da sempre una riforma del fisco che tenga conto del numero dei figli: le tasse non si devono pagare solo in base al reddito, ma guardando la composizione familiare, alleggerendole a seconda di quanti figli ci sono». Non fosse perché questi «saranno in futuro dei lavoratori e quelli che sosterranno l’Italia nella piramide demografica».

Gli ultimi numeri italiani, relativi al 2022, allarmano: 719 mila morti a fronte di 393 mila nati (come avere perso una città grande come Bari) e popolazione diminuita di 1,5 milioni di residenti rispetto al 2014. E «non basterebbe a invertire la tendenza un maggior apporto migratorio», ha annotato Blangiardo: «Si attuerebbe unicamente la caduta del totale dei residenti, ma il numero dei nati non subirebbe alcun aumento significativo».

Insomma, da “inverno demografico” e “culle vuote”, le definizioni fin qui sono state molte e la concretezza, finora, poca, nonostante questa situazione disegni il futuro dell’Italia, con una «dinamica naturale negativa che caratterizza il nostro Paese». Non a caso, «da anni – ha detto De Palo – ci battiamo per portare il tema della denatalità all’attenzione della politica e al centro del dibattito pubblico. Lo abbiamo fatto in passato, quando questo problema sembrava drammaticamente marginale nell’agenda politica del nostro Paese, continuiamo a farlo oggi, nel momento in cui finalmente l’attenzione dei cittadini e delle forze politiche sembra avere colto la portata del problema e l’impellenza di soluzioni concrete». Perciò «con gli Stati generali vogliamo anche quest’anno dare vita ad un momento importante di riflessione e di confronto su questi temi, per trovare soluzioni condivise ed efficaci».

E del resto non è vero che non si vogliano fare figli, anzi «la domanda di figli insoddisfatta, intesa come differenza tra ciò che le donne avrebbero voluto avere e ciò che hanno effettivamente realizzato – ha spiegato di nuovo Blangiardo – è almeno pari a 0,7 figli per donna e raggiunge quasi un figlio (0,91) per le generazioni più recenti».

Fra le cause, c’è al solito la difficoltà nel conciliare maternità e lavoro: «I dati sui tassi di occupazione è andato avanti Blangiardo -, minimi in presenza di figli piccoli e massimi per le donne single, sottolineano come il rischio di allontanamento dal lavoro sia per le donne con minore istruzione, sia per quelle che vivono nel Mezzogiorno».

Morale? Agli Stati generali di giovedì e venerdì prossimi, «si partirà da un’attenta analisi dei dati Istat per fare una sintesi chiara e puntuale delle criticità da risolvere urgentemente – preannuncia De Palo -, confrontandoci con i rappresentanti del Sistema Paese, istituzioni, aziende, banche, media, mondo della cultura e dello spettacolo, società civile». Per «riflettere su un tema capace di unire e anche immaginare una nuova narrazione della natalità». Perché ha concluso il presidente della Fondazione per la natalità, «siamo convinti che la cartina di tornasole della speranza di un Paese è la nascita di un figlio».

Fonti: Pino Ciociola | Avvenire.it

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