Sopra La Notizia

Guerra Russia-Ucraina. L’alto numero di morti comincia a diventare l’argomento convincente per la pace

I morti sono esigenti. Non vogliono essere dimenticati, non possono essere dimenticati. I morti della guerra ancor di più. Si ha un bel dire che oggi la morte non è più la stessa cosa, che non è più visibile come un tempo tra noi. Che perfino la sua esistenza spirituale si è ampiamente cancellata. Insomma che non crediamo più alla morte. Poi scoppia la guerra, una guerra visibile, geograficamente prossima, che ci assomiglia in modo così orribile come quella in Ucraina e la morte di nuovo è. Semplicemente.

È una storia sempre eguale: nelle opposte trincee si ammassano i naufraghi delle offensive e delle controffensive come quelli del mare e del deserto, i sepolti vivi dei bunker, i buoni e i cattivi, chi invade e chi si difende, rassegnati a caderci dentro, a questa inumazione in mezzo ai vortici delle bombe e del metallo. E noi, europei, atlantici, convinti di appartenere a una civiltà superiore a deprecare altezzosamente queste guerre che ci sembrano risse fra teppisti in un terreno smesso di periferia. Per infiniti mesi, da non belligeranti, abbiamo fatto finta di non contarli, gli uccisi, i mutilati, i fuori combattimento, come se le armi che forniamo fossero destinate a funzionare da sole, innescate dalla necessità della legittima difesa. Li abbiamo lasciati nella loro solitudine inenarrabile perché censurata, perduti nelle loro tane in mezzo a questi vasti spazi brulli e corrosi dove lo scorrere delle stagioni era solo un dettaglio tattico, un particolare dell’arte della guerra. E invece i morti erano lì, si accumulavano, morivano.

Cerchiamo di renderli invisibili, di allontanarli, i morti, privandoli della loro irrimediabile fisicità, non li contiamo, non li mostriamo. Gli ucraini coprono con il segreto i loro. Mostrano i soldati russi uccisi; ma la morte la si fa scorrere come accade per un omicidio o un incidente, in un modo cinematografico, filmata con i telefonini, semplice immagine ripetibile all’infinito, quindi senza consistenza, solo virtuale.

I russi invece mostravano, all’inizio della guerra, i morti civili ucraini, i vecchi e le donne gettate nei fossi: in fondo una reinvenzione della morte, perché quei cadaveri esibiti erano soprattutto un messaggio, una lezione, una grammatica della morte più sinistra della morte stessa perché usata come discorso pubblico e derubata della pietà. Così finora. Ma i giorni, i mesi di guerra si allungano e il mistero dei morti, il segreto del loro numero relegato alle poco credibili moltiplicazioni della opposta propaganda, silenziosamente cresce come un lievito mostruoso. E arriva un giorno in cui i vivi, la carne da cannone, i sacrificabili cominciano a scarseggiare. È allora che i morti impongono le loro ragioni, urlano che la loro non è la morte irrealizzata, che non sono un niente, che non sono cenere.

È in fondo logico che sia stato per primo un imprenditore della morte, un capitalista della merce umana necessaria per far marciare la catena di montaggio della violenza, l’amministratore delegato della Wagner Prigozhin, a svelare con obitoriale crudezza i suoi morti. I cadaveri sì, allineati uno a fianco dell’altro, lividi, infangati, irrigiditi in pose da oranti, senza equipaggiamento come disertori, in un bosco in cui forse avevano pensato di trovare riparo, un bosco intatto con gli alberi e l’erba. Uomini della Wagner sbraitava Prigozhin, i suoi morti, vittime delle incapacità dello Stato maggiore, dei generali, forse di Putin stesso. Non ci ha lasciato neppure l’illusione del silenzio del nulla Prigozhin. La guerra li ha vinti quei russi, mercenari, per cui inferno e paradiso non saranno mai separati perché hanno fatto l’esperienza irrimediabile del nulla. Scelta sconcertante esibirli si è detto, come se le immagini di quel bosco avessero infranto il vetro dietro cui guardavamo la nostra placida guerra senza morti, asettica, fatta di matematica di munizioni esplose e fabbricate e di luccicanti saloni dove si esponevano e si provavano meravigliose armi. Una apparizione così brutale che per esorcizzarla si sono montate su quei morti acrobatiche teorie su complotti e ricatti al Cremlino. Ecco: ancora una volta i morti che sfumano, perdono il loro scandalo. Poi anche Zelensky e Putin hanno iniziato a fare cenno ai morti, a ammettere con cautela che sono tanti, troppi. Loro che fino ad oggi sembravano raccontare la loro guerra come se fosse una esplosione della natura, e le pallottole e le bombe uscissero dalle viscere della terra e sgorgassero in faccia a quegli uomini mandati nelle trincee a inseguire il fantasma della Vittoria. Nascondendo i morti, chiamandoli eroi, arruolabili perché il loro è ormai un mondo buio dove il sole si è spento, si possono rimestare impunemente veleni e attizzare tutti i fuochi dell’inferno.

Si è dunque scavalcato il punto in cui i morti diventano testimoni irrecusabili. Sono prove mute, non si può opporre nulla alle bocche contratte nelle ultime suppliche della agonia, spalancate per sputar fuori l’anima come un grumo di sangue. Il momento in cui si cominciano a contare i morti e la trasformazione dell’assassino in eroe è smentita, travolta dai numeri, allora la possibilità di un processo che interrompa la carneficina è possibile. Non per il ravvedimento dei capi, né per i machiavellismi della diplomazia. Semmai per il furore dei combattenti dell’una e dell’altra parte che rifiutino di essere ancora strumenti dell’assassinio organizzato e si ribellino alla morte in nome dei morti. I morti ahimè! sono il migliore argomento della pace.

Fonte: Domenico QUIRICO | LaStampa.it

Newsletter

Ogni giorno riceverai i nuovi articoli del nostro sito comodamente sulla tua posta elettronica.

Contatti

Sopra la Notizia

Tele Liguria Sud

Piazzale Giovanni XXIII
19121 La Spezia
info@sopralanotizia.it

Powered by


EL Informatica & Multimedia