Gira in internet una scena breve ma importante: la scena di una resa. Un soldato russo si arrende a un drone ucraino. Si arrende levandosi in piedi (è accucciato in una trincea) e alzando le mani. Non c’è nessun nemico in carne e ossa che accetta questa resa, ma c’è un drone nell’aria: il soldato si arrende al drone. E si arrende in maniera disperata, come se il drone avesse facoltà di graziarlo o fucilarlo all’istante. E ce l’ha infatti: il drone è armato e lo cattura, poi lo guida verso il punto di raccolta dei prigionieri. Nell’atto di arrendersi al drone, il prigioniero russo solleva le mani giunte e le agita in aria in segno di preghiera, come se davanti a sé avesse il Padreterno. A questo punto il lettore deve sapere una cosa: un soldato, di qualunque esercito, non sa come bisogna fare per arrendersi. La resa è un atto sconosciuto.
Mai spiegato a nessuno. Chi scrive questo articolo ha fatto il servizio militare frequentando la Scuola Ufficiali di Lecce, e ricorda che tra gl’istruttori c’era un sergente che aveva fatto la guerra e, trovandosi accerchiato dai nemici, voleva arrendersi ma non sapeva come si fa. In nessuna scuola militare ti insegnano la resa. La resa non esiste. Né per chi si arrende né per chi accoglie gli arresi.
C’è un film in cui i tedeschi si arrendono ai francesi e si alzano in piedi con le mani in alto supplicando “Bitte, bitte”, ma i francesi gli sparano addosso, poi si guardano in faccia e si chiedono: “Cosa vuol dire ‘bitte, bitte?’”. Poiché non si sa come si fa la resa, semplicemente non la si fa. Se la resa fosse ben spiegata ai soldati, i soldati non farebbero altro che quella. La resa dev’essere un atto estremo, d’invenzione, di disperazione: nel video che sto commentando c’è il soldato russo scoperto nella sua trincea da un drone ucraino, il drone gli sta dando degli ordini, per portarlo al punto di raccolta, e il soldato agita in aria le mani giunte in segno di disperata preghiera. Il giusto nome per questo spezzone sarebbe “soldato a mani giunte prega un drone”.
È la prima volta che vedo una scena del genere. Ma certamente non sarà l’ultima. Capiterà ancora che si cattureranno i nemici a distanza, li si raggruppa, li si porta via, per radunarli da qualche parte. Vien da chiedersi: un drone che cattura un prigioniero è più buono o più cattivo di un soldato? Credo che bisogni lasciar giudicare al prigioniero. Il prigioniero è più consolato o più spaventato se vien catturato da un drone? Basta guardare questo prigioniero. È spaventatissimo. Prega il drone agitando le mani giunte come se fosse Dio. Prega, ma non vede nessuna risposta alla sua preghiera. Il vincitore pregato può avere pietà o crudeltà. Con la stessa indifferenza. È una macchina. Non ha anima. Perciò dico: un drone è più crudele di un uomo.
Fonte: Ferdinando CAMON | Avvenire.it