Oltre a sanzioni e punizioni occorre insegnare ai ragazzi a comprenderne il senso e a leggersi dentro, così da imparare a esprimere i propri bisogni in modo più funzionale e meno lesivo. La scuola va aiutata perché ma continui a essere un luogo in cui ci si allena alla vita e non alla guerra
Nella scuola di Abbiategrasso ieri si è sfiorata una tragedia. I fatti oggettivi li conosciamo; uno studente che si avventa sulla docente di lettere sferrandole sei coltellate er poi minaccia i compagni con una pistola finta. Le domande e i dubbi che ne derivano sono infiniti. Come può un ragazzo di 16 anni presentarsi a scuola con un pugnale e un’arma giocattolo? Soprattutto come può pensare di farne uso, di fronte ai suoi compagni e contro il corpo di una donna che viene assalita di spalle senza neppure avere la consapevolezza di ciò che sta accadendo? Quanto caos, disagio, inconsapevolezza, superficialità ci devono essere nella mente di un ragazzo che arriva a scuola, premeditando un’azione del genere? L’azione dello studente sembra essere parte di un copione tipico di chi non sa come si fa a stare al mondo, di chi non comprende il nesso causa effetto di ciò che fa, di chi non prevede le implicazioni – in questo caso anche penalmente rilevanti – delle azioni di cui si rende protagonista. Oggi le cronache raccontano che il ragazzo, dal percorso scolastico tortuoso, negli ultimi mesi si era spesso reso protagonista di azioni di disturbo delle lezioni. Staccava la spina della lavagna luminosa. Aveva spruzzato uno spray urticante obbligando l’intera classe a cambiare aula per proseguire l’attività didattica del giorno. Eventi ripetuti. Perché? Per fare uno scherzo? Per raccontare con agiti disfunzionali la sua incapacità di rimanere dentro un percorso che non sentiva adatto a sé e ai propri bisogni? Succede spesso che gli adolescenti si rendano protagonisti di azioni con cui raccontano disagi per cui non hanno parole. Gesti che fanno parlare di sé, ma che lasciano ancora più soli, confusi e disorientati perché al massimo ricevono sanzioni e punizioni senza un percorso che aiuti a comprenderne il senso e a leggersi dentro, così da imparare ad esprimere i propri bisogni in modo più funzionale e meno lesivo. Ci sono ragazzi che compiono gesti con cui trasformano il loro senso di impotenza in attacco e aggressività, il loro senso di vergogna in vendetta contro un presunto nemico che è percepito tale soprattutto quando gestisce una funzione normativa, che richiama all’ordine e alla necessità di aderire a regole che ti vengono assegnate. Regole che non sono né contro di te, né per te: semplicemente servono a salvaguardare il bene collettivo. Di solito azioni di questo genere si fanno in uno stato dissociativo, quando si apre dentro di te un abisso senza fondo nel quale si precipita senza conoscersi e riconoscersi più. Qui però sembra esserci la premeditazione: ovvero l’aver pensato e progettato la scena dell’aggressione, aver costruito un copione nella propria fantasia che poi è stato messo in atto nel principio di realtà, condizione che escluderebbe la precedente ipotesi. La cronaca ci dice che le note disciplinari verso il ragazzo si erano succedute numerose negli ultimi tempi e che i suoi genitori erano convocati per un colloquio con i docenti . Ci dicono anche che quella mattina la docente aggredita gli ha comunicato di volerlo interrogare, fatto che ha scatenato tutto. In classe si è visto un adolescente che toglie il coltello dallo zaino, lo impugna, dice ai compagni “Mi dispiace, ragazzi” e poi colpisce. L’attacco e la scusa, tutto insieme. C’è tutto e il contrario di tutto, in queste sequenze di fatti. Ciò che è accaduto ad Abbiategrasso ci dice che in questi tempi la distanza tra il territorio degli adulti e quello dei ragazzi si sta facendo sempre più ampia. C’è una scuola che riempie un registro di note e un ragazzo che riempie la propria mente di rabbia e di bisogno di vendetta. C’è un mondo adulto che prova a ricomporre il proprio ruolo e funzione ribadendo l’importanza delle norme e un mondo adolescente che non regge a questo tipo di richieste. Cosa serve? Difficile dirlo. E’ difficile intercettare il dolore e il disagio di molti adolescenti, oggi. Perché spesso cova dentro di loro in silenzio e poi, a volte, esplode in gesti eclatanti, spesso violenti, di natura autolesiva o eterolesiva. E’ difficile aiutare gli adulti a capire come stare a fianco di chi cresce oggi, perché a volte lo stesso psicoterapeuta fatica a comprendere qual è il bandolo della matassa intorno alla quale è avvolto il loro dolore, il loro sentirsi dispersi a se stessi e dislocati nella vita. Se non sai chi sei, se non individui dentro di te l’immagine di chi desideri essere, procedi per tentativi ed errori, con un copione così caotico dove tutto può essere messo in scena, senza alcuna comprensione del significato e delle conseguenze che quel tutto può avere. ll fatto è che il dolore e il disagio sono ovunque oggi, nel territorio della crescita e che i nostri figli sembrano incapaci di dargli una direzione, un senso e/o di trasformarlo in qualcosa che aiuti a rialzarsi. Perciò le cadute si susseguono, una dopo l’altra e lasciano sempre più soli, atterriti, isolati, incapaci di comprendere e di comprendersi. C’è molto lavoro da fare oggi, sia di tipo clinico che preventivo. Va intercettato il disagio perché non diventi patologia, ma va anche educato il benessere e vanno instillati quei fattori di protezione che permettono di far fronte alle sfide e alle difficoltà della vita. La scuola va aiutata perché non diventi una trincea, ma continui ad essere un luogo in cui ci si allena alla vita e non alla guerra. In tutto questo, per tutti oggi diventa necessario far sentire la massima solidarietà ai docenti che si trovano immersi nel caos che connota i percorsi di crescita, docenti chiamati a dotarsi e dotare i loro studenti di bussole per trovare l’orientamento che aiuti a diventare e sentirsi stabili e adeguati alla vita. Compito, che di fronte a casi come quelli di Abbiategrasso, appare una missione quasi impossibile.
Fonte: Alberto PELLAI | FamigliaCristiana.it