Nelle sale l’ultimo film di Pupi Avati, La quattordicesima domenica del tempo ordinario. Un racconto che affronta il tema dell’amore e dell’amicizia alla prova del tempo, tra attese deluse e sogni infranti, relazioni da costruire con cura e ricostruire con pazienza.
Un chiosco di gelati in un fermoimmagine in bianco e nero, «un posto dove le cose che sognavi accadevano», apre La quattordicesima domenica del tempo ordinario di Pupi Avati, il suo «film più autobiografico e più sincero sul tempo e sull’amore», come lo stesso regista bolognese lo ha definito.
Bologna, anni Settanta. Marzio, Samuele e Sandra sono giovanissimi, ognuno con un talento da compiere conformemente alla propria vocazione. Il film si muove perciò costantemente tra passato e presente; com’erano e come sono diventati i protagonisti. Inizialmente c’è un amore giovanile ed entusiasta, folle e sognante, al quale in particolare la gelosia asfissiante del protagonista tarpa le ali; c’è un’amicizia nel contempo solida e fragile, quella di due compagni di classe, Marzio e Samuele, che condividono la passione per la musica e il canto e diventano un duo: “I Leggenda”.
Quindi Marzio versa un frappè sul vestito di Sandra, «la ragazza più bella di Bologna», le promette il mondo e pretende di essere il suo tutto. Fatica però ad amarla come conviene, molto probabilmente perché è orfano di padre sin da quando era piccolo; Sandra, invece, è tutta protesa al lavoro e alla carriera di indossatrice, anche perché la madre le ripeteva ogni giorno di essersi pentita di averla generata.
Per i due giovani sposi, allora, l’amore diventa subito un cammino in salita per imparare ad amare anche nella prova e nel dolore, nel tradimento e nella sofferenza, al fine di divenire essi stessi realmente quel sacramento che hanno celebrato nella quattordicesima domenica del tempo ordinario. Passano perciò dall’età dei sogni – forze motrici della vita e nel contempo illusioni che prima o poi deludono – alle difficoltà concrete dell’età adulta, della responsabilità che ti costringe a fare i conti con la realtà. A differenza del realismo dell’amico Samuele che accetta un tranquillo posto in banca, Marzio ancora sogna il successo come rocker. Eppure, nonostante l’immaturità affettiva e relazionale, è Marzio a dissuadere Sandra dal proposito di abortire quando quest’ultima vede nella maternità un ostacolo alla propria carriera professionale. Allo stesso modo, quando poco dopo scopre che non si tratta in realtà di un figlio, bensì di un carcinoma ovarico, Marzio alimenta la fede e la speranza entrando in chiesa a pregare per la guarigione della moglie. Misteriosa è infine anche la figura del padre di Marzio che, nei momenti critici, gli compare in sogno, quasi figura allusiva del Padre, «il soccorso di Qualcuno che avevo sempre sentito inaccessibile» e che invece si manifesta sorprendentemente presente e vicino.
Tra gli attori spiccano su tutte per intensità le interpretazioni dei protagonisti Lodo Guenzi e Camilla Ciraolo che incarnano la coppia negli anni Settanta e quelle di Gabriele Lavia ed Edwige Fenech che sono rispettivamente Marzio e Sandra in età adulta.
Tutto il film è infine significativamente condensato nella sua colonna sonora scritta in parte dallo stesso regista e composta da Sergio Cammariere e Lucio Gregoretti. È il titolo della canzone del duo “I Leggenda”, la sola da loro incisa, la sola a essere diffusa da qualche radio locale, la quale recita: «Ovunque nella stanza ci son sogni non realizzati, s’involano lontane nel silenzio terre remote, le cose belle son volate via, lasciandomi nel buio della vita». A questa amara e nostalgica constatazione fa però da contrappunto quella che segue – «Le tue labbra che cercano le mie, che trovano le mie. E tornerò per sempre alle tue dita che intrecciano le mie nel tuo tepore, nel tuo tepore sempre» – quale preludio di un anelito profondo del cuore, di una speranza destinata a compiersi in un per sempre nonostante tutto non soltanto auspicabile, ma finalmente possibile e realizzabile.
Fonte: Fabio PIEMONTE | LaNuovaBQ.it