La sinistra di cui fanno parte i personaggi pubblici che giustificano coloro che hanno impedito a Eugenia Roccella di presentare la sua autobiografia familiare al Salone del Libro di Torino merita di essere definita fascista? Sì, lo merita ampiamente. E il fatto che appoggi convintamente la prevaricazione contro un avversario politico non è la sua unica caratteristica fascista.
Sinistra e fascismo non sono due entità contrapposte, ma imparentate: il fascismo delle origini era una contrazione nazionalista del socialismo, prodotto delle conseguenze sociali e psicologiche della Prima Guerra mondiale. Per il fascismo, come per la sinistra, la soluzione è lo Stato, ed è lo Stato che deve provvedere al welfare del cittadino e non i corpi intermedi. Per il fascismo, come per gran parte della sinistra di ieri e di oggi, non è la famiglia che deve educare i figli, ma lo Stato: la proposta della scuola d’infanzia obbligatoria avanzata dal Partito democratico e caldeggiata da Manifesto e Repubblica e la diuturna lotta contro le “scuole private” a favore di quelle statali che attraversa la storia della sinistra italiana (con le tardive resipiscenze che portarono alla legge Berlinguer) incontrerebbero la simpatia dei fascisti del Ventennio, quando anche nelle scuole private erano stati resi obbligatori il saluto col braccio teso e i libri di testo approvati dal regime.
«I comunisti fanno proprio il programma fascista»
Alle origini e al suo tramonto il fascismo ha connotati di sinistra. Alle origini: il manifesto dei Fasci italiani di combattimento pubblicato sul Popolo d’Italia il 6 giugno 1919 è intriso di aspirazioni socialiste. Oltre alla giornata lavorativa di otto ore e al salario minimo, chiede «l’affidamento alle organizzazioni proletarie (che ne siano degne moralmente e tecnicamente) della gestione di industrie o servizi pubblici. […] Una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo, che abbia la forma di vera espropriazione parziale di tutte le ricchezze. Il sequestro di tutti i beni delle Congregazioni religiose e l’abolizione di tutte le mense vescovili, che costituiscono un’enorme passività per la Nazione».
Nella seconda metà del 1936 Palmiro Togliatti e altri dirigenti del Comintern scriveranno un manifesto “Per la salvezza dell’Italia. Riconciliazione del popolo italiano”, conosciuto anche come “Appello ai fratelli in camicia nera”. In esso si legge:
«Solo la unione fraterna del popolo italiano, raggiunta attraverso alla riconciliazione tra fascisti e non fascisti, potrà abbattere la potenza dei pescicani nel nostro paese e potrà strappare le promesse che per molti anni sono state fatte alle masse popolari e che non sono state mantenute. […] I comunisti fanno proprio il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori […]. Fascisti della vecchia guardia! Giovani fascisti! Noi proclamiamo che siamo disposti a combattere assieme a voi. Lavoratore fascista, noi ti diamo la mano perché con te vogliamo costruire l’Italia del lavoro e della pace, e ti diamo la mano perché noi siamo, come te, figli del popolo, siamo tuoi fratelli, abbiamo gli stessi interessi e gli stessi nemici».
Il comune ideale della “socializzazione”
Al tramonto della sua fase storica il fascismo ritrova la sua identità di sinistra riassunta nella parola “socializzazione”. Leggiamo nel manifesto di Verona del Partito fascista repubblicano del novembre 1943:
«La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale, integrazione della personalità umana, è garantita dallo Stato. Essa non deve però diventare disintegratrice della personalità fisica e morale di altri uomini, attraverso lo sfruttamento del lavoro. Nell’economia nazionale tutto ciò che, per dimensione o funzione, esce dall’interesse singolo per entrare nell’interesse collettivo, appartiene alla sfera d’azione che è propria dello Stato. I pubblici servizi e, di regola, le fabbricazioni belliche, debbono venir gestiti dallo Stato per mezzo di enti parastatali».
Perciò il decreto legislativo n. 375 della Repubblica sociale italiana “Sulla socializzazione delle imprese” stabilirà all’articolo 1: «Le imprese di proprietà privata che dalla data del 1° gennaio 1944 abbiano almeno un milione di capitale o impieghino almeno cento lavoratori, sono socializzate. Sono altresì socializzate tutte le imprese di proprietà dello Stato, delle Province e dei Comuni nonché ogni altra impresa a carattere pubblico».
L’arruolamento degli intellettuali
In mezzo fra l’alba e il tramonto del fascismo ci sono la sua ascesa al potere, propiziata dall’uso sistematico della forza e dell’intimidazione nei confronti degli avversari politici, dall’uso del manganello e dell’olio di ricino, dalla violenza verbale e da quella fisica (i pestaggi), e poi una gestione dello stesso che non si avvale solo della repressione poliziesca, ma di un’accorta politica di egemonia culturale, basata sulla cooptazione sia dell’alta cultura che della cultura popolare al servizio del fascismo. Cioè le stesse cose che hanno fatto il Pci e la sinistra extraparlamentare nel secondo dopoguerra: la sinistra extraparlamentare stabiliva, con le maniere forti, a chi era permessa l’“agibilità politica” nelle scuole e nelle università, impedendo di prendere la parola o di finire un intervento nelle assemblee esattamente come è stato fatto a Torino con Eugenia Roccella; il Pci e in misura minore il Psi hanno colonizzato università, istituzioni culturali, case editrici, premi letterari e cinema, mentre la tv rimaneva fino ai primi anni Ottanta nelle mani della Dc.
Il Pci e oggi i suoi epigoni del Pd hanno proseguito quella “politica della cultura” che è stato il fascismo a inaugurare per la prima volta in Italia. È stato il fascismo a creare l’Enciclopedia Italiana, l’Ispi, la Biennale di Venezia, la Triennale di Milano, il premio letterario Bagutta, a Roma Cinecittà («il cinema è l’arma più forte dello Stato», diceva Mussolini). Scrive lo storico Angelo d’Orsi, allievo di Norberto Bobbio: «Nel suo insieme la classe dei colti cedé alle lusinghe di un regime che la metteva in pace con la “nazione”, facendola sentire centro motore di una nuova idealità».
Nel dopoguerra il Pci ha fatto la stessa cosa: escluso dal governo, ha arruolato con lusinghe e prebende gli intellettuali creando un sistema che escludeva chiunque non fosse di sinistra e premiava solo chi appoggiava la sua linea politica ed ideologica. Dopo lo scioglimento del Pci e il boom dell’industria dell’intrattenimento centrata sulla musica pop, sul cinema e sulla televisione post-Dc, a prendere le redini dell’egemonia culturale in questi ambiti sono stati soprattutto gli ex extraparlamentari di sinistra, rifluiti chi più chi meno nel Pds-Sd-Pd.
Lo stesso schema degli anni Settanta
L’intolleranza di scrittori, finanzieri editori, docenti universitari di sinistra che hanno definito di volta in volta Giorgia Meloni «bastarda», «vacca», «scrofa», «demente» è un prolungamento della violenza verbale fascista, e come quella è prodromica alla violenza fisica. Si sta ripetendo lo schema degli anni Settanta, quando gli insulti e le accuse più inverosimili prepararono la strada alle violenze contro i giovani cattolici di Cl nelle scuole e nelle università.
Altra caratteristica comune a fascismo e comunismo, perfettamente incarnata dai contestatori della ministra Roccella a Torino, è l’essenzializzazione dell’avversario politico. Roccella merita di essere messa a tacere non per quello che fa, ma per quello che è: antiabortista. Roccella non mette in discussione la legge 194 sull’interruzione della gravidanza (che a suo tempo ha anzi sostenuto), non intende modificarla o abolirla, ma afferma che l’aborto in sé è un male e che perciò non può essere definito un “diritto”. Questo basta perché sia considerato lecito esercitare contro di lei la sopraffazione, così come il kulako per i comunisti e l’ebreo per i nazisti e poi per i fascisti a partire dal 1938 erano meritevoli di eliminazione per la colpa di essere quello che erano, non necessariamente per quello che facevano.
Eugenetica e superuomo
I tratti che gran parte della sinistra italiana ha ereditato dal fascismo sono così numerosi che non si riesce ad esaminarli tutti nello spazio di un articolo, bisogna limitarsi a elencarli approssimativamente: i sindaci che in giro per l’Italia ordinano la rimozione dei manifesti di Pro Vita e Famiglia contro l’aborto e autorizzano quelli che propagandano la pillola Ru486 agiscono da fascisti; la lotta contro gli obiettori di coscienza presenti fra il personale sanitario che si rifiutano di effettuare interruzioni di gravidanza, altro feticcio della sinistra italiana, dimostra una volontà di irregimentare le coscienze e di sottomettere i recalcitranti che nel nostro paese ha il suo precedente storico nel fascismo, che emarginava da certe professioni coloro che non si sottomettevano ai diktat del regime; la complicità di fatto con la pratica dell’utero in affitto, l’aperta approvazione della fecondazione assistita eterologa, l’accettazione dell’aborto per difetti genetici del feto dimostrano che la sinistra apprezza l’eugenetica e la selezione della razza tanto quanto le apprezzavano i fascisti: messo al corrente delle difficoltà che le truppe italiane incontravano nella campagna di Grecia a causa della resistenza ellenica e delle condizioni atmosferiche sfavorevoli, il Duce replicò in modo sprezzante dicendo che questo avrebbe reso più resistente la fiacca razza italiana.
Che nessuno nella sinistra italiana, tranne qualche associazione femminista, abbia sentito la necessità di protestare contro la fiera Wish for a baby a Milano, dove si proponevano sperma e ovociti di qualità garantita per una prole senza difetti, dimostra un’altra caratteristica comune a sinistra italiana e fascismo: l’identica convinzione che l’essere umano è un prodotto, una macchina che si può progettare perché non abbia difetti, un superuomo. E questo è veramente il tecno-fascismo del XXI secolo, quello che Pier Paolo Pasolini previde già nel 1975, quando scrisse che «un nuovo tecno-fascismo […] potrebbe comunque realizzarsi solo a patto di chiamarsi anti-fascismo».