«Nelle ore così buie e così dolorose, in cui scrivo questo libro su una delle virtù più luminose e affascinanti della vita, la mitezza, rivedo con l’immaginazione le scene di un film, e il volto luminoso di Dominique Sanda, e il cammino che la avvierà a un suicidio adolescenziale». Così confessa uno dei maggiori maestri della psichiatria italiana, Eugenio Borgna, un lucidissimo e creativo patriarca di 93 anni, facendo scorrere nella sua memoria le immagini di un mirabile film di Robert Bresson, Così bella così dolce, girato nel 1969. Protagonisti erano appunto Lei, una moglie sposata quand’era ancora giovanissima, e Lui, il marito impegnato al banco dei pegni, che ora è davanti al cadavere della donna suicida, nell’atto estremo di liberazione da una prigionia esistenziale.
Sono tante le evocazioni letterarie che intarsiano questo prezioso libretto delle Vele einaudiane dedicato a una virtù tenera e delicata e proprio per questo fragile, la mitezza. Anzi, prima di chiudere l’ultima pagina vergata «nel silenzio di una casa, immersa in un grande luminoso giardino, in una piccola città, ai confini dei due laghi, d’Orta e il Maggiore», Borgna elenca puntigliosamente gli autori che hanno creato quasi il palinsesto del saggio: dai teologi Bonhoeffer e cardinal Martini a uno stuolo di poeti (Leopardi, Dickinson, Rilke, Pozzi, Corazzini), da scrittori celebri come Dostoevskij (che compose un drammatico racconto emblematicamente titolato La mite) e Tolstoj con la sua tragica Anna Karenina, fino a un filosofo come Norberto Bobbio.
È proprio a quest’ultimo che dobbiamo un Elogio della mitezza (1993), virtù la più «impolitica» anche ai nostri giorni quando si ignora ogni compassione e si opta per una fierezza orgogliosa personale e nazionalistica che rasenta l’aggressività e si abbevera persino al fascino oscuro della violenza. Eppure, come osservava Bobbio, «la mitezza non rinuncia alla lotta per debolezza o per paura o per rassegnazione», ma depone incessantemente un seme nelle fessure della storia perché cresca «in progresso, pace, rispetto della dignità di ogni persona». Risuonano allora, dall’alto del monte delle Beatitudini le parole di Cristo: «Beati i miti, perché essi erediteranno la terra» (Matteo 5, 5).
Bonhoeffer, mite vittima della brutalità nazista, ricorderà – e Borgna lo cita – che «coloro che possiedono adesso la terra con la forza e l’ingiustizia, la perderanno, e quelli che ora vi hanno rinunciato totalmente, che sono stati miti fino alla croce, domineranno la nuova terra… A partire dal Golgota, che è un pezzo di terra, dove è morto il più mite dei miti, deve rinnovarsi la terra». L’appello di quell’uomo, Gesù di Nazareth, crocifisso sul colle di Gerusalemme, era stato netto e si basava sul suo autoritratto: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Matteo 11, 29). Suggestivamente Borgna ritrova in questa virtù una qualità squisitamente femminile e lo dimostra ricorrendo al Diario di un’altra martire del nazismo, la giovane (29 anni!) ebrea Etty Hillesum con la stupenda parabola del gelsomino citata nelle pagine 35-36 del saggio.
Su questa scia si aprono capitoletti veramente emozionanti che sbocciano dalla lunga e amata missione di psichiatra femminile e che si esprimono attraverso un altro diario, quello di Valeria, ospite nel manicomio di Novara, i cui stralci citati sono «testimonianze struggenti della fragilità e della ricchezza umana, ancor oggi così contestate dalle parole crudeli e aride con cui si parla della follia». E qui il pensiero va a un altro scrittore psichiatra, Mario Tobino, e alle sue Libere donne di Magliano del 1953, un libro nato non solo da una competenza professionale ma anche da una vocazione d’amore parallela a quella testimoniata da Borgna: «La mia vita è qui, nel manicomio di Lucca. Qui si snodano i miei sentimenti. Qui vedo albe, tramonti, e il tempo scorre nella mia attenzione. Dentro una stanza del manicomio studio gli uomini e li amo».
Si intuisce, perciò, che sotto il manto di questa virtù debole, dolce e femminile si affollano altri sentimenti e valori, come la sapienza, la coscienza della propria debolezza, la nostalgia, il rispetto, la tenerezza, la carità. Scrive ancora Borgna: «La mitezza, nei suoi camaleontici orizzonti, è fragile come una farfalla, ma ha la forza di uscire dall’egoismo e dall’individualismo spalancando le porte alla saggezza. Beati i miti perché la mitezza è una stella del mattino». Non per nulla l’autore in una serie di volumetti antecedenti ha inseguito un corteo – simile a certe processioni campagnole coi loro vessilli e stendardi – composto di figure come la speranza, la solitudine, la gentilezza, la nostalgia, la tenerezza.
In questa fila ordinata e pacata, che ignora il vociare urlato, la violenza e la volgarità imperante, aggiungiamo una figura. Figlio della mitezza è il perdono che ci invita a lasciar cadere di mano la pietra impugnata per colpire il nemico, che forgia la spada in vomero e la lancia in falce, come suggeriva già il profeta Isaia (2,4). O ancor più intensamente Cristo: «Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori» (Matteo 5, 44).
Fonte: Gianfranco RAVASI | FrancescoMacrìBlog.com