Cerco di portare a termine spiegazioni e verifiche entro metà maggio, per poter dedicare l’ultima parte dell’anno scolastico all’esplorazione della vocazione. Esistere (ex- e -stare: essere saldi fuori) significa «uscire con coraggio», e corrisponde alla tappa vitale in cui si trovano i ragazzi. Con la pubertà il corpo si apre secondo una logica precisa: diventiamo capaci di dare la vita (non solo in senso biologico) e infatti il cervello torna alla plasticità che aveva da 0 a 6, per sperimentare tutto (da 6 anni alla pubertà il corpo-cervello rallenta, per addestrarsi, eliminando le pratiche superflue e rafforzando quelle essenziali, a rimanere in vita: è la fase del «bambino competente», che infatti coincide con la scuola elementare e in parte media). Che cosa ha previsto la natura per il corpo-cervello adolescente (fino più meno ai 20 anni)? Un’energia, la chiamo «erotica ed eroica», che ha lo scopo di trovare il coraggio di «uscire» di casa per farne una propria, esistere, per l’appunto. Un’educazione rispettosa della biologia e della biografia umane, strutturatesi così in millenni, non può sterilizzare questo slancio obbligando l’adolescente a restare un «bambino competente» e quindi «sottomesso», e non incoraggiato a «esistere» in proprio: uscire, andarsene di casa, farne una lui, generare nuova vita. Come supportare allora un’energia ridotta spesso a «ribellione» adolescenziale, quando è invece la sana crescita di un essere autonomo che vuole essere sempre più vivo?
Vedo ragazzi che non «escono» (magari sono «fuori» come si dice in gergo, dove però il fuori non è energia che spinge da dentro ma fuga per paura di non averla l’energia), cioè non iniziano a esistere, ripiegati su abitudini e oggetti che li «addomesticano», proprio perché offrono «illusioni» di uscita, cioè di esistenza, quando sono in realtà «dipendenze» (per un’estasi ci vuole l’ecstasy, per vedere ci vuole un visore: la realtà va sempre aumentata, cioè fuggita o schermata). E quindi invece di allenarsi a esistere, uscire, andare incontro al mondo, sedotti dal suo quotidiano miracolo, per paura, si ripiegano, accartocciano, deprimono. Le due chiavi per un’educazione a «esistere», eroticamente ed eroicamente, e quindi a «resistere», sono il respiro e il desiderio. Il respiro è il primo gesto autonomo che abbiamo fatto, «usciti» dal grembo (nove mesi per prepararci!) abbiamo dovuto cominciare a respirare da soli e non attraverso la placenta. Abbiamo aperto i polmoni con uno strappo doloroso ma necessario, per questo abbiamo pianto, scoprendo subito che «là fuori» non basta «lasciarsi fare», bisogna anche «fare», ma questo, a poco a poco, ci è piaciuto e ci ha portato a esplorare: toccare, gattonare, parlare, camminare… Diventare adulti è continuare a coltivare questo respiro autonomo senza regredire al respiro indotto sempre e solo da altri, per paura del fatto che respirare da soli comporta fatica. L’ispirazione è infatti un respiro interno (in-spirare) che possiamo coltivare e allenare nel rapporto unico e irripetibile con il mondo, per quanto possa essere impegnativo e a volte ferirci. Da 0 a 18 anni l’educazione serve a trovare questa ispirazione, cioè il «respiro» che abbiamo (non diciamo forse: che persona «di respiro»?), per poi «espirare» sul mondo un soffio nuovo, il nostro. Che cosa mi ispira? Che cosa cioè mi fa respirare più e meglio con i miei polmoni? Che cosa fa un ragazzo che nessun altro ha avuto in mente di fare? Se ci «manca l’aria» è perché siamo rimasti infantili, controllati, diretti da altri. Il secondo elemento dell’esistere è il desiderio, tensione erotica verso l’alto (il senso delle cose) e verso l’altro (persone) che si struttura a partire proprio dalla nostra identità sessuata. Sesso viene probabilmente dal latino secare: tagliare, il sesso, prima ancora che sessualità, è un taglio, come in una tela di Fontana o in un pezzo di puzzle, che ci chiama a uscire, esistere, esplorare, incontrare, un dato che l’evoluzione ci ha consegnato in millenni di paziente lavoro. La nostra apertura erotica verso il mondo è infatti una chiamata a creare: dove l’eros è in agonia sparisce la capacità di esistere (uscire), di incontrare cose e persone, di dare vita al nuovo nello stile che ci è proprio. Come coltivare quindi respiro e desiderio, principi di animazione e individuazione? Negli anni ho provato a costruire un percorso di esercizi e letture per aiutare i ragazzi a trovare e allenare respiro e desiderio, mettendo in comune la scoperta, che in certi casi è affidata proprio allo sguardo degli altri e non a una ricerca isolata: è nella relazione che scopro che cosa porto nel mondo, e perché quindi mi conviene «uscire», «venire al mondo». Per me è parte integrante del programma: a che serve raccontare la vocazione di uomini e donne del passato, se poi non aiuta quelli del presente a trovare la loro? A poco a poco rinforzano ispirazione e desiderio, trovando un po’ di coraggio per le scelte di futuro, lasciare casa per farne una nuova: esistere. Anche questo dovremmo valutare a fine anno, non limitandoci alle medie matematiche: hai imparato a respirare meglio (ispirazione) e a dare vita (desiderio) nel tuo modo originale? Vorrei una pagella fatta non solo da una colonna di numeri, ma da una consegna di speranza, anche per chi ha insufficienze e quindi non riceve i voti (chi ha «debiti» ha il «giudizio sospeso»: basta soffermarsi su questo lessico per capire che affidiamo il giudizio solo alla performance quantitativa). L’altro giorno ho sentito il rimprovero di una mamma a un bambino di più o meno sei anni: «Il tuo comportamento non è premiante!». Riduciamo l’educare a una partita doppia di debito-credito, a premi/pene adatti per addestrare gli animali. Così l’energia di un bambino e adolescente, fatta per esistere e resistere, viene spenta da controllo e standardizzazione, invece di essere allenata per diventare maturi, autonomi, creativi, relazionali. Un ragazzo deve «uscire» da scuola non solo sapendo quanto vale da 1 a 10 la sua preparazione in italiano, matematica e inglese, ma anche come respira (che cosa lo ispira e come ispira altri) e come desidera (in che modo riceve e dà vita al mondo). In pagella vorrei un giudizio su «quanto sei fuori», che poi significa «quanto sei dentro». Ma esiste ancora «un dentro» (respiro e desiderio) nelle nostre parole di educatori?»
Fonte: Alessandro D’AVENIA | Corriere.it