Domani e Il Fatto attaccano il sottosegretario per il suo intervento all’incontro di Tempi a Caorle. Dimostrando, per paradosso, che aveva ragione lui
Nessuno si aspetta che Salvatore Bragantini, ex commissario Consob, sia d’accordo con Alfredo Mantovano. Né ci si aspetta che un giornale come Domani, di proprietà dell’ingegnere Carlo De Benedetti, sostenga la linea di Tempi. Ma almeno provare a rispettare il merito delle questioni, senza divagare eccessivamente, questo sì (insomma, anche Bragantini dovrebbe provare a “chiamare le cose con il loro nome”).
Ieri, in un commento intitolato “La destra nostalgica di Meloni piccona i pilastri dell’Europa”, Bragantini ha ripreso alcune parole pronunciate dal sottosegretario Mantovano all’incontro di Tempi a Caorle, evidentemente accontentandosi di qualche lancio d’agenzia. Citando uno stralcio del discorso, Bragantini ha divagato su una destra che vorrebbe «picconare i pilastri della Repubblica nata dalla Resistenza», «pensionare Mattarella» e impossessarsi di «tutto; in casa la repubblica presidenziale e rompere la solidarietà tra nord e sud, fuori disfare quanto l’Europa ha costruito con sapienza istituzionale, per esportare la restaurazione e sgretolare la Ue assieme ai regimi autoritari dell’Est».
Reazionari e nostalgici
“Ma anche meno”, verrebbe da dire con un po’ d’ironia. Eppure Bragantini è convinto d’aver finalmente scoperto il vero piano di Meloni e Mantovano: «Apriamo gli occhi, la destra nostalgica pretende di associarci a chi vuole disfare la Ue; nulla possiamo sperare da un governo che ne rinnega le basi e spera, in silenzio e contro l’interesse italiano, nel ritorno di Trump alla Casa Bianca».
Antonio Padellaro sul Fatto (“Quel pensiero reazionario di Mantovano”) ha visto nel sottosegretario il «teorico del pensiero tradizionalista e reazionario. Al confronto del quale il dio, patria e famiglia di stampo mussoliniano appare come una pericolosa e sbarazzina fuga nella modernità».
Che il ragionamento di Mantovano fosse su altro, lo può facilmente verificare qualsiasi lettore dotato di un po’ d’intelligenza e pazienza, riascoltando per intero il suo intervento – c’è il video qui sotto – in cui non si parla né di Resistenza, né di Trump, né di «restaurare e sgretolare la Ue», né di «rompere la solidarietà tra nord e sud».
Anzi, vedendo il tono delle critiche che Bragantini e Padellaro gli muovono, Mantovano ha centrato esattamente il punto quando ha spiegato che sono spesso coloro che si richiamano al Manifesto di Ventotene ad accusare di «derive autoritarie» coloro che sono stati democraticamente eletti.
Italiani popolo “sbagliato”
La questione, infatti, non riguarda satellitari e giornalistiche baruffe sul fascismo, la resistenza, Trump e nemmeno il governo Meloni che, come ha detto lo stesso Mantovano, «oggi c’è e domani non ci sarà», ma l’identità italiana. Per questo il rapido excursus storico di Mantovano, che è partito dalla riforma luterana per parlare poi dei Lumi e delle politiche anticlericali di metà Ottocento, è servito per spiegare che non è storia di oggi, ma secolare, quella che vuole bollare come “sbagliato” un popolo che, grazie anche alla sua radice cattolica, poco sopporta di genuflettersi a un potere che sente come disumano e coercitivo.
E per dare un volto a questo potere e un riferimento «ideale e sintetico» di questo partito anti italiano, Mantovano ha parlato del partito d’Azione e di quello che viene spesso identificato come il manifesto fondativo dell’Europa, il Manifesto di Ventotene, «tanto citato quanto non letto, tanto esaltato quanto poco meditato».
La democrazia è un peso morto
Lo sapete, ci piace “chiamare le cose con il loro nome”. Piace anche a Mantovano che a Caorle ha voluto così leggere tre passaggi del suddetto Manifesto.
Eccoli:
«Il popolo ha sì alcuni bisogni fondamentali da soddisfare, ma non sa con precisione cosa volere e cosa fare. Mille campane suonano alle sue orecchie, con i suoi milioni di teste non riesce a raccapezzarsi, e si disgrega in una quantità di tendenze in lotta fra loro».
«Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarriti non avendo dietro uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultare di passioni. (…) La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria».
«Il partito rivoluzionario (…) attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto non da una preventiva consacrazione da parte della ancora inesistente volontà popolare, ma nella sua coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna».
Giudici ed esperti
L’analisi di Mantovano è molto meno banale e superficiale di quel che le critiche di Bragantini e Padellaro vogliono fare apparire. Citando il Manifesto e poi il Diritto mite, un libro del 1992 di Gustavo Zagrebelsky, già presidente della Consulta, il sottosegretario ha mostrato come esista una linea di pensiero secondo cui i conflitti sociali «non è bene che si risolvano in parlamento», ma devono essere sciolti attraverso asettiche procedure.
In altre parole: poiché il popolo è “sbagliato”, non capisce, è stupido e “sbaglia a votare” (ricordate Calenda?, guarda caso, capo di un partito che si chiama “Azione”), allora bisogna fare in modo di limitare al massimo il «peso morto» della democrazia e fare in modo che i conflitti in seno alla società siano dissipati da esperti, che sanno cos’è il bene, o da giudici, che sanno cos’è il giusto.
Mantovano è stato così antieuropeista e reazionario che, tra tutti i commentatori che poteva citare per avallare le sue tesi, ha scelto l’unico non antieuropeista e progressista, Luca Ricolfi, che, a proposito di tutto ciò, ha scritto: «Se una critica va rivolta alle élite europee non è di aver tradito il Manifesto di Ventotene, ma di averne recepito l’idea basilare e cioè che il sogno degli Stati Uniti dell’Europa si potesse imporre dall’alto».
Fonte: Emanuele BOFFI | Tempi.it