Siamo alla vigilia di un crollo in Russia? Secondo Lucio Caracciolo quello di sabato – la rivolta della Wagner – è un colpo di stato momentaneamente messo in pausa.
Forse per arrivare a una redistribuzione del potere in modo concordato anziché traumatico e cruento. Perché con i colpi di stato, le rivoluzioni e le rivolte non si sa mai cosa può accadere. Non saltano solo le poltrone, ma anche le teste.
C’è pure chi crede che da questa vicenda Putin esca rafforzato. Pare improbabile. Ma, anche se fosse, il suo potere (che dura da 24 anni) resta effimero per l’età (ha 71 anni) e per le circostanze oggi molto sfavorevoli a lui. Del resto è fragile ogni potere umano e il terrore di perderlo ne mostra l’insicurezza.
Shakespeare ha già detto tutto… La natura illusoria del potere è quello che spesso i protagonisti tendono a dimenticare (lo vediamo in presidenti americani che – nonostante l’età avanzata – non concepiscono l’idea di passare la mano).
Ma tendono a dimenticarlo anche gli analisti e i media, come se il presente fosse eterno e immune da rovesci improvvisi. Eppure anche solo nella nostra generazione ne abbiamo viste tante.
Governi e presidenze che passano, re e regine che muoiono. A volte potenti che sembrano saldi fanno la tremenda fine di Gheddafi in Libia. Perfino tiranni idolatrati e terribili (come Stalin o Hitler) sono finiti.
Abbiamo visto, nei nostri anni, imperi che sembrava fosse impossibile demolire – come l’Urss e il sistema comunista dell’Est – che sono implosi d’improvviso. È l’esperienza che Vladimir Putin ha vissuto personalmente e che ha sempre evocato come il suo grande trauma.
Nel suo drammatico discorso di sabato scorso, a dire il vero, ha evocato il 1917, quella sì una tragedia orribile per la Russia. Ma è probabile che avesse in mente soprattutto il crollo dell’Urss.
Nel 1917 fu cancellato il sistema zarista che sembrava anch’esso granitico da secoli. Da allora – sono passati circa cent’anni, la generazione nostra e dei nostri genitori – quanti crolli di potere abbiamo potuto vedere?
La Germania hitleriana che voleva diventare padrona del mondo è stata spazzata via in poco tempo. In Cina nel XX secolo è crollato l’antico impero e nel 1949 è stato imposto il regime comunista. Che comunque crollerà, anch’esso, come gli altri.
Ci sono stati regni millenari nella storia di cui oggi non resta che qualche pietra e di quei potenti, ritenuti a volte divinità, solo polvere. Giacomo Leopardi, nella “Sera del dì di festa”, lo ricorda così:
“E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
e quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
il dì festivo, ed al festivo il giorno
volgar succede, e se ne porta il tempo
ogni umano accidente. Or dov’è il suono
di que’ popoli antichi? or dov’è il grido
de’ nostri avi famosi, e il grande impero
di quella Roma, e l’armi, e il fragorio
che n’andò per la terra e l’oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona”.
Certo, il potere inebria e può dare un’illusione di forza, perfino di onnipotenza. Ma è un delirio a cui non dar credito.
Il grande Pascal aveva racchiuso in un suo pensiero folgorante l’insegnamento della realtà e della storia: “Cromwell stava per devastare tutta la cristianità; la famiglia reale sarebbe stata perduta, mentre la famiglia di lui sarebbe stata per sempre potente, se un granello di sabbia non si fosse messo nel suo uretere. Roma stessa stava per tremare di fronte a lui; ma appena quella pietruzza s’è andata a conficcare là, egli è morto, la sua famiglia è decaduta, tutto è tornato in pace, e il re è stato rimesso sul trono”.
Forse per ogni uomo di potere bisognerebbe ripetere il rito che un tempo si faceva in Vaticano all’insediamento di un nuovo Papa.
Dopo l’incoronazione, il cardinale protodiacono davanti al Pontefice appena eletto bruciava della stoppa (che, com’è noto, si consuma in un attimo) e pronunciava la frase latina “sic transit gloria mundi”, parole tratte dall’Imitazione di Cristo (“O quam cito transit gloria mundi”; o quanto passa rapidamente la gloria di questo mondo).
Tutti dimenticano quanto è effimera. Ma – fra le tante cose grandi che Joseph Ratzinger ha insegnato – non va dimenticato il gesto della sua rinuncia, una luminosa testimonianza di non attaccamento al potere(del resto mai lo cercò).
Benedetto XVI, il più grande saggio del nostro tempo, ha scritto: “Ma che cosa rimane? Il denaro no. Anche gli edifici non rimangono; i libri nemmeno. Dopo un certo tempo, più o meno lungo, tutte queste cose scompaiono. L’unica cosa, che rimane in eterno, è l’anima umana, l’uomo creato da Dio per l’eternità. Il frutto che rimane è perciò quanto abbiamo seminato nelle anime umane – l’amore, la conoscenza; il gesto capace di toccare il cuore; la parola che apre l’anima alla gioia del Signore”.
Ad un Angelus disse: “Alla fine, quando ci incontreremo faccia a faccia con Dio, tutti gli altri doni verranno meno; l’unico che rimarrà in eterno sarà la carità, perché Dio è amore”.
Fonte: Antonio SOCCI | antoniosocci.com