Non è la prima volta che mi trovo a scrivere su questi argomenti, che mi stanno terribilmente a cuore e sui quali mi sembra che sia necessario, da donna, da laica e da teologa, dire alcune parole.
Sto notando, infatti, in diversi sacerdoti con cui parlo (e dei quali ho peraltro grande stima, come uomini e come preti) un pesante calo di motivazione riguardo alla celebrazione delle S. Messe feriali. Le giustificazioni che vengono addotte sono, per esempio che “la” Messa per antonomasia è quella domenicale, che quelle feriali sarebbero delle “devozioni”, che nei giorni feriali non si può radunare tutta la comunità eccetera.
Mi permetto di provare a rispondere a queste osservazioni, conscia di non avere la verità in tasca e senza voler insegnare nulla a nessuno; ma, nello stesso tempo, provando un profondissimo struggimento nel cuore davanti a questa situazione e sperando di poter aiutare i nostri carissimi sacerdoti a ritrovare il gusto e il desiderio di celebrare quotidianamente.
È chiaro che la S. Messa è un evento “pasquale”, è, anzi, la S. Pasqua: è la presenza attuale, viva e vivificante della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù, il Logos incarnato, l’Eterno Sacerdote che offre se stesso al Padre nel canto d’amore dello Spirito nella Trinità. E, per questo, l’Eucaristia è prima di tutto la celebrazione della Pasqua annuale, e poi della Pasqua settimanale, che è la domenica, ottavo giorno, e giorno della Risurrezione. Su questo credo che nessun cristiano ben formato possa avere dei dubbi, e che nessuna Messa feriale possa sostituire quella festiva.
Quello che però non mi sembra che ne consegua è che la celebrazione feriale svuoti della sua specificità e unicità quella festiva. Faccio un esempio: l’anniversario di matrimonio è il momento in cui una coppia di sposi rinnova il giorno delle proprie nozze, festeggia “un po’ come quel giorno”, e celebra la bellezza del proprio amore. Ora, quale coppia festeggerà meglio il proprio anniversario: quella che non perde occasione per manifestarsi il proprio amore con piccoli gesti quotidiani di festa e di affetto, oppure quella che non si parla mai? Quale sportivo correrà meglio la maratona della domenica, quello che ha corso tutta la settimana oppure quello che corre una volta alla settimana?
Non si tratta, beninteso, di stabilire che ci siano cristiani “di serie A” (quelli della Messa feriale) e “di serie B” (quelli della Messa festiva). Ci possono essere mille situazioni nella vita per cui una persona vicinissima a Dio può essere impedita a partecipare all’Eucaristia feriale (e talora anche a quella festiva!), e c’è chi magari va più per abitudine che altro. La Grazia del Signore non è limitata dai sacramenti o dalle celebrazioni, ma attraverso essi si manifesta e si dona. Ci sono stati cristiani santi (per esempio in Giappone) che non hanno mai partecipato alla S. Messa in vita loro, e cristiani tiepidi nelle loro consuetudini poco vissute. Ma questi casi limite non devono offuscare il fatto che la S. Messa sia il luogo privilegiato della manifestazione dell’amore di Dio per noi.
Nella Messa c’è tutto. C’è la liturgia eterna d’amore della Santissima Trinità: Il Figlio, eterno Sì, che accoglie la vita del Padre e a Lui si offre nell’unione dolcissima dello Spirito Santo. C’è l’Incarnazione, perché il Logos che ha preso carne per salvarci si rende presente, visibile nel Pane consacrato. C’è la rivelazione, perché la Parola incarnata si dona a noi nelle letture bibliche e nella meditazione che esse ci offrono. C’è la risposta dell’uomo, nella preghiera e nell’offerta di sé, unita al sacrificio unico e perfetto di Cristo. C’è il memoriale della redenzione, con l’Agnello immolato che si offre al Padre per noi, e si offre a noi perché assaporiamo – letteralmente – l’amore e il perdono del Padre. C’è l’unione nuziale dell’anima e della comunità che celebra con il suo Signore: la Comunione (dono immenso, ma che trova la pienezza di senso nel contesto della S. Messa) è il momento in cui si attua la nostra incorporazione a Cristo, il nostro ricevere la divinità che il Padre ci dona e di cui ci riveste, il nostro offrire tutto di noi al Padre come risposta d’amore. C’è tutta la Chiesa: il fatto che possano essere presenti solo “quattro vecchiette” (e attenzione a disprezzare le “quattro vecchiette”… cosa ne pensa il Signore è evidente nell’episodio della profetessa Anna e della vedova dei due spiccioli) è solo l’apparenza visibile.
La realtà è che quando diciamo “Per Cristo, con Cristo e in Cristo”, diciamo anche “per la Chiesa, con la Chiesa e nella Chiesa”. Il Cristo è Capo e Sposo della Chiesa: nel suo offrirsi al Padre per le mani del sacerdote c’è anche la pienezza dell’umanità a Lui unita indissolubilmente nell’Incarnazione. La pienezza del corpus christianum, di tutti i battezzati; ma anche la pienezza dell’umanità che Egli ha assunto su di sé, con tutti gli uomini e le donne di tutti i tempi. Ogni volta che viene celebrata la Santa Messa è tutto l’umano che viene portato nel cuore di Dio, e tutto di Dio che si dona all’uomo.
Perché, mi si dice, tutti i giorni? Non è uno svilire il mistero? Io credo che il mistero si svilisca se lo lasciamo svilire – dipende da noi. Dio non si stanca della ripetizione: lo dice Chesterton, che paragona stupendamente Dio a un bambino che ogni giorno batte le mani di gioia vedendo il sole sorgere: “fallo ancora”, gli dice, come i bambini che si incantano davanti a una cosa ripetuta. Sempre Chesterton diceva che se non siamo capaci di incantarci davanti a ogni filo d’erba la colpa non è dell’erba, ma nostra. Se non siamo capaci di incantarci, di fremere, di meravigliarci e di tremare di gioia e di emozione davanti al Signore che si offre a noi, è perché noi siamo stanchi o svogliati, non perché il Mistero si appiattisca nella ripetizione.
E basta vedere il messaggio dei santi per capire che è così. La finalità di un ministero sacerdotale, secondo me, non è “sopravvivere alle attività parrocchiali”, bensì coadiuvare al massimo possibile la santificazione del popolo che al pastore è affidato. E la santificazione passa anche, e in modo privilegiato, dalla Grazia dei sacramenti, soprattutto di quelli che solo il sacerdote può celebrare. Qui mi permetto una piccola nota polemica, da donna: è vero che siamo soprattutto noi donne a partecipare alla S. Messa feriale, ma se davvero crediamo che l’apporto femminile alla Chiesa non sia disprezzabile, io, da donna, supplico i sacerdoti che hanno la grazia di poterlo essere anche in virtù del loro essere uomini, di non “affamarci” togliendoci la Grazia dell’Eucaristia feriale. Noi non possiamo celebrare la Messa, abbiamo bisogno di voi: siamo felici che siano gli uomini a essere sacerdoti perché così ha voluto il Nostro Signore e ha fatto bene, ma vi preghiamo di non imporci un’astinenza che molte di noi non desiderano.
Se vediamo i santi e beati proclamati di recente, e le figure che brillano per luminosità in Cristo, sono tutte persone appassionate dell’Eucaristia feriale. Carlo Acutis è il primo fra questi: un quindicenne che amava l’Eucaristia chiamandola la sua “autostrada per il Paradiso”, e infatti è arrivato in Cielo sorpassando tantissimi fra noi ben meno “brucianti” di lui. Chiara Corbella era innamorata dell’Eucaristia; Chiara Luce Badano desiderava l’Eucaristia quotidiana e la ricercava. Padre Jacques Hamel, uno dei recenti martiri europei, è stato assassinato mentre celebrava la Santa Messa feriale, con le solite “quattro vecchiette”. Cosa ci dicono questi santi? Che, certo, non è obbligatorio andare a Messa tutti i giorni per essere santi; ma che, caspita, aiuta, certo che aiuta!
E proprio pensando a padre Hamel vorrei aggiungere ancora due ultime considerazioni.
La prima è questa: abbiamo pochi sacerdoti, non ce la fanno a “dire tante Messe”. Per carità, nemmeno io vorrei dei sacerdoti “distributori di sacramenti” o che celebrino a cottimo. Ci mancherebbe. Ma io credo che potrebbero esserci più vocazioni al sacerdozio se i preti fossero convinti e innamorati di ciò che solo i preti possono fare. Se un ragazzo vede un prete che celebra con tutto il cuore, incurante che ci siano due o duemila persone alla Messa, ma convinto e sicuro che ci sia Colui a cui ha donato la propria vita perché Egli ha donato la sua vita per primo, ecco quel ragazzo può forse innamorarsi del sacerdozio. Se il prete non crede nell’unicità e specificità del mistero eucaristico, e si limita a celebrarlo la domenica o poche altre volte, di cosa si innamoreranno i potenziali futuri sacerdoti?
La seconda cosa che penso ricordando il martirio di padre Hamel è questa. La Messa è quanto di più alieno allo “spirito del mondo”. La meditazione la fanno anche i buddisti; la lettura del testo sacro è tipica di tutte le “religioni del libro”. (Ovviamente non intendo né denigrare lectio e meditazione, né il Buddismo, l’Islam o l’Ebraismo: quello che sto cercando di dire è che si tratta di attività non specificamente cristiane, e che “il mondo” può capire relativamente bene, tant’è vero che si può fare meditazione senza credere in nulla [mindfulness] e nutrirsi di buone letture anche da atei o agnostici).
La S. Messa è il celebrare il mistero di un Dio che si fa carne, che muore e risorge per noi, e che si dona da mangiare sotto l’aspetto di un disco bianco di pane. Se la mettiamo così, davvero noi cattolici siamo “pazzi”. Come facciamo a credere queste cose? Ma è qui che si gioca la nostra fede, e di conseguenza, la nostra testimonianza. Il mondo di oggi spesso non crede che esista un Dio, e se c’è sicuramente non è personale, e se anche è personale sicuramente non gli passa nemmeno per la testa di incarnarsi. Men che meno di morire in croce: la croce rimane “scandalo e stoltezza”, e lo diviene ogni giorno di più, nella misura in cui la sofferenza è sistematicamente esclusa e tacitata nella nostra società (che pure soffre tantissimo). La risurrezione è poi accolta in modo ancor più scettico di quanto accadde a Paolo all’Areopago, tant’è vero che purtroppo anche molti cristiani non credono più nella risurrezione della carne. E la presenza reale? Chi può crederci?
Allora, io penso che sia anche una profonda testimonianza di fede quella di cercare di ritagliare tempo per la Santa Messa feriale, fra tutti i mille impegni che tutti abbiamo, e magari facendo un po’ fatica nella fedeltà. Ma dire, dire con la vita più che con le parole, che noi crediamo che nella Santa Messa, ogni giorno, il Signore si faccia presente in mezzo a noi, per noi e con noi, donandosi a noi nella pienezza del suo Corpo, Sangue, Anima e Divinità, e che val la pena di vivere e di morire per questo mistero… ecco, io credo che il mondo abbia molto bisogno di questa “stoltezza”, di questa “follia”. E Chi ce ne dà la forza è proprio Colui nel nome del quale celebriamo questo mistero.
Fonte: Chiara Bertoglio | CostanzaMirianoblog.com