Enzo Novara da pochissimi giorni è in pensione, dopo una lunga carriera di insegnamento della filosofia. Per salutarlo tutti gli studenti del liceo D’Azeglio di Torino si sono messi in corridoio a battergli le mani, un ringraziamento per il suo entusiasmo e per la sua capacità di guardare e capire i ragazzi. L’ho incontrato per farmi raccontare che cosa vede in loro, la nostra conversazione è diventata un podcast-
La mia lunga conversazione con il prof. Enzo Novara è nell’ultimo episodio del mio podcast Altre/Storie di Chora Media
La scena è questa: si vede l’infinito corridoio di una scuola superiore, studentesse e studenti disposti lungo tutti e due i lati battono le mani e scandiscono un nome, quello del professore all’ultimo giorno di insegnamento prima della pensione. Lui passa in mezzo alle due ali di folla, ha una camicia bianca e uno zainetto sulle spalle, è commosso, batte le mani anche lui per ringraziarli e sembra accelerare il passo verso il portone da cui uscirà da una carriera durata quarant’anni. Ha insegnato la filosofia a migliaia di studenti, questi che lo salutano con un applauso infinito, che si porterà nella testa per sempre, sono solo gli ultimi. Ho guardato questa scena una decina di volte, in un breve video sul telefono, emozionandomi sempre. Per questo ho deciso di cercare quel professore.
Quel professore si chiama Enzo Novara e la scuola è il liceo classico Massimo D’Azeglio di Torino. Il saluto che gli hanno regalato è speciale, molto speciale e non se lo aspettava: «Uno si aspetta qualche piccolo gesto, qualche cosa che dia il senso di un commiato. Un mazzo di fiori può essere molto significativo. I fiori sono bellissimi. Li ho ricevuti una sola volta nell’arco di tanti anni di insegnamento. Non si usa regalare fiori a un insegnante maschio, però una classe aveva osato. Era stata una cosa molto bella. Ho tenuto uno di quei fiori, lasciandolo seccare, per molto tempo. Ma questa volta non sapevo cosa aspettarmi. Ero in uno stato di sospensione assoluto, uno stato di attesa. E poi è successo quello che è successo: è stata una cosa assolutamente travolgente».
Gli studenti lo hanno tenuto in classe anche dopo il suono della campanella, tutto il resto della scuola si stava disponendo nei corridoi verso l’uscita. Poi un ragazzo gli ha chiesto: “È pronto professore?”. E lui ha pensato: «Ma pronto a che cosa? Per un anno intero mi sono chiesto se fossi pronto ad andare in pensione. E la risposta è che ci si deve preparare bene».
Ma come ci si prepara all’ultimo giorno di lavoro, alla fine di un percorso?
«Per tutto l’anno ho vissuto cercando di godermi le cose, pensando che ogni cosa era fatta per l’ultima volta, ho provato a vivere il presente in modo assoluto, come se dovesse durare per sempre. Ma non mi ero preparato al saluto dei ragazzi, questa è stata un’altra cosa».
E quando è uscito nel corridoio?
«Sono rimasto assolutamente estraniato e mi chiedevo: ma cosa diavolo sta succedendo? E poi ho cominciato a camminare, non potevo stare fermo. È stata una sensazione estremamente emozionante, fortissima, irripetibile».
Anche il professor Novara ha sul suo telefono i video che hanno fatto i ragazzi di quel momento, ma fa fatica a guardarli, perché dopo pochi secondi si commuove. Prima di incontrarlo mi sono chiesto perché gli abbiano fatto questo regalo, questo tributo, e la risposta me l’ha data indirettamente lui, quando mi ha detto che per quarant’anni si è svegliato “contento” di andare a scuola. «Non lo raccontavo neanche tanto in giro perché o non mi credevano oppure scattava l’invidia. Ma la verità è che si può essere molto felici di essere un insegnante. E io per quarant’anni sono stato assolutamente felice». Questo avevano sentito quelle ragazze e quei ragazzi, io sono convinto che a questo battessero le mani.
Era la seconda volta che Enzo Novara usciva dal quel portone, perché al D’Azeglio era stato anche studente, poi era andato a studiare Filosofia a Milano, a metà degli anni Settanta e lì aveva trovato dei maestri come Enzo Paci, uno dei grandi filosofi della fenomenologia in Italia, Ludovico Geymonat, filosofo della scienza, Mario Dal Pra, un grande storico della filosofia.
«Erano anni molto turbolenti, anni di grandissimi conflitti, però dentro quella conflittualità c’era anche molta vita. Le cose vanno sempre insieme: gli opposti, come dice il buon vecchio Eraclito, si tengono. Non c’è una cosa senza l’altra. Lo si vede anche a scuola, mi piacciono le classi vivaci, mi sono sempre piaciute».
Ho pensato che con questo racconto volevo fare un podcast, per raccogliere le memorie di un professore di liceo, il suo punto di vista dopo quarant’anni di insegnamento, su come sono cambiate le generazioni prima di tutto: «I ragazzi sono cambiati perché è cambiato il mondo, sono cambiati i contesti e soprattutto sono cambiati gli adulti. Però sono convinto che alcune cose di fondo siano sempre le stesse: i ragazzi hanno innanzitutto una grande passione per le idee e bisogna aiutarli a portarla alla luce, svegliare le loro coscienze».
Nella lunga chiacchierata che abbiamo fatto e che potete ascoltare nel podcast, il professor Novara mi ha parlato del ritorno della politica: «Quando sono entrato nella scuola come insegnante, negli anni Ottanta, c’era il “Grande Riflusso”: i ragazzi erano poco interessati alla politica, erano terminate le grandi narrazioni e si entrava dentro quella cosa che si è poi chiamata “il postmoderno”, in cui tutto sembrava uguale, ogni narrazione equivalente a qualsiasi altra. Oggi invece è tornata la politica». Una politica certo diversa da quella degli anni Settanta: «E dico per fortuna, perché i giovani oggi sono molto più abituati a confrontarsi e non è il caso di avere delle grandi nostalgie. Però, proprio l’idea di cambiare il mondo è un tratto tipico che è tornato oggi». I temi che gli stanno a cuore sono quelli che sappiamo: l’ambiente, il lavoro, la pace.
«Sono rinate le speranze. E questo è molto bello. Ma sono cresciute anche le ansie e questo è dovuto a uno scollamento tra le speranze e le attese, alle tante incertezze di un mondo che è difficile da inquadrare, di un futuro che appare fluido e incerto».
Dal suo osservatorio quarantennale, Enzo Novara ha visto cambiare tantissimo gli adulti: i genitori sono diventati i sindacalisti dei figli, pronti a mettere in discussione gli insegnanti ad ogni passaggio difficile. Un atteggiamento neanche immaginabile in passato: «L’insegnante non è che debba essere oggetto di fede. Ma di fiducia forse sì!».
Ma ai genitori (e ai suoi colleghi) il professore raccomanda soprattutto una cosa: insegnare ai ragazzi a sbagliare. «L’errore è fondamentale, eppure viene sempre meno accettato. Invece è formativo, anche nella vita non è che impari quando le cose vanno tutte bene, ma quando sbagli o fallisci. Sembra quasi che i ragazzi non possano sbagliare, non possano andare in crisi o avere delle difficoltà. Quelli sono momenti fondamentali perché è lì che ognuno di noi conosce i propri limiti e le proprie capacità. Lasciamogli la libertà di sbagliare!».
Fonte: MarioCALABRESI.com