Le api e l’apicoltura hanno radici lontane, che si perdono nei secoli. L’inizio di questa professione si ha con gli Antichi Egizi che, già nel 2600 a.C., hanno dato vita alla prima forma nomade e fluviale di apicoltura che, ancora oggi, è diffusa in alcune zone di Sardegna, Sicilia e Grecia.
L’apicoltura oggi
In Italia, ad oggi, operano circa 65 mila apicoltori e sono presenti quasi due milioni di alveari, per un valore stimato che si aggira intorno ai 500 milioni di euro. Gli operatori di questo settore, a causa dei cambiamenti climatici, hanno visto mutare progressivamente la condizione dell’ambiente e delle api. Interris.it, su questo tema, focalizzato in particolare sull’apicoltura nelle aree montane, ha intervistato la dott.ssa Silvia De Palo, laureata in Biodiversità ed Evoluzione Biologica, tecnico apistico dal 2012 e, dal 2016, presidente dell’Associazione produttori apistici della provincia di Sondrio.
L’intervista
Presidente, che valore ha per lei l’apicoltura nelle aree montane?
“L’apicoltura in montagna, come in tutte le altre zone in cui è radicata, è alla base di tutto ciò che è legato all’agricoltura e alla tutela della biodiversità e degli ecosistemi dei territori. Le api, insieme a tutti gli altri impollinatori, ci danno moltissimo, sia per il miele, il quale è un prodotto molto apprezzato dall’uomo che per tutto ciò che è legato all’impollinazione. Quest’ultima è molto importante per l’aiuto che ci fornisce nel darci diversi prodotti agricoli e per il mantenimento della biodiversità dell’ambiente montano.”
Che ripercussioni stanno avendo il maltempo e i cambiamenti climatici in generale nell’ambito della produzione del miele?
“Purtroppo, tutta la produzione del miele ‘Millefiori’ primaverile e dell’’Acacia’, nelle nostre zone di montagna, è stata totalmente azzerata. Non c’è stata produzione ma anzi, le api erano talmente in carenza che, non solo non hanno dato prodotto per l’apicoltore, ma hanno rischiato la fame, non riuscendo a produrre il necessario per la loro stessa sopravvivenza. Questo è molto grave perché, in genere, la primavera, rappresenta il loro periodo di maggior sviluppo nonché, teoricamente, di benessere siccome hanno molti fiori a disposizione e, di conseguenza, avere difficoltà alimentari è un fenomeno molto strano per il periodo. Ciò è legato alle situazioni climatiche molto instabili degli ultimi anni. Le api sono molto legate al sistema vegetale e quest’ultimo al clima, pertanto, se l’andamento è negativo, gli effetti si ripercuotono sugli insetti impollinatori. Tutti questi elementi hanno fatto si che, dal punto di vista produttivo, sia andata male, soprattutto per i professionisti. L’apicoltura di montagna, per la maggior parte, è hobbista o semi professionista, ossia viene praticata da persone che hanno anche un secondo lavoro. Ovviamente invece, per chi ha come fonte di reddito principale l’apicoltura, è stata messa in crisi la situazione lavorativa ed economica delle famiglie. Questo lavoro viene svolto con passione da chi lo sceglie e, i mutamenti climatici degli ultimi anni, hanno fatto sì che, molte aziende, siano in difficoltà. Se la situazione dovesse proseguire così nei prossimi anni, qualcuno sta pensando di smettere e qualcuno l’ha già fatto. Il danno provocato è sia economico per gli operatori del settore che ambientale ed ecologico per il ruolo fondamentale che hanno questi insetti impollinatori nel nostro sistema naturale.”
Quali sono i vostri auspici per il futuro in merito alla tutela e alla valorizzazione dell’apicoltura di montagna e degli ecosistemi di queste aree?
“Spero che l’apicoltura non venga più vista, come spesso accade, come il fanalino di coda del settore agricolo. Se ne parla ma non si è ancora compresa l’importanza del fatto che, in realtà, l’apicoltura è alla base di tutta l’agricoltura. Il valore di ciò che fanno le api e gli insetti impollinatori è immenso e, se venisse a mancare, avrebbe un grandissimo impatto sul nostro sistema economico e ambientale. Se tutto ciò non ci fosse, tutta la filiera agricola e anche gli allevamenti, subirebbero delle ripercussioni negative elevatissime, con una diminuzione del quantitativo di frutta e verdura e anche del cibo per gli animali di allevamento. L’apicoltura viene spesso messa in disparte, o comunque valorizzata meno, perché l’indotto che dà la produzione e la vendita del miele non è ovviamente paragonabile a quella del settore caseario. Bisogna però considerare il ruolo fondamentale e l’effetto dell’ape come insetto impollinatore che ha un valore inestimabile. L’apicoltura deve essere guardata per il suo impatto ecologico ed economico che ha sulla nostra società.”
Fonte: Christian Cabello | InTerris.it