“Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce“, recita un antico proverbio. Si dice che i fatti positivi non facciano notizia e che il bene non riesca a bucare la barriera dell’indifferenza individuale e collettiva, eppure, come fuoco sotto la cenere, resiste e cresce una speranza di cui nessuno parla. “Spes contra spem”, sintetizza San Paolo. Per il Catechismo si tratta della virtù teologale che è in grado di orientare la vita quotidiana “non solo sulle nostre forze ma sull’aiuto dello Spirito Santo”. E il cristianesimo è proprio la religione della speranza. “Non consultarti con le tue paure, ma con le tue speranze e i tuoi sogni. Non pensare alle frustrazioni e al potenziale irrealizzato. Non preoccuparti per ciò che hai provato e fallito, ma di ciò che è ancora possibile fare“, raccomanda San Giovanni XXIII.
Il cristiano vive proprio di speranza e sa farne dono e testimonianza al prossimo. E’ utile, quindi, interrogarci su cosa sia oggi la speranza. Perché se ne parla così poco anche tra credenti? “La risurrezione di Gesù non è il finale lieto di una bella favola, non è l’happy end di un film, ma è l’intervento di Dio Padre là dove si infrange la speranza umana“, insegna papa Francesco. Sperare, dunque, è l’antidoto alla disperazione e si fonda sull’affidamento a Cristo. Filosofia e teologia convergono nel ritenere che non ci sia medicina migliore della speranza: nessun incentivo così grande e nessun tonico così potente come l’attesa di qualcosa di bello e costruttivo per noi stessi e per gli altri. “L’inferno è lo stato di chi ha cessato di sperare”, sostiene il medico e scrittore Archibald Joseph Cronin. E infatti l’enciclica “Fratelli tutti” è un inno alla speranza ispirato al Poverello di Assisi, una “forma di vita dal sapore di Vangelo”. Fraternità e amicizia sociale seminano speranza tra gli abbandonati, i malati, gli scartati, gli ultimi. “Ogni generazione deve far proprie le lotte e le conquiste delle generazioni precedenti e condurle a mete ancora più alte”, avverte papa Francesco. È questo il cammino della speranza: “Il bene, come anche l’amore, la giustizia e la solidarietà, non si raggiungono una volta per sempre. Vanno conquistati ogni giorno. Non è possibile accontentarsi di quello che si è già ottenuto nel passato e fermarsi“. Ecco la minaccia che il Santo Padre vede incombere sulla contemporaneità. “Il modo più efficace per dominare e avanzare senza limiti è seminare la mancanza di speranza e suscitare la sfiducia costante – osserva il Pontefice -.Oggi in molti Paesi si utilizza il meccanismo politico di esasperare, esacerbare e polarizzare”. Ossia con varie modalità si nega ad altri il diritto di esistere e di pensare, e, a tale scopo, “si ricorre alla strategia di ridicolizzarli, di insinuare sospetti su di loro, di accerchiarli”. Cioè “non si accoglie la loro parte di verità, i loro valori”. In questo modo la società si impoverisce e “si riduce alla prepotenza del più forte”.
La vita pubblica così non è più una sana discussione su progetti a lungo termine per lo sviluppo di tutti e del bene comune, bensì solo “ricette effimere di marketing” che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più efficace. In questo gioco meschino delle squalificazioni, secondo Francesco, il dibattito viene manipolato per “mantenerlo allo stato di controversia e contrapposizione”. Al contrario è dalla speranza che impariamo a costituire un “noi” che abita la Casa comune. L’eco conciliare nel Magistero è fortissima. La missione della Chiesa è innalzare la fiaccola della verità per dimostrarsi “madre amorevolissima di tutti”, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso ciascuno. La speranza è la stella polare per accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito. Ridonando fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una torcia portata in mezzo alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito la rotta o si trovano in mezzo alla tempesta. Chi spera ribalta l’atteggiamento dell’indifferente, di chi chiude il cuore per non prendere in considerazione gli altri, di chi chiude gli occhi per non vedere ciò che lo circonda o si scansa per non essere toccato dai problemi altrui. Nella promozione di una cultura di solidarietà e speranza le famiglie sono chiamate alla loro vocazione educativa primaria ed imprescindibile. Tra le mura domestiche trova espressione il primo luogo in cui si impara a sperare. Qui si vivono e si trasmettono i valori dell’amore e della fraternità, della convivenza e della condivisione, dell’attenzione e della cura dell’altro. Solo coloro che sanno sperare riescono poi a improntare l’esistenza alla pietà e alla solidarietà. Le vite dei santi testimoniano che non bisogna mai perdere la speranza, mai smettere di credere e soprattutto mai smettere di sognare. “La gioia è la speranza di una felicità eterna“, afferma Madre Teresa.
Fonte: Aldo BONAIUTO | InTerris.org