“Tutta la gloria nel profondo” di Bruce Marshall, uscito nel 1944, risponde al vero scandalo della fede: una realtà umana abitata dal divino
Non mancano oggi riflessioni e pensosi interrogativi sul declino sempre più evidente del cattolicesimo, eppure le analisi del fenomeno non sembrano provocare reale e diffuso interesse e men che meno suscitare qualche reazione in grado di scalfire la generale e rassegnata apatia attorno a questioni apparentemente collaterali al vivere, distanti dalle vere urgenze quotidiane. Il fatto che le chiese si svuotino e che le vocazioni diminuiscano può apparire irrilevante riguardo alle emergenze che oggi appesantiscono l’esistenza di ansie, alienazioni, infelicità. Del resto solo un impatto con una fede vissuta, con la verità incarnata in una storia palpitante di tensioni esistenziali, di aspirazioni destinate a un compimento, può suscitare curiosità, ridestare il desiderio di approfondire cos’è la fede, come incide nella storia e cosa genera per l’umanità.
Il rinnovato interesse per i romanzi di Bruce Marshall (1899-1987), fra i quali emerge Tutta la Gloria nel profondo. Il mondo, la carne e Padre Smith (1944) pubblicato in Italia da Longanesi nel 1947, rieditato da vari editori e ultimamente da Jaca Book, conferma l’attrattiva per un mondo attraversato dalla sfida di un’esperienza che, per quanto avversata e minoritaria, lascia percepire una inimmaginata novità.
Il racconto, ambientato in una città della Scozia calvinista dove la Chiesa cattolica era stata a lungo perseguitata e ridotta a minoranza, ruota attorno alla inesauribile intraprendenza di padre Tom Smith, sacerdote cattolico animato da una fede fervida che nell’urto inevitabile con un mondo per lo più ostile al cattolicesimo o anche semplicemente distratto dalle cose ultime ed eterne, non perdeva occasione per favorire il flusso della grazia divina che, nonostante tutto, avrebbe potuto lambire i vivi e anche i morti.
Le pagine che descrivono la celebrazione eucaristica suscitano viva commozione, facendo emergere l’essenza di una realtà umana, fragile e imperfetta, ma abitata dal divino, trasfigurata oltre ogni limite grazie all’amore operoso generato da Cristo stesso presente nei suoi testimoni.
“Offro tutte le messe che si celebrano oggi nel mondo intero per i poveri peccatori che in questo momento sono in agonia e che in questo giorno devono morire” mormorava padre Smith non lasciando tregua, mentre percorreva le strade della città, a un anelito di salvezza che riguardava “tutta la gente che ogni giorno vedeva aggirarsi obliosa, per le brutte strade, con occhi vuoti”. Finché arrivava al mercato coperto preso in affitto per la celebrazione domenicale, dove un coro a più voci era impegnato a provare l’Agnus Dei: “Al solito, fra il canto e la pronuncia non si sapeva quale fosse il peggio, ma il padre Smith era sicuro che Dio le avrebbe accolte con orecchio benevolo, perché ciascuna di quelle note stonate voleva essere una lode, cosa che non sempre si poteva dire dei trilli delle soprano stipendiate di Milano, di Siviglia e di Vienna”. Una sorta di dissonanza pareva tuttavia affiorare di continuo quasi incrinando la percezione della bellezza della Chiesa di Dio proclamata nel salmo come una gloria regale e sfolgorante.
Lo squallore del locale malconcio, le stonature del canto, qualche sguardo distratto e la sensazione di spossatezza che lo stesso sacerdote avvertiva mentre si accingeva a fare una seconda predica dopo aver già celebrato un’altra messa di prima mattina a venti miglia di bicicletta, il tutto a digiuno… tutto questo invece apparve ai suoi occhi come una occasione provvidenziale per far risplendere con maggior trasparenza, pur fra “simboli così scalcinati e così poco all’altezza…”, la vera luce che illumina il mondo, la luce di Cristo presente. “E così – concluse con grato stupore – in questo nostro tabernacolo d’affitto, sappiamo che Dio non mancherà al convegno”.
Tutto il romanzo è percorso da questa certezza trasmessa con audacia dal prete che amava ogni prossimo come sé stesso, coniugando l’intelligenza acuta con la semplicità di chi accoglie la verità come un dono da far germogliare ovunque attraverso l’umile obbedienza alle circostanze.
Anche il pentimento dei peccati in punto di morte è una grazia ispirata dal Cielo che può essere implorata: un vecchio marinaio alla soglia dell’eternità non sembrava in grado di pentirsi dei suoi peccati, soprattutto gli riusciva impossibile considerare in modo negativo le innumerevoli donne conosciute nei porti di mezzo mondo. Mentre si pentiva di aver trascurato i sacramenti – così aveva chiarito – non si pentiva affatto delle avventure amorose con tutte quelle donne “così belle e alcune anche tanto buone”. Il sacerdote non si arrese provando a chiedergli se almeno si pentiva di non pentirsi. Il vecchio in fin di vita gli rispose di sì, che si pentiva di non pentirsi e sperava che Dio l’avrebbe capito. Il prete gli diede l’assoluzione con immensa gratitudine sottolineando che “Dio non concedeva sempre grazie così meravigliose nell’istante estremo”.
Il dono più grande che padre Smith era sempre pronto a condividere e dispensare attraverso i sacramenti era la misericordia infinita di Dio. La stessa che cementava l’esperienza di una Chiesa viva, rigenerata continuamente dal perdono, da una comunione realmente fraterna vissuta nell’umiltà dell’obbedienza. Il respiro gioioso dell’amicizia, di una simpatia umana che porta ad affrontare anche i contrasti e le incomprensioni nell’orizzonte di un bene più grande, è un tassello importante di quella verità sinfonica che nelle peripezie di padre Smith si colorava sovente di buon umore, di arguti ragionamenti, di vera compassione per il destino di ogni uomo.
Ed è la profondità evocata nel titolo del libro la nota dominante nella trama: una profondità di sguardo, di attesa, di intenti, di preghiere, di ragionamenti… la profondità del vivere oltre la superficie dell’apparenza, dell’omologazione che sfigura persino le fisionomie con “gli occhi vuoti”. L’intraprendente viaggio del sacerdote cattolico che non si prefigge altre mete se non quella di giungere alla radice profonda delle cose, alla loro autentica verità, diventa un messaggio forte, da non accantonare, in quanto ancora oggi può aprire il varco a una speranza che spesso si crede perduta, per sempre smarrita sotto il peso del male, di contraddizioni insanabili e dolorose.
Il racconto scorre regalando suggestioni spesso attraversate da una sottile ironia, invitando a far propria un’avventura straordinariamente umana, a riscoprire una fede rispondente al cuore e alla ragione, che abbraccia la vita in tutto il suo mistero.
Fonte: Laura D’Incalci | IlSussidiario.net