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Perché la 38esima giornata mondiale della gioventù è preziosa

Chiunque non sia un giovane d’oggi di certo lo è stato in altri tempi. Quindi tutti noi che non siamo giovani dovremmo capirli i giovani, essendolo stati nel nostro passato anche noi. Dovrebbe essere normale questo, non il contrario, visto che loro anziani non lo sono mai stati. Eppure non sembra che sia così. Non è solo una questione di nativi digitali o no. Certo, i social media sono entrati con prepotenza nella vita di tutti, ma rispetto alle generazioni di noi boomers, ad esempio, cioè dei nati nei magici 30, gli anni del boom economico e tanto altro, i giovani d’oggi appaiono nati in un mondo troppo diverso dal nostro, che non riusciamo a capire. Per la forza travolgente dei social? Certamente sì, ma non solo. Dovremmo sforzarci di capire di più, e forse anche loro dovrebbero dirci di più di loro stessi.

Questa 38esima giornata mondiale della gioventù che ora si apre è preziosa proprio per questo. Per l’incontro inter-generazionale, con i nonni in particolare, su cui spesso ha insistito papa Francesco, perché il futuro ha bisogno di saper ricordare, diventando però tutti capaci, insieme, di guardare il presente alla luce del futuro. Il presente oggi è stato definito liquido, così il futuro già presente lo definirei già mutato, cioè non più liquido, ma polverizzato. Se la socializzazione è ormai soprattutto virtuale che società possiamo vedere arrivare con il domani?

Questo presente nel quale ci muoviamo come granelli di polvere è anche fratturato. La polvere è leggera, libera di andare dove vuole, il presente invece ci parla di linea di faglia, di scontri, di muri sempre più frequenti. I social ci aiutano a sottrarci a questa seconda dimensione del nostro reale, presente. E’ con questo presente, non con i nostri ricordi di vita sociale, che dobbiamo vedere il futuro. Così diviene più facile connettersi con i giovani, nelle loro plurime diversità continentali. Allora possiamo convenire che questa GMG ha bisogno anche di chi giovane non è. Perché ignorare questo futuro ci rende impossibile a noi, non a loro, di sentirci cittadini del tempo presente. Tradizioni, lasciti culturali, abitudini culinarie, ruoli nella società e nella famiglia, sono foglie allo sbando nel tempo presente, un tempo polverizzato, dove c’è il rischio che domini la paura, non la speranza, la forza del vento, non dei radicamenti.

Molto spesso si dice che le colpe dei padri non ricadono sui figli. Io non la penso così, penso invece che avesse ragione Pasolini a dire che sempre le colpe dei padri ricadono sui figli. Più che guardare in cagnesco al modo in cui i giovani vivono il tempo, la socialità polverizzata, fatta di nubi di polvere come sono le odierne affollatissime discoteche, dove la polvere si incontra senza conoscersi, senza cercare legami, dovremmo partire da un senso di responsabilità per avergli consegnato noi un mondo orientato a divenire così dalle nostre scelte culturali. E’ il frutto dei nostri errori generazionali, di noi padri, non di loro, “figli”. La paura così diviene un fattore di ulteriore polverizzazione sociale, perché i muri appaiono il prodotto dell’oggi che caratterizzerà il futuro, ma la socializzazione polverizzata dei social ci illude che nella polverizzazione ci sia una nuova concretezza. Perché?

Genitori che si atteggiano a compagni di giochi dei figli, a loro coetanei, vivono ancora la contestazione in cui hanno creduto, soprattutto la contestazione dell’autorità, incapaci di presentarne una nuova, diversa da quella autoritaria, patriarcale di ieri: una autorità che sia autorevolezza, non coercizione. Dove sono dunque i modelli? E i cosiddetti “riferimenti” autorevoli sebbene, grazie al cielo, non più autoritari?

Questa GMG mi sembra davvero importante. La stagione del Covid è un ricordo lontano, quasi dimenticato come le anticaglie che non trovano un posto neanche nei musei. Eppure ci ha segnato, acuendo il dato di polverizzazione. Altrettanto ritengo questa stagione segnata dalla guerra che diciamo “tornata” tra noi, mentre non ci ha mai lasciato dagli anni Novanta. Perché? Perché dobbiamo cancellare le colpe di ieri, la Jugoslavia, Sarajevo, la Siria, Aleppo, e mi fermo qui per fermarmi allo spazio che ci circonda da vicino. Abbiamo ignorato la guerra finché la guerra ha smesso di ignorare noi. Pensavamo che non avesse conseguenze per il nostro benessere e quindi non contasse, ora queste conseguenze economiche le ha e sta a loro sbrogliarsela, ma senza riferimenti, senza modelli, senza autorevolezze da guardare visto che i padri hanno lasciato passare la morte a due passi da loro nell’indifferenza. Non è colpa dei padri l’asserita indifferenza dei figli?

Quando sento dire ai giovani che “noi protestavamo, voi che fate?” io mi chiedo se non gli abbiamo lasciato in eredità la colpa di ritenere inutile la protesta. Se ha prodotto quel che gli è stato lasciato, la cultura dell’indifferenza, della solitudine nelle nuvole del granello di polvere, dovremmo essere noi i primi ad andare alle GMG. E imparare di nuovo ad essere giovani, da loro. Senza la pretesa di criticarli, come troppo spesso si fa. Forse i nonni, quelli che anagraficamente stanno al di là della mia generazione di figlio del boom, forse loro sono i veri interlocutori per la crescita dei nuovi giovani, quelli capaci di offrigli l’autorevolezza indispensabile per riscoprire il desiderio di un futuro da decidere, non imposto dalle norme algide dell’indifferenza. E’ importante in un mondo così polverizzato e fratturato che si riscopra l’universalità dei giovani e soprattutto che lo facciano loro. Insieme, nelle loro non omologabili diversità.

Fonte: Riccardo Cristiano | InTerris.it

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