La stepchild adoption, ossia l’adozione del figlio del partner, è un istituto a tutela dei legami instaurati da un minore con il coniuge o compagno del proprio genitore e riguarda sia le coppie sposate che quelle conviventi. Anche in Italia è prevista questa forma di adozione, tuttavia il legislatore italiano ha circoscritto la possibilità di adottare alle sole coppie sposate, prevedendo l’adozione del “figlio del coniuge”. L’ipotesi rientra fra quelle tassativamente previste in materia di adozione in casi particolari, di cui all’art. 44 della Legge n. 184 del 1983. La legge sulle unioni civili (art. 1 comma 20 della Legge 76/2016) esclude la possibilità di accedere all’adozione, sia quella legittimante che quella in casi particolari. La giurisprudenza, con un’interpretazione estensiva dell’art. 44 lett. d) della Legge n. 184/1983, ha nondimeno accolto, talvolta, le domande di adozione in casi particolari presentate da coppie unite civilmente. La questione esige un’attenta riflessione, posto che – ferma restando la necessità di tutelare i minori coinvolti – bisogna tuttavia evitare di legittimare implicitamente condotte lesive dei valori fondamentali dell’ordinamento, come sono da ritenere le violazioni dei divieti di fecondazione eterologa e di maternità surrogata.
L’espressione stepchild adoption – letteralmente “adozione del figlio del partner” o, per usare la traduzione dell’Accademia della Crusca, “adozione del configlio – è entrata nel linguaggio comune italiano con riferimento alle unioni civili, anche se in realtà la terminologia si riferisce, più in generale, alle coppie sposate o conviventi.
Più precisamente, la locuzione fa riferimento ad una particolare forma di adozione, ossia quella che prevede la possibilità che un minore di età venga adottato dal coniuge o dal partner con cui il proprio genitore ha formato una nuova famiglia. Detto istituto è finalizzato a garantire l’interesse di bambini ed adolescenti al mantenimento dei legami affettivi instaurati nell’ambito della famiglia ricostituita. Si pensi ad esempio al figlio riconosciuto da un solo genitore o al minore orfano di padre o di madre che viene poi inserito nel nucleo familiare formato dal proprio genitore e dal suo nuovo coniuge o compagno.
In Italia l’art. 44 della Legge n. 184/1983 prevede espressamente, alla lettera b), l’adozione del figlio del coniuge: si tratta di una delle ipotesi in cui è ammessa quella che il Legislatore ha chiamato “adozione in casi particolari”, per distinguerla dall’adozione “legittimante”. Le differenze fra i due istituti riguardano soprattutto i presupposti e l’iter procedurale. Gli effetti prodotti dai due istituti sono pressoché simili, salvo alcune differenze: in entrambi i casi, comunque, con la sentenza di adozione il minore di età diventa figlio adottivo a tutti gli effetti ed assume il cognome della nuova famiglia, mentre i genitori adottivi assumono il dovere di educare, istruire e mantenere il figlio adottivo.
Per quanto riguarda i presupposti, l’adozione legittimante può essere disposta soltanto laddove il Tribunale per i Minorenni competente per territorio (quello di residenza di fatto o dimora abituale del minore) abbia accertato lo stato di abbandono morale e materiale del minore ed abbia pronunciato la conseguente dichiarazione di adottabilità (artt. 7 e 8 della Legge n. 184/1983).
L’adozione in casi particolari, invece, può essere disposta anche quando il minore non si trovi in una situazione di abbandono ma ricorra una delle ipotesi tassativamente previste dall’art. 44 della Legge n. 184/1983, come novellato dalla Legge n. 149/2001, ossia: a) quando il minore sia orfano di padre e di madre (può essere adottato da parenti fino al sesto grado o da persone con cui era già legato da “preesistente rapporto stabile e duraturo anche maturato nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento”[1]); b) nel caso di famiglie ricostituite (il minore può essere adottato dal coniuge del proprio genitore, laddove questi o l’eventuale altro esercente la responsabilità genitoriale presti il proprio consenso); c) nel caso di minore disabile con minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali; d) nel caso di “constatata impossibilità di affidamento preadottivo”.
Le ipotesi di cui alle lettere a) e c) sono state introdotte dall’art. 25 della legge n. 149/2001, che al comma 3 ha altresì previsto: “Nei casi di cui alle lettere a), c), e d) del comma 1 l’adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l’adottante è persona coniugata e non separata, l’adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi”.
Per quanto riguarda la procedura, nelle ipotesi di adozione in casi particolari è semplificata rispetto all’adozione legittimante, in quanto non deve essere accertato lo stato di abbandono, non devono essere confrontate le coppie disponibili all’adozione e non è previsto il periodo di affidamento preadottivo. Il Tribunale per i Minorenni è chiamato essenzialmente ad accertare che l’adozione ex art. 44 − e quindi la salvaguardia dei rapporti affettivi instaurati dal minore con il richiedente e con i suoi familiari − risponda effettivamente all’interesse del minore. È previsto l’accertamento del consenso dei genitori naturali dell’adottando, nonché del minore stesso che abbia compiuto 14 anni, e l’audizione del minore che abbia compiuto 12 anni.
Quanto alle differenze circa gli effetti, mentre con l’adozione legittimante il minore recide ogni legame con la famiglia di origine (art. 27 Legge n. 184/1983), nell’adozione in casi particolari il minore può invece continuare a mantenere i rapporti con i suoi familiari; sotto il profilo successorio, mentre in ipotesi di adozione legittimante si applicano le norme previste in materia di successione dei figli e di successione dei genitori (artt. 566, 567, 568 cod. civ.), in ipotesi di adozione in casi particolari l’adottato acquista diritti successori verso l’adottante, mentre quest’ultimo non acquista i medesimi diritti verso il figlio adottato. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 79 del 2022, ha ritenuto incostituzionale la previsione normativa che escludeva l’instaurazione di rapporti giuridici fra l’adottato ai sensi dell’art. 44 della Legge 184/1983 e la famiglia dell’adottante[2].
La legge n. 76/2016, nel disciplinare le unioni civili, all’art. 1 comma 20 ha espressamente escluso la possibilità di applicare alle coppie omosessuali unite civilmente le norme previste in materia di adozione.
Tra l’altro, va ricordato che in Italia vige il divieto di fecondazione eterologa per le coppie omosessuali ai sensi dell’art. 5 della Legge n. 40/2004, ammessa invece per le sole coppie eterosessuali affette da patologie, divieto che, come noto, la Corte Costituzionale ha trovato pienamente conforme alla Costituzione, ribadendo nella sentenza n. 221/2019 le funzioni della procreazione medicalmente assistita: “La legge configura, infatti, in apicibus, queste ultime come rimedio alla sterilità o infertilità umana avente una causa patologica e non altrimenti rimovibile: escludendo chiaramente, con ciò, che la PMA possa rappresentare una modalità di realizzazione del “desiderio di genitorialità” alternativa ed equivalente al concepimento naturale, lasciata alla libera autodeterminazione degli interessati”.
Nonostante il divieto normativo, tuttavia, sono state avanzate numerose pretese di adozione del figlio del partner da parte di coppie unite civilmente, richieste su cui la giurisprudenza ha dato risposte diverse. Alcuni Tribunali hanno ritenuto di dover escludere l’applicazione dell’adozione in casi particolari alle coppie unite civilmente, mentre altri hanno accolto le domande di adozione ritenendo di poter applicare l’art. 44 lett. d) della Legge n. 184/1983 sulla base di un’interpretazione estensiva della “impossibilità di affidamento preadottivo” prevista dalla norma. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12962 del 2016 ha ritenuto che l’adozione in caso particolari richiesta da coppie unite civilmente “non determina in astratto un conflitto di interessi fra il genitore biologico e il minore adottando, ma richiede che l’eventuale conflitto sia accertato in concreto dal giudice”. In altri termini, secondo la Cassazione, deve essere valutato in concreto se l’adozione realizzi o meno l’interesse del minore.
Va tuttavia osservato che la questione di tutela dei figli nati a seguito di fecondazione eterologa o di maternità surrogata impone necessariamente di considerare la gravità delle condotte poste in essere da coloro che – pur di assecondare un proprio desiderio di genitorialità – hanno scientemente violato i divieti posti dalla legge, imponendo di fatto allo Stato di riconoscere implicitamente come legittime condotte che invece ledono valori fondamentali dell’ordinamento. I minori devono senz’altro essere tutelati, ma occorre domandarsi se risponda davvero alla loro tutela – e, più in generale, alla salvaguardia dei valori della nostra società − cedere ad azioni di forza che poco hanno a che vedere con il confronto democratico.
La Corte costituzionale ha esortato il Legislatore ad intervenire, auspicando “una disciplina della materia che, in maniera organica, individui le modalità più congrue di riconoscimento dei legami affettivi stabili del minore, nato da PMA praticata da coppie dello stesso sesso, nei confronti anche della madre intenzionale” (cfr. Corte cost. n. 32/2021). Ebbene, l’intervento del Legislatore dovrà senz’altro tenere conto dei principi già espressi dalla Corte costituzionale e che in sintesi sono i seguenti:
- Rifiuto della maternità surrogata in quanto pratica che lede la dignità umana (Corte cost. n. 33/2021);
- Divieto della fecondazione eterologa per persone singole e per coppie omosessuali (Corte cost. n. 221/2019);
- Tutela dei minori nati attraverso il ricorso alle suddette pratiche vietate, considerando altresì il diritto alla verità biologica (sul punto la Corte cost. nella sentenza n. 272 del 2017 ha precisato che “la verità biologica della procreazione costituisce «una componente essenziale» dell’identità personale del minore, la quale concorre, insieme ad altre componenti, a definirne il contenuto”).
L’auspicio è quindi senz’altro che il legislatore intervenga, introducendo, nel solco indicato dalla Corte Costituzionale, norme in grado di disincentivare il ricorso a pratiche illegali per avere figli e di salvaguardare i diritti fondamentali dei minori, fra i quali vi è senz’altro quello di poter conoscere le proprie origini e di non essere resi scientemente orfani di uno o di entrambi i genitori biologici.
Daniela Bianchini
[1] Il riferimento al rapporto maturato “nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento” è stato inserito dalla Legge n. 173/2015.
[2] La Consulta ha dichiarato incostituzionale l’art. 55 della Legge n. 184/1983 nella parte in cui prevede di applicare all’adozione in casi particolari la disciplina relativa all’adozione dei maggiorenni di cui all’art. 300 comma 2 del cod. civ., ritenendo detta previsione non conforme agli artt. 3, 31 secondo comma e 117 della Costituzione. Secondo la Corte, la disciplina prevista per l’adozione dei maggiorenni – istituto “plasmato su esigenze prettamente patrimoniali e successorie − non è adeguata alle esigenze di tutela e di stabilità dei minori in quanto priva il minore “della rete di tutele personali e patrimoniali scaturenti dal riconoscimento giuridico dei legami parentali, che il legislatore della riforma della filiazione, in attuazione degli artt. 3, 30 e 31 Cost., ha voluto garantire a tutti i figli a parità di condizioni, perché tutti i minori possano crescere in un ambiente solido e protetto da vincoli familiari, a partire da quelli più vicini, con i fratelli e con i nonni”.
Fonte: CentroStudiLivatino.it