Su Tolkien si è scritto tutto e il contrario di tutto. Si è parlato di un uomo di destra, di sinistra, di un ecologista ante litteram («La Terra di Mezzo è come la nostra amata Terra quando era più giovane e verde» si leggeva ancora ieri su Huffington Post) o di un protofascista di stampo nicciano («reazionario e razzista» furono le parole dello scrittore Fred Inglis).
SINISTRA INVIDIOSA
Peccato che nelle opere dello scrittore inglese emergano tutt’altre categorie. In primis la certezza che la Storia è mossa da due cause: la Provvidenza (imprevedibile ma sempre presente) e l’eroismo nascosto dei piccoli, gli Hobbit, creature sorprendenti e per questo simili all’uomo. Andrea Monda afferma che «Tolkien ha scritto per ricordarci che l’uomo, “animale narrante”, può essere salvato da una storia, e da una storia commovente». Ma se queste sono solo alcune delle fascinazioni che nascono da chi ha meritato l’appellativo di “Omero del ‘900”, va detto che ancora oggi, esattamente a 50 anni dalla sua dipartita (il 2 settembre del 1972, a 84 anni, Tolkien moriva nella sua casa di Bournemouth), il dibattito stagna incredibilmente sull’“appropriazione culturale” che ne avrebbe fatto la destra. Ieri Il Manifesto titolava accigliato: «J.R.R. Tolkien, scorretto l’abbraccio da parte della destra»; mentre Rolling Stone rilanciava con malcelata acidità: «L’ossessione della destra italiana per ‘Il Signore degli Anelli’» (il veleno vero è tutto concentrato nel sottotitolo: «La fascinazione dei camerati per l’opera epica di J.R.R. Tolkien è risaputa e viene da lontano, ma a cosa è dovuta? Una possibile spiegazione: meglio chiudersi nella Terra di Mezzo e combattere Sauron piuttosto che fare i conti con i problemi reali»). Livore anche dalla rivista Left, che con toni alla Cirinnà ha titolato: «Dio, patria, famiglia e Tolkien. Così giovani, così vecchi gli under 21 di Meloni».
IL MIRACOLO DI FAR LEGGERE I FASCI
Ora, nessuno nega che la contiguità culturale Tolkien-destra è un fenomeno quasi interamente italiano. Senza dubbio i “capelloni” della controcultura statunitense degli anni ’60 e ’70 hanno considerato Il Signore degli Anelli “un testo sacro” (lo storico Theodore Roszak scriveva di «hippies attorno ai trent’anni che portano distintivi con scritto ‘Frodo vive” e arredano i loro appartamenti con mappe della Terra di Mezzo»). È vero anche che Rusconi, editore italiano del Signore degli Anelli, appose una fascetta con la scritta “La bibbia degli hippies”. Ma tutto ciò non fa che sottolineare l’elefante nella stanza: il colpevole e sciagurato vuoto lasciato dalla sinistra, per la quale, per dirla con Edoardo Rialti, «al massimo “Tolkien ha compiuto l’indubbio miracolo di far leggere ai fasci”, a loro volta tramutati in irredimibili orchi senza onore o dignità». Ora è tardi per scalzare bandierine altrui. Certo che Tolkien va «restituito alla letteratura» (un modo elegante per dire che va sottratto all’immaginario di destra), ma sta di fatto che a negargli lo status di “grande” è stata proprio quell’intellighenzia che oggi si lamenta delle «appropriazioni scorrette». Un esempio tra i tanti: nel ’69, in un saggio molto pubblicizzato, la scrittrice femminista Catharine Stimpson descriveva Tolkien come un «incorreggibile nazionalista» dalla scrittura «banalmente mascolina e fortemente irritante».
IO SONO GIORGIA (E AMO TOLKIEN)
Alla domanda su quale mondo politico-culturale sia più legittimato a “sposare” Tolkien, la risposta è dunque semplice: quello che più è disposto a farsi interpellare dallo scrittore. Ecco allora i Campi Hobbit (manifestazioni giovanili brulicanti di dibattiti e musica) organizzati dal Fronte della Gioventù negli anni ‘70 (ma riprese anche negli anni ’80 e ’90). Ecco ancora la Compagnia dell’Anello, gruppo musicale progressive che insieme agli Hobbit sono divenuti un cult per gli appassionati della musica “non conforme”. Del resto anche la Convention annuale della Destra italiana, Atreju, si richiama «alla lotta contro il Nulla che avanza» del protagonista di un altro classico del fantasy: La storia infinita di Ende. La stessa Giorgia Meloni, poi, non ha mai fatto mistero di essere debitrice del professore di Oxford. Nel suo Io sono Giorgia, autobiografia edita nel 2021 da Rizzoli, si trova un ricordo della sua giovanile passione tolkeniana. Si tratta di un passaggio divertito e autoironico, ma che in controluce vanta l’ambizione di sintetizzare la sua visione politica: «Di recente ho rivisto un’agghiacciante foto di me vestita da Sam Gamgee, uno degli hobbit del Signore degli Anelli di Tolkien. Del resto, del libro Sam è sempre stato il mio personaggio preferito. Non ha la regalità di Aragorn, la magia di Gandalf, la forza di Gimli o la velocità di Legolas. È solo un hobbit, nella vita fa il giardiniere. Eppure, senza di lui Frodo non avrebbe mai compiuto la missione. Sa che non saranno le sue gesta a essere cantate in futuro, ma non è per la gloria che rischia tutto. “Sono le piccole mani a cambiare il mondo” dice Tolkien».
CATTOLICO O PAGANO?
Ma per Tolkien non c’è ancora pace, tanto che alla diatriba destra/sinistra i critici ne aggiunsero subito un’altra: cattolico o pagano? Qui, in realtà, essendoci un’interpretazione autentica, non dovrebbero sussistere dubbi di sorta. In una lettera a padre Robert Murray, Tolkien scrive: «Il Signore degli Anelli è fondamentalmente un’opera religiosa e cattolica; all’inizio non ne ero consapevole, lo sono diventato durante la correzione». Poi aggiunge: «È per questo motivo che […] ho eliminato ogni riferimento a qualsiasi tipo di religione o culto […] nel mondo immaginario. L’elemento religioso è infatti insito nella storia e nel simbolismo». La domanda, poi, è totalmente fuori luogo anche per un altro punto di vista, ben espresso da Paolo Gulisano: «Sarebbe come chiedersi se Il Piccolo Principe è un’opera cristiana o pagana. […] una “letteratura cristiana” non è soltanto quella dove si ritrova Gesù di Nazareth, i santi o i preti». Il medico-scrittore, che a Tolkien ha dedicato più di un saggio, ha gioco facile nel puntualizzare che «esistono opere cristiane semplicemente perché evocano nel lettore la nostalgia di tutta la Bellezza che traspira dal fatto cristiano».
NET (NUOVA EVANGELIZZAZIONE TOLKIENIANA)
Nel Signore degli Anelli è scritto tutto, dunque, ma come nella Lettera scarlatta di Hawthorne l’aridità del nostro tempo – perfettamente rappresentata dai titoli di questi giorni – fatica a riconoscerne il cuore (“religioso e cattolico”, per usare le parole dell’autore). Non così per le legioni di lettori di Tolkien (che anche grazie ai film continuano a crescere), e non così per il teologo bresciano Raffaele Maiolini, che si spinge a raccomandare la lettura di Tolkien ai colleghi teologi al fine di «imparare come dire e raccontare universalmente la singolarità cristologica anche nel nostro tempo». Ma è ancora Andrea Monda a cogliere il segreto del successo di un’epica tolkieniana che rovescia la logica della narrazione classica (nessun tesoro da cercare o terra da difendere): «Un’epica dal sapore cattolico, dove i piccoli e gli stolti intuiscono e “vincono” e i grandi e i sapienti e i benpensanti, sono “rovesciati dai loro troni”».
Fonte: Valerio Pece | IlTimone.org