I media trasmettono un’immagine del clero stereotipata. Anche i preti, molto spesso, cercano di incarnare a loro volta degli stereotipi, magari ecclesiali. Poi agli onori delle cronache arrivano don Patriciello e don Coluccia…
Alcuni fanno gli intellettuali nelle facoltà teologiche, teorizzando riforme megagalattiche o teologie che bisognerebbe francamente definire eretiche. Costoro inseguono quel che l’intellighenzia si attende da essi per avere una Chiesa “al passo coi tempi”. Altri dormicchiano fino all’età pensionabile, ricevendo i fedeli solo negli “orari di ufficio”, ovvero a margine delle funzioni religiose. In alcune regioni, molti sono, invece, fin troppo attivi, rischiando di mettere tra parentesi lo specifico del sacerdote. Molti, però, con molta umiltà cercano tutti i giorni di incarnare una vocazione pienamente e sinceramente vissuta. La cronaca li fa emergere, a volte, nello squallore del tempo in cui viviamo, come autentici testimoni del carisma sacerdotale.
Caivano, con l’orrore dei suoi stupri, restituisce per esempio alle reti televisive il dolore e l’amore di don Maurizio Patriciello, parroco “nella terra dei fuochi”, instancabile denunciatore dei mali di quell’angolo di mondo, ma altrettanto tenace nel rintracciare i semi del bene e nel fasciare le troppe ferite, nel corpo e nello spirito (del resto, prima di entrare in seminario faceva l’infermiere…).
Emerge ora, più visibilmente, anche don Antonio Coluccia, un apostolo della borgata romana di San Basilio, zona di libero spaccio di droga a Roma. Don Antonio, all’inizio dell’anno ha inaugurato la palestra sociale di boxe per i giovani del quartiere, in un locale confiscato alla mafia, in collaborazione con le Fiamme Oro della Polizia di Stato, incanalando positivamente l’aggressività dei ragazzi. Il 29 agosto, durante la sua passeggiata della legalità a Tor Bella Monaca, un uomo con precedenti per droga, a bordo di uno scooter, ha tentato di investirlo. Il sacerdote ringrazia il poliziotto, «l’angelo custode della mia scorta, che mi ha spinto via ed è stato colpito in pieno». L’attentatore è stato poi arrestato dagli altri agenti e gli è stato contestato il reato di tentato omicidio: nel suo zaino aveva anche una mannaia e un martello.
Don Coluccia è un ragazzone alto dagli occhi verdi, con una indiscutibile capacità oratoria. Il suo “metodo” di evangelizzazione consiste nel battere il territorio, pregando, armato di megafono, di corona del rosario e con qualche poliziotto di scorta, invitando gli ascoltatori all’abbandono del peccato e alla conversione, ed infondendo coraggio ai cittadini onesti. Diffonde le parole (registrate) di san Giovanni Paolo II contro la mafia alla Valle dei Templi di Agrigento nel 1993. «Convertitevi», si sente echeggiare dal suo megafono tra i palazzoni di San Basilio, nell’inconfondibile accento polacco del santo pontefice.
Ed un altro elemento è presente nella sua predicazione: indossa sempre l’abito talare. Non si “traveste” mai, non cerca in tutti i modi di nascondere la sua identità sacerdotale, sa bene che, come insegnava san Francesco, anche quell’abito fa la sua predica. Sarà anche per questo che la gente lo ferma per strada e trova, con il suo sorriso, la risposta alle proprie domande. Ieri è stato ricevuto anche lui a Palazzo Chigi dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, romana di nascita e di cuore, che ha assicurato l’azione del governo per contrastare in particolare spaccio e occupazioni abusive oltre alla sua personale presenza nel quartiere. Don Patriciello è stato insultato perché ha ricevuto la premier nella sua canonica senza nutrire alcun pregiudizio verso di lei. I contestatori (molto spesso banali “leoni da tastiera”) sono i soliti che non comprendono che il bene si fa con chi c’è, non con chi si vorrebbe ci fosse (cioè sempre loro…).
Nei confronti di simili sacerdoti i media sprecano gli aggettivi “anti”: antimafia, antidroga, anticamorra. Ma forse l’identità dalla quale derivano le loro azioni, il loro coraggio e la loro vicinanza a tutti gli uomini è un’altra. Sono autentici preti, innamorati e fedeli a Colui che li ha chiamati a servirLo nello stato sacerdotale. Da ciò attingono coraggio, capacità e santità per servire i fratelli. Il resto è demagogia finalizzata a depistare la ricerca delle cause autentiche del loro carisma.
Non ci sono, quindi, soltanto i (pochi) preti pedofili; ci sono anche questi. E sarebbe bene che i media se ne accorgessero più spesso.
Fonte: Diego Torre | AlleanaCattolica.org