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I fiori sbocciano anche nel cemento della scuola italiana

Abbandoni, ricorsi, le conseguenze della Dad: intorno a noi è un disastro. Tre consigli per «alzare l’asticella» nell’era di ChatGpt

Mi ricordo di una prima pagina della Gazzetta dello Sport, quando ai sorteggi di non so più quale turno di Champions all’Inter toccò il Barcellona (quello dei tempi d’oro). Il titolo recitava: “Messi male”.

A sbirciare ciò che le maggiori testate giornalistiche hanno scritto della barbarie giovanile nel mese di agosto (dagli stupri fin troppo noti alla capra ammazzata a calci) e cosa stanno scrivendo adesso circa l’imminente ripartenza della scuola, la solfa del “messi male” (con la minuscola) sembrerebbe farla da padrone.

In effetti i numeri delineano un quadro allarmante: più di uno studente su dieci (12,7 per cento, ma in regioni come la Sicilia si arriva a 21,1) abbandona la scuola prima del diploma; un decimo dei diplomati nel 2022 non ha «le competenze minime necessarie per entrare nel mondo del lavoro o dell’Università», precisamente il 9,7 per cento; prima del Covid la media era del 7,5 (Ansa, Save the Children).

Numeri preoccupanti

Anche dal punto di vista dei professori i numeri non consolano: su 81 mila posti vacanti a settembre, con le ultime immissioni in ruolo ne sono stati coperti la metà; per il resto servirà fare ricorso ai supplenti, il cui totale supera quota 200 mila (Uil-Scuola), un esercito di precari, con evidente danno per la continuità didattica degli alunni e per la qualità della vita dei precari stessi.

Non manca al triste appello il mondo dei genitori, sempre meno propensi a remare nella stessa direzione dei docenti. La giustizia, un po’ pilatescamente, sembra assecondarli: “La carica dei genitori contro le bocciature: un ricorso su 10 accolto dal Tar. L’ira dei presidi”, titola il Corriere della Sera. Professori frustrati e presidi che si rimboccano le maniche per evitare che i docenti assegnino debiti o che boccino. E anche per questo l’asticella mano a mano si abbassa.

Al Sud poi c’è un problema nel problema. Anche quest’anno i risultati dell’Invalsi descrivono una situazione catastrofica specialmente alle superiori, dove il divario rispetto alle regioni del Centro-Nord arriva anche a -30 punti percentuali in materie come Matematica. Una recente inchiesta di Tuttoscuola sostiene che nell’hinterland di Napoli ci sia la metà dei “diplomifici” (paghi e passi) di tutta Italia: la popolazione scolastica di questi istituti nel 2022-2023 è cresciuta del 1.407 per cento (!). Citavo prima i dati allarmanti rispetto alla dispersione scolastica: tutte le regioni in cui questo fenomeno è più grave sono al Sud (Ansa). Nel Mezzogiorno la Dad è stata per la scuola l’equivalente della bomba di Oppenheimer per Hiroshima e Nagasaki.

Ci vorranno anni perché torni a fiorire l’erba.

(E che questa bomba sia caduta fu una scelta del governo. Che non si scordi mai. Non che le cose prima fossero rosa e fiori eccetera eccetera. Ma occorre giungere a un giudizio storico unanime di condanna su questa faccenda).

Una parola si può azzardare

Bene. Finito di deprimerci, che dire? Che fare? A saperlo! Eppure un altro anno scolastico sta per cominciare, e quindi una nuova possibilità ci è data, a tutti (studenti, docenti, genitori, politici…). Forse una parola si può azzardare.

Allora ne azzardo alcune.

Uno. L’Italia non è tutta uguale e al Sud la situazione è un disastro (chiaramente non solo a scuola). Valditara lo sa: 240 scuole del Meridione (120 elementari, 60 medie, 60 superiori) sono state individuate per ricevere interventi e «investimenti economici importanti». Bene. Non è però soltanto immettendo denaro che si aggiustano le cose: quanti soldi sono già stati buttati per cambiare gattopardianamente una lavagna col gesso in una digitale, senza cambiare niente! Si migliora solo seguendo i migliori. La realtà italiana dice di molti casi virtuosi, anche nel mondo negletto dei tecnici e dei professionali (e Valditara sa pure questo: si prenda ad esempio la sua visita ad InPresa a Carate Brianza). Si osi seguire! D’altro canto la strada che ci ha portato fin qui è tristemente nota. O si preferirà restare col culo caldo?

Due. Per restare nella metafora oppenheimeriana, gli studenti sono come gli isotopi radioattivi. Decadono. E ciò è vero da Bolzano a Mazara del Vallo ed è vero da anni e anni, da prima della Dad (anche se ci fu un prima e un dopo Hiroshima e ciò vale anche per la scuola). Io non ho ricevuto la preparazione scolastica (e universitaria) che hanno ricevuto i miei professori, e i miei studenti (parliamo di Milano) non stanno ricevendo quella che ho ricevuto io (“Davvero prof. già alle medie a lei facevano imparare queste poesie a memoria?!”. Non appena alle medie, già alle elementari!).

L’indebolimento della tenuta complessiva è imputabile a molteplici fattori (famiglie, contesto storico, nuovi strumenti elettronici…) e sembra irreversibile. Tuttavia si può e si deve tamponare. Se uno crepa davanti ai tuoi occhi, ci provi a mettere una benda, col piffero che lo lasci così. Si osi alzare l’asticella! Non ogni abbassamento che sembra necessario lo è veramente. Non si è obbligati a non dare più compiti solo perché non li fanno: s’ha da cercare un modo nuovo per farglieli fare. Non si è obbligati non bocciare per paura che calino gli iscritti: la serietà alla lunga paga. Eccetera. E osino certi genitori riconoscere a cosa i propri figli sono veramente portati: il liceo non è la scuola migliore per tutti, e almeno in certe realtà italiane le alternative valide esistono. Questo classismo idiota finisce per penalizzare tutti: portati e meno portati, e docenti nel mezzo.

ChatGpt, sei stata onesta

Tre. Occhio all’intelligenza artificiale, a ChatGPT e compagnia bella. Ci ho chattato oggi e mi ha prontamente saputo elencare ben 9 motivi per cui essa potrà «influenzare positivamente la vita degli studenti». Furbetta. Ma, incalzata, ha ammesso di trovarne anche 5 per cui essa stessa possa costituire un rischio quanto a «calo di impegno e serietà» (“Ricerca e apprendimento superficiali”, “Copia e incolla non critico”, “Dipendenza dall’automazione”, “Minore pensiero critico”, “Perdita di abilità di scrittura e comunicazione”).

Al netto delle ridondanze, brava, ChatGPT. Sei stata onesta, l’hai capito e l’hai ammesso. Ma gli studenti? D’altro canto far fatica non piace a nessuno: da millenni abbiamo evoluto la nostra civiltà in favore del principio di economia (e quanta fatica ci volle!). Allora attenzione, colleghi docenti: si vigili! Si mostrino con esempi concreti i rischi, perché sia preferibile scrivere un tema piuttosto che farselo scrivere! E se si può scegliere tra l’usarla e il non usarla, non si usi! Così come io faccio ancora (e per sempre) scrivere a penna sul quaderno invece che sul pc.

Avranno tutta la vita per non fare fatica. A noi docenti pertiene il compito di fargliela fare, poiché a monte abbiamo il dovere di mostrare loro cosa abbia un valore e cosa no. È per questo, non per sadismo o luddismo, che bisogna rigettare gli entusiasmi verso queste nuove tecnologie. Con un’attenzione: la fatica per la fatica è una pena da Inferno dantesco, di-sperata. La fatica con la proposta di un senso, magari immediatamente invisibile ma dichiarato e testimoniato, è un’altra musica. E suonandola si impara e poi si sceglie liberamente di suonarla ancora. Chiedere a chi abbia mai avuto un bravo docente di Latino e Greco.

Frammenti di bene

Quattro, e concludo. Quest’estate mi sono imbattuto in questi versi di Camillo Sbarbaro: «Ma te la mia inquietudine cercava || quando ragazzo || nella notte d’estate mi facevo || alla finestra come soffocato». C’è una cosa che non decade, nei ragazzi come negli adulti, e cascasse il mondo non cadrà: l’attesa di un bene. Anche loro, sul finir dell’estate, come noi grandi che torniamo al lavoro, si stanno chiedendo se li attenderà un bene quando varcheranno la soglia della classe fra pochi giorni. Non possono non chiederselo, pur disillusi e amareggiati e imbarbariti quanto si vuole.

Mi chiedo: noi questo ce lo ricordiamo? Ce lo ricorderemo quando gli spiegheremo il pi greco e Leopardi e il cum più congiuntivo? Ce lo ricorderemo anche nell’aridità e nel chiedere come mai quegli occhi tristi? E quando a casa gli domanderemo cos’è accaduto a scuola, sapremo aiutarli a scorgere i frammenti di quel bene?

Perché, viva Dio, i fiori sbocciano anche nel cemento.

Buon nuovo anno scolastico a tutti.

Fonte: Carlo SIMONE | Tempi.it

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