La goccia che ha portato a questa inversione di marcia arriva dallo studio internazionale PIRLS del 2021 che ha mostrato come la capacità di lettura degli studenti svedesi si fosse abbassata, in 5 anni, di 11 punti. E di come un fattore chiave di questo peggioramento fosse l’eccessivo utilizzo di dispositivi digitali. Questa decisione del Paese scandinavo getta un sasso nell’acqua stagnante legata alla convinzione che il miglioramento della scuola passi necessariamente dall’aumento della digitalizzazione. L’iniziativa svedese apre una possibilità di dibattito su una questione che equivocamente viene data per scontata, che più tecnologia significhi una scuola migliore.
Un equivoco che lascia sottintendere la possibilità della tecnologia di sopperire alle carenze professionali e pedagogiche degli insegnanti. Come affermano tutte le ricerche internazionali, la verità è che il fattore umano nella scuola resta l’elemento prevalente e non esiste un piano B che permetta di evitare una formazione continua, permanente e sistematica dei professionisti scolastici. Se guardiamo la situazione italiana, va ricordato che l’unica area scolastica che ha giovato di finanziamenti sostanziali negli ultimi dieci anni è proprio quella della digitalizzazione dimenticandosi quasi totalmente della necessità di formazione più strettamente pedagogica.
Mi permetto di fare un banale elenco di ciò che intendo: la gestione della classe come gruppo, la valutazione formativa, il lavoro di équipe fra docenti, la conoscenza delle fasi psico-evolutive e neuro-cognitive degli alunni età per età, la progettazione delle competenze socio-affettive, come quelle relative ai litigi e alla gestione del bullismo in un’ottica non giudiziaria. Negli ultimi anni invece la digitalizzazione ha goduto di un finanziamento di circa un miliardo di euro che, con l’ultima tranche del PNRR, potrebbe addirittura raddoppiare. Sono cifre enormi, specialmente a confronto di ciò che viene stanziato per i pochi progetti di formazione pedagogica e socio-relazionale rivolti ai docenti e agli alunni.
Utile infine sottolineare due punti. Prima di tutto, in ogni epoca la scuola ha avuto i suoi supporti tecnologici che si sono evoluti. Per esempio, io in prima elementare scrivevo con il pennino, strumento fortunatamente sostituito dalla penna. In ambito scolastico è normale avere tecnologie, il punto è farne buon uso. In secondo luogo, la tecnologia digitale, nel momento in cui diventa di carattere individuale, con tablet e account personali per ogni studente, sposta di molto il baricentro dell’apprendimento. La tecnologia in aula va gestita in maniera collettiva, una LIM per tutta la classe, un computer da utilizzare in gruppo. I dispositivi tecnologici non hanno un impatto sempre favorevole all’apprendimento.
Per questo motivo l’utilizzo della penna invece della tastiera fino almeno ai 14 anni non solo è auspicabile ma rimane un criterio inderogabile per la qualità dei processi di crescita. Il passaggio dal quaderno cartaceo a quello digitale è una scelta che oggi come oggi non può essere fatta con la naturalezza con cui a suo tempo si passò dal pennino alla penna a sfera perché la posta in gioco è ben più alta. La decisione della Svezia sollecita la scuola italiana a evitare di procedere nell’attuale direzione senza una necessaria e approfondita riflessione, specialmente alla luce di tutti i complessi dati scientifici.
Fonte: Daniele NOVARA | Avvenire.it