Esattamente trent’anni fa, moriva nel giorno del suo compleanno, don Pino Puglisi che concluse la sua vita terrena sorridendo, inerme, al suo assassino. Un sorriso che non fece dormire di notte il suo uccisore, il mafioso Salvatore Grigoli il quale poi rivelerà: «Non ho esperienza di santi. Quello che posso dire è che c’era una specie di luce in quel sorriso. Un sorriso che mi aveva dato un impulso immediato. Non me lo so spiegare: io già ne avevo uccisi parecchi, però non avevo mai provato nulla del genere. Me lo ricordo sempre quel sorriso, anche se faccio fatica persino a tenermi impressi i volti, le facce dei miei parenti. Quella sera cominciai a pensarci, si era smosso qualcosa».
Padre Pino era inerme, il giorno in cui veniva giustiziato, ma il suo sorriso, com’è chiaro anche dal racconto del suo carnefice, trasmetteva una forza salvifica tutta particolare, al punto che proprio Grigoli, due anni dopo quel terribile delitto, si pentì e cominciò a collaborare con la giustizia. Davvero la morte, nella vita di don Puglisi, non ha avuto l’ultima parola, come ha spiegato papa Francesco , nel giorno del venticinquesimo della sua morte, nel 2018: «Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita, e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà, però, è lui che ha vinto, con Cristo Risorto».
Sacerdote della parrocchia San Gaetano, nel difficile quartiere di Brancaccio a Palermo, divenne presto un faro per le famiglie e fondò, nel 1991, il Centro Padre Nostro. Da tempo sapeva di essere nel mirino della mafia per il suo infaticabile impegno contro la criminalità organizzata, tentando, attraverso l’educazione dei giovani, di sottrarre forze giovani, alla mafia. «Il primo dovere a Brancaccio è rimboccarsi le maniche – diceva – e i primi obiettivi sono i bambini e gli adolescenti: con loro siamo ancora in tempo, l’azione pedagogica può essere efficace». Infatti don Puglisi non si limitava, come abbiamo anche ricordato sulle pagine del Timone a giugno 2022 (qui per abbonarsi), a ripetitivi richiami alla legalità, ma voleva anzitutto la vera libertà che deriva dalla fede per tutti.
Dieci anni fa la sua Beatificazione al Foro Italico. «Non sono un biblista, non sono un teologo, né un sociologo, sono soltanto uno che ha cercato di lavorare per il Regno di Dio», amava ripetere. L’iter per il processo di canonizzazione è partito nel 1998, dal riconoscimento del martirio, iniziato a livello diocesano per volere del cardinale Salvatore De Giorgi, allora arcivescovo di Palermo. Peraltro don Puglisi è la prima vittima della mafia riconosciuta come martire della Chiesa.
Un esempio così fulgido che, in occasione del trentesimo anniversario della sua uccisione, su richiesta di monsignor Lorefice, Papa Francesco, ha concesso l’Indulgenza Plenaria ai fedeli e ai pellegrini che nel 2023 visiteranno i luoghi del sacerdote ucciso in odium fidei. I luoghi individuati sono i seguenti: la Cattedrale di Palermo, dove riposano le spoglie di don Puglisi, la parrocchia di San Gaetano, il Centro Padre Nostro a Brancaccio, il Centro diocesano vocazioni, la parrocchia Maria Santissima Immacolata Concezione di Godrano, dove è stato parroco, e la casa, oggi “Casa Museo Puglisi”, in cui ha vissuto e teatro del suo martirio. Nella serata di oggi, invece, la veglia di preghiera e la fiaccolata, in sua memoria, fino al luogo in cui verrà eretta la nuova chiesa di Brancaccio.
Fonte: Manuela Antonacci | IlTimone.it