La madre noleggia un’automobile di grande cilindrata. Il figlio neo-maggiorenne e senza patente la prende e la guida. In una curva, perde il controllo dell’auto e uccide un ventinovenne, procurando danni ad auto circostanti. A questo punto sulla scena compare la madre, che di fronte al mondo dichiara di essere stata lei alla guida dell’auto e quindi si assume la responsabilità di tutto. Ma ci sono troppi testimoni che hanno visto come sono andate realmente le cose. Quindi ora il figlio si trova indagato per reati gravissimi.
Questo fatto, realmente accaduto sette mesi fa e di cui i media in questi giorni hanno ricominciato a parlare, è sintomatico di ciò che sta accadendo nella relazione tra genitori e figli.
In questa tristissima vicenda, scopriamo che c’è un giovane adulto che non ha alcuna percezione del senso del limite e che si mette a fare cose pericolosissime senza considerare le implicazioni e le potenziali conseguenze che da esse potrebbero derivare. E poi c’è la presenza di un adulto che di fronte all’errore gravissimo e tragico compiuto dal figlio, se ne attribuisce la responsabilità così da cercare di concentrare su di sé tutte le conseguenze negative che deriveranno dall’intervento inevitabile della legge.
Se fino a ieri parlavamo di adulti che si sostituiscono ai propri figli in tutto ciò che è faticoso e impegnativo, oggi siamo arrivati all’adulto che si fa mettere in prigione al posto del figlio, assumendo su di sé la colpa e la sanzione derivante all’azione che ha rilevanza penale. Hai rubato? Non importa, in prigione ci vado io. Hai ucciso qualcuno? Non voglio che tu ne soffra le conseguenze per cui davanti alla legge ci finisco io.
Ora, la corresponsabilità dell’adulto di fronte agli eventi avversi – se non criminali – compiuti da un figlio è di natura puramente educativa. A volte ci si interroga se di fronte ad un minore che compie reati si debba considerare l’adulto corresponsabile e quindi potenzialmente imputabile. Il dibattito è complesso ma nel caso specifico di cui stiamo parlando, il protagonista del reato è un maggiorenne. Avere compiuto 18 anni comporta che i nostri figli, di fronte alla legge, vengano considerati pienamente responsabili di ciò che compiono. Ricordo ancora, in occasione del 18esimo compleanno di mio figlio che gli dissi proprio che la maggior età comporta la necessità di prendersi la responsabilità piena e totale delle proprie azioni. La società si aspetta che un 18enne sia pienamente maturo e consapevole di ciò che fa e delle conseguenze che ne possono derivare, assumendosi piena responsabilità di ogni propria azione.
Come genitori, di fronte ad un figlio adulto che sbaglia, non possiamo evitare di sentirci pieni di dolore e dispiacere per ciò che da quell’errore può derivare. Ma l’adultità obbliga ciascuno di noi al rispetto della legge, ad avere cura della vita propria ed altrui, a vivere cercando di rendere la propria esistenza un terreno fertile capace di dare frutto per sé e per gli altri. La storia di cui stiamo parlando ci mostra perché tanti giovani adulti oggi sono così fragili. Accanto a sé hanno “allenatori” ed educatori che provano a deresponsabilizzarli in tutto e di tutto. Protetti come pulcini fragili, accolti – e a volte anche sponsorizzati – in ogni loro richiesta di divertimento e gratificazione immediata, giustificati anche di fronte all’ingiustificabile, il problema di alcuni giovanissimi è che non hanno sviluppato un senso morale e non hanno costruito dentro di sé quelle competenze che permettono di muoversi nella vita con la giusta direzione e con obiettivi funzionali al bene proprio e altrui. Se mancano queste due dimensioni, il danno che ne deriva può essere gravissimo e a volte, purtroppo, irreparabile. Proprio come in questo caso.
Fonte: Alberto PELLAI | FamigliaCristiana.it