Il futuro è dietro
— 25 Settembre 2023
— pubblicato da Redazione. —
ualche giorno fa ho incontrato le terze medie della mia scuola, prima delle «Lezioni di futuro», incontri durante i quali gli ospiti raccontano il loro percorso esistenziale e professionale per dare agli studenti qualche spunto su come affacciarsi al periodo della vita in cui si inizia a scegliere non per procura, per sentito dire, per soddisfare aspettative altrui. Ho detto subito che il futuro non esiste, ma esiste solo un presente più o meno «gravido», «in stato interessante»: avere futuro dipende dalla vita che in te vuole e può venire alla luce oggi, qualsiasi età tu abbia.
Del futuro abbiamo fatto un idolo, adoriamo ciò che deve venire, l’ultima versione di tutto, come se nuovo fosse ciò che è recente e non ciò che è inesauribile, che dà qualcosa a ogni incontro (Beethoven è più nuovo dell’ultima hit), e ci illudiamo che, ottenuto qualcosa, avremo pace, ma sappiamo bene che il desiderio è infinito, vuole sempre dell’altro. E poiché dai desideri dipende il destino, la materializzazione del futuro ci porta a costruire «carriere» anziché «cammini», «accelerazioni» più che «destinazioni», la velocità è preferita alla verità. Quale verità? «Che cosa avete fatto o farete oggi che rimarrà per sempre?», ho chiesto.
Le risposte, dettate da una ancora quasi intatta purezza, mostravano che il futuro è destino fatto tempo, e quindi carne, oggi. Che cosa hanno risposto?
«Comincio a scrivere un libro di mitologia giapponese», «Leggo di dinosauri e mi piace cercare cose perdute, voglio fare il paleontologo», «Il mio allenamento di ginnastica ritmica», «Per me il per sempre è sciare: mi sento al mio posto, non vedo l’ora di riprendere», «Voglio diventare ferroviere come mio nonno che mi ha fatto scoprire la bellezza dei treni. Il momento più bello è stato un Milano-Roma con lui, in cabina», «Cantare, tutte le volte che posso canto e soprattutto quando non so gestire le mie emozioni, cantare mi salva», «La lezione di latino di oggi: mi affascina che quelle parole siano state dette così tanto tempo fa e siano finite in tante lingue»… A ciascuno di loro ho allora chiesto: «Quando te ne sei accorto, quando è cominciato questo presente carico di futuro?». Hanno risposto: «da sempre», «sin da piccolo», «non ricordo, me lo sono ritrovato».
Il futuro è già dentro di noi, non è fuori, non è dopo, ma è già. Avete mai pensato al paradosso linguistico per cui i posteri sono quelli “post”, dal latino “dopo” e “dietro”, mentre gli antenati sono quelli “ante”, dal latino “prima” e “davanti”? Il futuro è dopo perché è dietro, ancora invisibile (per vederlo devi voltarti), mentre il passato è prima perché è davanti, davanti ai nostri occhi, purché siano ben aperti. Siamo originali quindi nella misura in cui siamo originari, ci colleghiamo e facciamo fiorire ciò che DNA ed educazione hanno seminato in noi. L’interazione tra genetica ed epigenetica (l’ambiente in cui cresciamo) ci mostra sempre più quanto conta per la nostra destinazione ciò di cui veniamo dotati nei primi 1000 giorni della nostra esistenza, e soprattutto nei 280 nel grembo materno.
L’universo ha cominciato a espandersi 14 miliardi di anni fa, e non si è mai data né mai più si darà, una configurazione di atomi come ciascuno di quei ragazzi. Il futuro svanisce quando si perde questa origine-originalità. E che cosa la minaccia? Tutto ciò che punta a “intruppare” e “uniformare”, quello che fa ogni “regime”, e purtroppo anche la scuola, come è fatta oggi, tende a ignorare l’unicità di cui è ciascuno è portatore, non rispondendo quindi alla propria vocazione: aiutare ciascuno a cercare nel mondo, sempre più autonomamente, ciò che gli serve per fiorire. Da insegnante mi chiedo: che cosa non si è mai visto nella storia umana che solo questo ragazzo può essere e fare? Questo lo aiuterà ad “andar bene”: cioè a camminare in direzione di se stesso e del mondo. Quando Dante incontra il suo maestro nell’aldilà, Brunetto Latini gli dice che se non fosse morto avrebbe speso le sue energie per dare “conforto” ai doni evidenti nel giovane Alighieri. L’educazione è questo: con-forto, cioè “dare forza” a ciò che è embrionale, potenziale ma potente, sia scoprendolo insieme sia esercitandolo, come un allenatore che mette il giocatore al posto giusto.
Oggi invece prevale il modello della libertà assoluta: decidere chi sei e che cosa vuoi senza rispetto di quei «sin da piccolo», «da sempre», «me lo sono ritrovato». Ma per avere una destinazione non basta deciderla: è compimento di un destino che abbiamo già dentro di noi e che va scoperto poco a poco. Quando Ulisse compare sulla scena del suo poema è in lacrime su una spiaggia. Si trova da sette anni sull’isola di Calipso e vuole tornare a casa. Quell’isola è un paradiso, Calipso è una dea innamorata di lui e stare con lei lo rende immortale. Eppure Ulisse piange: si sente separato dalla sua destinazione (Itaca) perché è separato dal suo destino (ciò per cui “da sempre” è fatto). Presso Calipso, che significa “colei che nasconde, che copre”, Ulisse non può “venire alla luce”, “scoprirsi” e “scoprire”. Deve prendere la via del mare anche se questo comporterà dolore. Non è l’eroe della curiosità, ma del nascere attraverso l’esperienza del limite.
Itaca non è fuori di lui, ma dentro di lui, già fatta ma tutta da fare. Ho cercato di raccontarlo in «Resisti, cuore – L’Odissea e l’arte di essere mortali», che ho scritto perché da anni conosco le lacrime di chi ha un’Itaca nel cuore da cui è separato, o perché non è stato aiutato a scoprirla o perché non è stato “confortato” nell’intraprenderne la ricerca. Itaca vuol venire alla luce, c’è da sempre, come mi ha ricordato la risposta che l’amato cantautore Angelo Branduardi ha dato in una recente intervista su questo giornale, alla domanda sul suo talento con il violino: «Sono dotato di un talento fisico che non capisco, perché io inciampo, non so cambiare una lampadina, non so fare nulla: è strano che abbia questa coordinazione su uno strumento così complesso». È strano? No, è originale: un destino, e quindi una destinazione, un presente (sinonimo anche di “dono”) e quindi, se scoperto, ricevuto e allenato, un futuro.
Fonte: Alessandro D’AVENIA | Corriere.it